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Chi non deve parlare di Falcone e Borsellino

“Ma sia chiaro subito questo: non ho combattuto per fare l’eroe ma perché io sono stato un servitore dello Stato e della società di cui lo Stato è l’espressione. Lo Stato così com’è, senza idealismi, che deve essere rispettato. Il senso del dovere è conseguenza essenziale del mio lavoro. Ho lottato contro la mafia, poi, perché sono stato coerente con me stesso: io sono siciliano. Non avrei potuto fare altrimenti.”
Oggi, Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo e la sua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro vengono commemorati per quell’ignobile gesto di cui sono stati vittima, il 23 maggio del 1992 a Capaci.
 
Ma una commemorazione non esime né giustifica l’inerzia, gli insabbiamenti e il vizio della retorica da parte di tutti quegli italiani e della classe dirigente, che con finte lacrime hanno pianto voltando le spalle alla legalità e alla lotta alle mafie organizzate e non.
Un sentimento di democrazia ci ha ricordato il peso delle parole di Falcone e il sapore della loro energia quando, durante uno degli eventi della Biennale Democrazia, Don Luigi Ciotti nella sua arringa ha esclamato “La lotta alla Mafia si fa in Parlamento! Quelli che non fanno passare le leggi non parlino di Falcone e Borsellino”.
 
Non ne parlino tutti quelli che sanno e con il loro silenzio si sono protetti uccidendo altri innocenti, altri servitori dello Stato, la speranza di un Paese migliore in cui la “legalità si afferma come saldatura tra responsabilità e giustizia”. E non ne parlino tutti quelli che per comodità si comportano come se la mafia non esistesse, tutti quelli che ti rispondono “ma chi te lo fa fare” oppure “tanto la mafia esisterà sempre”. Tutti quelli che hanno e continuano a privilegiare criteri di selezione basati esclusivamente sull’anzianità piuttosto che la professionalità dei candidati, la loro conoscenza reale dei problemi, la serietà dell’impegno. Tutti quelli che difendendo una classe dirigente politico-mafiosa, supportano il negazionismo proclamando di innocenza i prescritti e la non collusione tra Lima e i Salvo, tutti quelli secondo cui il “concorso esterno” non è un reato.
 
La mafia non è invincibile e ognuno di noi può fare qualcosa. Questa è l’eredità morale e civile di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo e degli agenti della scorta che oggi hanno il volto e il sorriso di tutte quelle migliaia di giovani che sono arrivate a Palermo e che ogni giorno sentono su di essi il dovere di lottare contro tutte le mafie, non solo a Palermo.
 
 
Marta Fana
Laureata in Economia Europea presso l´Università di Roma Tor Vergata. Ha conseguito il Master of science a Toulouse School of Economics e il Master of Art in Economics presso il Collegio Carlo Alberto di Torino

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