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Tempi difficili alla Bce

Lungi dal surriscaldarsi, l’economia dell’area dell’euro è in difficoltà. L’aumento dei tassi di interesse sembra quindi contro intuitivo, ossia una misura da non mettere in atto. Ma la Bce deve dimostrare di essere in grado di contenere l’inflazione, anche al costo a breve termine di un rallentamento della crescita. L’analisi di Giuseppe Pennisi

Ci sono tempi buoni per essere un banchiere centrale, ma ci anche tempi cattivi. Poi c’è il 2022 alla Banca centrale europea (Bce). Il suo Consiglio direttivo si è riunito a Francoforte il 14 aprile, il suo secondo incontro formale da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, e da quando, quindi, l’economia internazionale –e quindi anche quella europea-navigano in una fitta coltre di incertezza. Ci si è messo anche il Covid; la presidente della Bce, Christine Lagarde, risultata “positiva”, ha dovuto partecipare da remoto ed anche da remoto ha tenuto la conferenza stampa.

La Bce è di fronte a un dilemma. L’inflazione nell’area dell’euro, che è stata elevata da quando sono state allentate le restrizioni Covid-19, ha raggiunto il 7,5% a marzo con l’esplosione dei prezzi dell’energia. L’ultimo lockdown cinese è destinato ad aumentare la pressione dal lato dell’offerta, facendo salire ancora di più i prezzi. E la guerra in Ucraina sta pesando pesantemente sulla ripresa post-pandemia dell’Europa. I sondaggi sui sentimenti delle imprese e dei consumatori sono crollati dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Lungi dal surriscaldarsi, l’economia dell’area dell’euro è in difficoltà. L’aumento dei tassi di interesse sembra quindi contro intuitivo, ossia una misura da non mettere in atto. Ma la Bce deve dimostrare di essere in grado di contenere l’inflazione, anche al costo a breve termine di un rallentamento della crescita.

Il Consiglio dell’istituto ha deciso che i tassi restano ancora tali e quali, come era previsto peraltro, dalla maggioranza degli analisti economici. I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimangono invariati rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al -0,50%. Non cambia nemmeno lo schema della “normalizzazione” della politica monetaria, ossia della uscita dalle «misure non convenzionali» iniziate nel 2012 ed accentuate durante la pandemia: l’obiettivo, ribadito dal Consiglio, è di mantenere il terzo trimestre del 2022 come data ultima per completare l’acquisto di obbligazioni a titolo dei vari programmi in cui si articola il Quantitave Easing (Q.E.). Eloquente il comunicato finale: In futuro, la politica monetaria della Bce dipenderà dai nuovi dati e dall’evolversi della valutazione delle prospettive da parte del Consiglio direttivo. Nelle attuali condizioni caratterizzate da elevata incertezza, il Consiglio direttivo manterrà gradualità, flessibilità e apertura alle opzioni nella conduzione della politica monetaria. Nella conferenza stampa, Christine Lagarde ha specificato: “Anche i rischi al rialzo che circondano le prospettive di inflazione si sono intensificati, soprattutto nel breve termine. Siamo molto attenti alle attuali incertezze e stiamo monitorando da vicino i dati in arrivo in relazione alle implicazioni per le prospettive di inflazione a medio termine”.

La precisazione della presidente è una chiara indicazione che membri del Consiglio avrebbero voluto iniziare sin da ora una politica monetaria meno “accomodante”, anche se non necessariamente un aumento dei tassi, ma con l’annuncio di un graduale tapering del Q.E. Tanto più che – come scritto su questa testata il 12 aprile- dal mese prossimo la politica monetaria Usa inizierà il Q.T.(Quantitative Tightening), ossia misure “non convenzionali” per restringere gradualmente l’offerta di moneta di fronte all’impennata di inflazione. La Bce non parla di Q.T come si intende farlo negli Usa (ossia senza reinvestire il ricavato delle vendite a maturity delle obbligazioni acquistate durante il Q.E.). Non solo gli acquisti netti saranno pari a 40 miliardi di euro ad aprile, 30 miliardi di euro a maggio e 20 miliardi di euro a giugno ma il ricavato verrà reinvestito integralmente.

Nel quadro di incertezza prevalente e con numerosi Paesi europei che rischiano di scivolare in qualche forma di stagflazione, una scelta attendista ha le sue giustificazioni: si attende che l’evoluzione degli avvenimenti riduca l’incertezza, come da libro di testo. Occorre, però, chiedersi sino a quando le politiche monetarie attraverso l’Atlantico potranno essere divergenti, senza provocare tensioni sui mercati dei capitali, principalmente su quelli obbligazionari. Gradualità, flessibilità *e* apertura alle opzioni nella conduzione della politica monetaria sono belle parole, ma alla fine occorre pur decidere.

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