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Non è un conflitto tra Stati ma una nuova Guerra Fredda

Non siamo alle prese con un conflitto tra Stati (come lo fu in gran misura nella Guerra Fredda) ma tra valori e visioni della politica, tra totalitarismi e democrazie. Come negli Anni Trenta

Dopo gli scontri (verbali) tra il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin e il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov, numerosi editorialisti si chiedono se siamo in una nuova Guerra Fredda.

Credo che non sia il raffronto adatto. La situazione della politica e dell’economia internazionale, soprattutto dopo l’aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, è molto più simile a quella che caratterizzava gli Anni Trenta del secolo scorso quando gli Stati Uniti (dove dominava una forte componente isolazionista) avevano a che fare con il riarmo della Germania (contro cui aveva già combattuto nella Prima Guerra Mondiale e contro cui avrebbe combattuto nella Seconda) e con un Giappone sempre più aggressivo e con il progetto di dominare l’area del Pacifico. E l’Europa era frammentata ed incapace di avere una politica estera e di difesa comune. Negli Trenta del secolo scorso, gli Stati Uniti ridussero le spese militari rispetto al Pil, nella convinzione che lo loro superiorità tecnologica e finanziaria (la crescita dopo la Grande Depressione) sarebbero state una barriera contro qualsivoglia attacco. Cambiarono rapidamente idea dopo le conquiste delle armate di Hitler in Europa e l’attacco giapponese a Pearl Harbor.

Durante la Guerra Fredda il confronto era essenzialmente tra Stati Uniti (ed un piccolo gruppo di Paesi europei, che non mostravano sempre una profonda convinzione), da un lato, e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss) e si svolgeva in gran parte sul vecchio continente. Gli europei erano piuttosto sparagnini in materia di spesa militare. Non mancavano guerre in Asia (Corea, Vietnam), che causarono milioni di morti, ma sembravano localizzate (anche se c’era la manina dell’Urss che dedicava una percentuale importante del proprio Pil alla spesa militare (non sono mai stati pubblicati dati esatti) ed estendeva il proprio ruolo geopolitico sino a quando, alla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso, l’inefficiente sistema comunista crollò: oggi il reddito pro capite nella Federazione Russa è stimato a 19.546 dollari annui, mentre la media Ocse è pari a 30.490 dollari annui. In breve, non è stata la spesa militare Usa e far barcollare, prima, e crollare, poi, la Urss, ma il dinamismo e l’efficienza dell’economia americana e di quelle di gran parte delle economie dell’Europa occidentale. Gli Usa, anzi, hanno ridotto la spesa militare rispetto al Pil: dal 9% nel 1960 è scesa al 5% alla fine degli Anni Settanta per risalire al 6,6% durante la Presidenza di Ronald Reagan e scendere di nuovo negli anni successivi- nel 2021 era al 4% del Pil.

Al pari della situazione negli Anni Trenta quando l’area del Pacifico era minacciata dal Giappone, ora incombe la Cina (e la sua “perenne fraterna amicizia” con la Federazione Russa). Pechino ha già dato prova di come, nonostante quanto disposto da trattati, volesse e potesse fare a Hong Kong e non nasconde le sue mire su Taiwan.

Mentre gli alleati degli Usa sul Pacifico hanno concluso un accordo di difesa (e stanno aumentando gli stanziamenti per il militare), l’Unione europea (Ue) pare ancora lontana da una politica di difesa comune e deve essere portata per mano dagli Stati Uniti.

Non siamo alle prese con un conflitto tra Stati (come lo fu in gran misura nella Guerra Fredda) ma tra valori e visioni della politica, tra totalitarismi e democrazie. Come negli Anni Trenta.

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