Venti miliardi destinati principalmente alla sanità sul territorio, ossia a quella “di prossimità”. Sono mirati a finanziare la costruzione e l’attrezzatura di “case di comunità” e di “ospedali di comunità”. Alcune problematicità del settore secondo Giuseppe Pennisi
In questi giorni, si parla molto di rivedere, modificare o riaggiustare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Sarebbe, probabilmente, più utile esaminare come sta andando l’attuazione del Programma, particolarmente sotto il profilo delle riforme. Sul sito “Italia Domani” del ministero dell’Economia e Finanza non mancano documenti di spessore del ministero dell’Economia e delle Finanze, della Corte dei Conti e di vari dicasteri particolarmente sugli aspetti “fisici” (e finanziari) dell’andamento del Programma (che è comunque ai suoi inizi) ma, come già rilevato su questa testata, poco si sa, e si parla, di alcune “missioni”, ad esempio di quella attinente la sanità.
Eppure, la pandemia – che è ben lungi dall’essere terminata – ha dimostrato come il settore sia uno dei più importanti del Paese sotto il profilo economico e sociale e che per diversi anni sia stato sotto finanziato. Occorre dire che rispetto alle proposte iniziali (9 miliardi da destinare alla “missione”) si è fatto uno sforzo finanziario significativo: sono stati assegnati 20 miliardi, destinati principalmente alla sanità sul territorio, ossia a quella “di prossimità”. Sono mirati a finanziare la costruzione e l’attrezzatura di “case di comunità” e di “ospedali di comunità”, strutture leggere ma tali che dovrebbero apportare benefici concreti principalmente alla medicina generale, quella, per intenderci dei “medici di base” chiamati anche “medici di famiglia”.
Qui sorgono tre problemi. In primo luogo, non si tratta solo di calcestruzzo e di attrezzature, mentre non si sa nulla o quasi del programma a medio e lungo termine per assicurare adeguate spese di parte corrente per il funzionamento delle nuove strutture. Sappiamo che, sotto il profilo contabile, non si programmano spese per più di tre esercizi finanziari. Sarebbe, però, utile una stima a medio e lungo termine ed un impegno “politico”, non giuridico o contabile, a sostenere le nuove strutture una volte costruite ed attrezzate.
In secondo luogo, la sanità (e le sue singole strutture) hanno sofferto più di altri settori di un bilancio strutturato in piccoli rigidi capitoli, chiamati in gergo “silos” e “tetti”; si dovrebbe poter concepire una riforma che comporti per le strutture (e, perché no per le Regioni e le Province autonome) dei “vincoli di bilancio”, entro i quali chi ha responsabilità gestionale possa modificare anche rapidamente i “capitoli di spesa” per ottimizzare i fattori di produzione oppure fare fronte ad esigenze sopravvenute oppure ancora al mutamento di priorità.
In terzo luogo, il problema più serio: il rapporto dei “medici di base” e dei “medici di famiglia” con il Servizio sanitario nazionale. È difficile pensare a “case di comunità” e “ospedali di comunità” ben funzionanti senza che il rapporto contrattuale non cambi, diventando, almeno per un certo numero di ore la settimana, un “rapporto di lavoro parasubordinato”, quindi coordinato e guidato.
In ottica di medicina “di prossimità” si dovrebbe, poi, pensare ad un miglior coordinamento delle 15.000 farmacie, che, nella pandemia, si sono mostrate una rete utilissima per i tamponi e le vaccinazioni.
Altro nodo importante è quello delle “nuove leve” di medici ed infermieri. Il Pnrr prevede un forte aumento delle borse di studio per gli specializzandi. Ci saranno, poi, risorse per assumerli? Si torna alla necessità di un “impegno politico” per quanto riguarda la spesa di parte corrente. E si sarà in grado di remunerarli in modo che, una volta “specializzati” restino in Italia e non vadano in altri Paesi che offrono retribuzioni migliori.
Per il 2022 si stimavano 15.000 assunzioni e stabilizzazioni per infermieri, medici, operatori socio sanitari, fisioterapisti e altri professionisti sanitari. Gli esiti della partecipazione ai primi concorsi (per infermieri) inducono a dubitare che questo obiettivo sarà raggiunto.
Altro punto critico è la digitalizzazione del sistema, e, quindi, la telemedicina. Idealmente, ad esempio, ogni carta sanitaria dovrebbe contenere un chip con il fascicolo sanitario del cittadino. Ma ciò apre delicati problemi con la normativa sulla garanzia della privacy. Solo una riforma normativa può scioglierla.