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La guerra ci riporterà l’economia sovietica?

Di Stefania Jaconis

L’economista Stefania Jaconis si interroga sugli effetti possibili sia sul piano economico sia su quello sistemico del conflitto in Ucraina e quindi sul modello di economia che la Russia incarnerà nel prossimo futuro, adesso e una volta uscita (in qualunque modo) dalla guerra

L’invasione dell’Ucraina data ormai oltre un mese, e in questo lasso di tempo ne abbiamo seguito con enorme trepidazione gli orrori e le devastazioni. Può essere utile fare il punto sulle ricadute economiche dell’invasione, le sole che ci permettono di affrontare un nodo cruciale della questione, e cioè se la guerra non avrà, tra i tanti effetti, anche quello di comportare un possibile cambiamento del modello di gestione economica della Russia. In altri termini: stiamo forse per assistere, in concomitanza con l’avventura bellica, a una nuova ‘transizione sistemica’ del Paese, che potrebbe riportarlo dall’attuale capitalismo di stato a un modello prossimo a quello tradizionale dell’economia sovietica, a pianificazione centrale?

La domanda non è di poco conto, e merita di essere posta.

Vediamone innanzitutto i presupposti, per poter meglio valutare quelle che potrebbero essere le conseguenze interne alla Federazione russa dello shock esogeno costituito dalla guerra. Anche in assenza di dichiarazioni esplicite di Putin appare chiaro che le cruente ‘manovre militari’ in Ucraina (che seguono accordi recenti in materia commerciale e valutaria con altre repubbliche dell’ex Unione) hanno come scopo quello di riacquistare una potenza economica di area che permetta di superare, in un mondo sempre più globalizzato, il bipolarismo Stati Uniti-Cina. In questa strategia – che con termine fuori moda possiamo definire di espansionismo economico ‘imperiale’ – la Russia parte da una posizione di scarsissima eccellenza: calcolato al cambio del 10 marzo 2022, il Prodotto interno lordo del Paese la colloca oggi al ventiduesimo posto su scala mondiale – ben lontana da quel quinto posto che, in base alle stime dell’economista britannico A. Maddison, la Russia zarista occupava nel 1913. Ma, soprattutto, a notevolissima distanza dal secondo posto (subito dopo gli Stati Uniti) conquistato nel 1957, all’epoca del confronto diretto anche sulle conquiste spaziali. Nell’era putiniana, gli anni peggiori sono stati quelli a partire dal 2012-2013, con un pallido 0,7% come tasso medio di crescita, moderate ma costanti pressioni inflazionistiche e un calo di circa il 10% del tenore di vita. Strategia posta in essere: stabilità ed equilibrio, soprattutto sul piano fiscale, a discapito della crescita, che è andata progressivamente scemando.

Ha però sempre retto il modello economico dominante, quello appunto del capitalismo di Stato – anche se con connotazioni via via più autoritarie e dispotiche.

Sullo scarso dinamismo della performance del Paese si sono innestate, dopo l’occupazione della Crimea nel 2014, le sanzioni dei Paesi occidentali. Seppure non determinanti, esse hanno avuto un effetto cumulativo sull’andamento insoddisfacente dell’economia della Federazione.

A questo punto interviene la guerra attuale. Con gli orrori, e gli errori, che ha comportato. Soprattutto, forse, con la ‘sorpresa’ costituita dalla grossa quota di imprevisto nello sviluppo degli eventi, sia sul territorio ucraino che a livello mondiale. Ed è proprio lo svolgersi non programmato della campagna militare che pone le più grosse ipoteche non solo sulle tattiche e sulla strategia di uscita, ma anche sui costi globali che questa potrà comportare. Come sostenuto recentemente da un economista russo in un’emittente indipendente on line, ogni giorno di guerra costa al Paese anni di crescita persa, di risorse gettate al macero. La mancanza di materiali, soprattutto metalmeccanici, e di pezzi di ricambio pone vincoli notevoli alle catene del valore (supply chains), e in alcuni settori sta già creando seri problemi di continuità produttiva.

Ciò mentre l’andamento erratico della disponibilità di materie prime rischia di paralizzare per lunghi periodi il sud ‘agrario’ del Paese, assieme alla zona degli urali. Con ovvie ricadute sulla capacità di esportazione della Russia, ed effetti già visibili sui prezzi interni: se guardiamo solo ai beni alimentari, notiamo che alcuni di essi a Mosca sono cresciuti di oltre il 30%. È facile poi, in virtù di quanto detto, prevedere un rapido aumento della disoccupazione, che dall’attuale 5% andrà ben oltre il 9-10% segnati durante la crisi del 2008. Stessa cosa per l’andamento dell’inflazione (da tempo lo spauracchio della governatrice della Banca centrale), che il deprezzamento della moneta, e l’isolamento dai mercati mondiali, rischia di far salire con un andamento a spirale.

Torniamo quindi alla domanda che ci siamo posti: se queste, e altre a venire, sono le conseguenze sul piano economico (nel breve e ancor più nel medio periodo), quali ne saranno i possibili effetti sul piano ‘sistemico’, cioè sul modello di economia che la Russia incarnerà nel prossimo futuro, adesso e una volta uscita (in qualunque modo) dalla vicenda bellica?

È facilmente immaginabile che, in presenza di strozzature produttive diffuse, lo Stato ricorrerà abbastanza presto a forme di gestione amministrativa dell’economia, con direttive quantitative sui livelli di produzione. Parallelamente, la penuria di beni e gli episodi di accaparramento che si stanno cominciando a vedere, per ora solo sui beni di consumo ma entro breve probabilmente anche su quelli intermedi, non potranno che dettare una qualche forma di controllo dei prezzi: di fronte all’inflazione galoppante riscontrata sui beni di prima necessità, e ai comportamenti speculativi che questa ingenera, l’ex governatore della Regione di Samara qualche giorno fa ha proposto esplicitamente di introdurre prezzi ‘fissati dal centro’ su una serie di prodotti, a iniziare dalla benzina. Concentrandosi invece sull’andamento allarmante dei prezzi alimentari, un dirigente locale ha addirittura parlato di un possibile ritorno alle famigerate ‘tessere’.

L’inevitabile arretramento del tenore di vita dei cittadini russi rischia dunque di accompagnarsi a una rinascita più o meno aperta del classico sistema di comando, cioè, seppure in misura limitata, della tanto vituperata economia di tipo sovietico?

Al momento attuale, è uno sviluppo che non ci sentiamo proprio di escludere.

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