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Il messaggio di Papa Francesco al mondo

Questo commento è stato pubblicato su La Gazzetta di Parma

Non c’è bisogno d’essere credenti, per cogliere la potenza del messaggio di Papa Francesco: è un uomo che crede, semplicemente. Non occorre essere italiani, per capire l’impatto delle sue parole: è il “vescovo di Roma” che parla al mondo.

Non è necessario essere ministri, per rendersi conto che il viaggio di Jorge Mario Bergoglio in Brasile rappresenti anche uno straordinario investimento di politica internazionale dell’Italia, e non soltanto di valori cristiani per il Vaticano. Di fatto il Papa si sta rivelando un grande “ministro degli Esteri” che, da Lampedusa a Copacabana, pone le questioni del nostro tempo.

Emigrazione e integrazione, ricchezza e povertà, fiducia nei giovani e nella loro capacità di cambiare il mondo. Non c’è sogno più italiano di questo, e non soltanto perché da Marco Polo a Cristoforo Colombo, da Leonardo Da Vinci all’astronauta Luca Parmitano oggi in orbita nella Stazione spaziale internazionale, tale aspirazione faccia parte della nostra identità nazionale e universale. Ma soprattutto perché, per interpretare tale sogno nel presente, il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” ha scelto la figura di Francesco come nome ed esempio.

Lui, l’argentino di origine piemontese, e fiero delle due cose, ha fatto quel che nessun Papa italiano aveva mai fatto, e ne sono passati quasi novanta da allora: prendere su di sé il nome bello di Francesco. Fare di quella povertà eroica un insegnamento di vita, cercando di testimoniarlo anche nei piccoli, grandi gesti d’ogni giorno. Sì, il Papa si porta la sua borsa da solo e abbraccia chiunque desideri la sua tenerezza. Forse Francesco d’Assisi, “il più italiano dei santi”, non era animato dalla stessa umiltà?

Si dirà: Bergoglio è proprio un prete. Da pontefice di una Chiesa in difficoltà, agisce con l’obiettivo di recuperare il gregge in libera uscita. Le sue considerazioni sono troppo semplici, quasi come un don Camillo parroco dell’universo. E la sua sfida ai gruppi di potere nella Santa Sede è disperata, una battaglia a metà tra l’impossibile Crociata e il naif. Insomma, sarebbe un Papa allo stesso tempo furbissimo e perdente, un po’ gesuita e un po’ don Chisciotte. Dategli una battaglia persa e lui, astutissimo, la farà sua.

Ma qui si sottovaluta un altro aspetto che è tipico dei latino-americani cresciuti nel culto non solo di Gesù, ma anche della famiglia italiana venuta “dall’altra parte del mondo”: lo spirito di sacrificio. Quel non aver paura d’avere coraggio, e perciò la naturalezza del saper vivere tra i vinti.

Non solo nelle periferie di Buenos Aires o tra le favelas di Rio, dove Francesco si muove a suo agio come un campione di nuoto in piscina. Perfino nel tifo sportivo Bergoglio è tra i pochi argentini a non esultare per il Boca Juniors, l’invincibile squadra di Maradona, ma per il meno famoso San Lorenzo, del quale non perde occasione per raccogliere magliette in dono. Sì, il Papa che porta la borsa con sé, può avere anche la sua “squadra del cuore”, a costo di dare qualche dispiacere universale a tutti gli altri appassionati.

Dunque, la passione, altro sentimento molto argentino e molto italiano. La passione contagiosa, la passione per un’idea, per gli altri, per una fede e non, stavolta, sportiva. La passione per la lingua italiana, che Francesco ha riproposto come lingua unica e universale persino nel giorno del saluto “urbi et orbi”. È un amore, quello per la lingua di Dante, che rafforza anch’esso il ruolo dell’Italia nel mondo e la battaglia culturale e politica per valorizzarla, e sempre più diffonderla.

In questi giorni di diplomazia italiana umiliata dalle vicende kazake e dal caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò da più di cinquecento giorni “prigionieri” dell’India, conforta sapere che esista anche un altro modo d’essere italiani nel mondo. Ed è la ragione principale che laicamente si possa rivendicare per comprendere la grande portata dei Patti Lateranensi nella Costituzione della Repubblica: libera scelta in libero Stato. Ma all’insegna dell’italianità.

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