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Femminicidio, cosa può fare il Parlamento

Questo commento è stato pubblicato ieri sul quotidiano “Il Tempo”.

Quando la statistica coincide con le notizie, significa che a nessuno è più consentito di girare la testa dall’altra parte. Dice, dunque, la statistica che ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo in Italia. E che si tratti di un dato medio, e non solo drammatico, lo confermano le ultime ventiquattr’ore quando, in due luoghi diversi e lontani tra loro -Marina di Massa e Taurisano in provincia di Lecce- due mariti si sono comportati allo stesso modo con le loro ex mogli: colpo di pistola a lei e poi a se stessi. Entrambi hanno ucciso e si sono uccisi, incuranti perfino del fatto d’avere figli in comune con le loro ex signore.

Come si vede, il femminicidio non implica soltanto la barbarie del maschio che uccide la donna, ma può lasciare a casa bambini orfani. Perciò è un delitto che provoca vittime due volte: la moglie e i figli. E tanto orrore dovrebbe bastare per indurre il Parlamento a occuparsene con una corsia preferenziale. Anzi, ad approfittare dell’annunciato prossimo esame del reato di omofobia che si vorrebbe introdurre nel codice, per legiferare pure sul delitto di femminicidio, anch’esso non ancora previsto nel nostro ordinamento.

Già sentiamo le obiezioni degli esperti in cavilli, che non sempre sono esperti in diritto. Essi diranno che proprio il principio della parità tra uomo e donna così a lungo irriso -al punto che negli anni i governi sono stati costretti a inventarsi l’apposito dicastero delle Pari opportunità-, rende complicata la configurazione del delitto contro la persona-donna. Altri suggeriranno di prevedere, semmai, delle aggravanti o, magari, di non riconoscere alcuna attenuante all’uomo-assassino e imputato. Altri ancora consiglieranno percorsi alternativi, per arrivare a condanne almeno certe.

Lungi da noi entrare nel dibattito tra giuristi. Ma l’importante è che il legislatore trovi una soluzione severa per contrastare un fenomeno che è in pieno corso, ripetitivo e con caratteristiche simili anche in casi totalmente differenti tra loro. Intanto, è bene ricordare che le vittime del femminicidio  sono di solito mogli, ex mogli o compagne nella vita di coppia. E che molto spesso -troppo spesso- questo delitto ha avuto precise e ricorrenti avvisaglie. L’allarme era suonato più volte con le denunce che quasi sempre queste povere donne ammazzate e sole avevano fatto per persecuzioni, molestie, minacce, atti di violenza fisica o verbale da parte dell’uomo impunito. Impunito e raramente “richiamato”.

E qui siamo al nocciolo del tema: che può fare il Parlamento non solo per rendere il crimine un crimine grave, ma soprattutto per prevenirlo? Perché la mano omicida va fermata in tempo. E, per poterlo fare, le forze di polizia e le procure devono avere gli strumenti normativi per intervenire subito e con vigore. Già esiste, per esempio, la via dell’ammonimento che il questore può attivare nei confronti del persecutore chiamato in causa dalla sua vittima. Una sorta di “cartellino giallo” che, con ogni evidenza, va rafforzato in sede legislativa: deve diventare cartellino rosso, per poter dissuadere, fosse anche col carcere cautelare, il molestatore abituale o pericoloso.

Ma siamo ai giorni in cui la Corte costituzionale ha appena sentenziato che non è obbligatorio, bensì facoltativo mandare dietro le sbarre i sospettati stupratori di gruppo. Finché non arriverà una condanna definitiva -se mai arriverà-, essi potranno attendere tranquilli nella casa di mamma il corso dei processi. E i sentimenti, le ferite, la vita personale e sociale della vittima dello stupro? Chi se ne importa. Anche lei a casa, ma in attesa di una giustizia che già si rivela ingiusta: due pesi e due misure per un altro reato gravissimo.

Ecco, serve una svolta culturale e morale, prima ancora che giuridica e politica. Il Parlamento deve prendere atto che la violenza alle donne va punita con i parametri della “tolleranza zero”. Prima che sia troppo tardi.

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