Dopo aver declinato il compromesso avanzato da Macron e aver posto il veto sull’imposta minima decisa da G20 e Ocse, Varsavia vuole strappare a Bruxelles i fondi per il Recovery Plan, che erano stati bloccati per le violazioni polacche dello stato di diritto
A quanto pare, la “cordiale diffidenza” tra l’Unione Europea e l’indisciplinata Varsavia è ormai oggetto di cronaca e materiale quasi scontato assimilato di default dalla rassegna stampa continentale. Raffiche di veti, alterchi, scontri a muso duro, piccoli intermezzi di distensione, e ancora tattiche e stratagemmi per sfuggire all’avversario o costringerlo ad arretrare con le spalle al muro. Eppure, questa scintilla non ha nulla a che vedere con lo stato di diritto né con il contendersi dei fondi europei, o almeno così sembrerebbe.
La sequenza è la seguente: il 20 dicembre 2021 sono state pubblicate le linee guida Ocse seguite dalla pubblicazione della proposta di Direttiva Ue, il 14 marzo 2022 è stato reso pubblico il Commentario alle linee guida che inaugurava la consultazione pubblica riguardo l’implementation framework del nuovo sistema. Parliamo della volontà di imporre una minimum tax, pari al 15%, alle multinazionali, dalla cui applicazione si delimiterebbero nuove intese e forme di cooperazione internazionale e inediti indirizzi in materia di politica fiscale. Un accordo raggiunto l’anno scorso al G20 a guida italiana anche grazie all’azione di Mario Draghi, Janet Yellen, Daniele Franco e Vincenzo Visco.
Il 5 aprile, la Polonia è stato l’unico paese dei 27 ad aver declinato il compromesso proposto dalla Francia ponendo, perciò, il veto sull’imposta minima. Il governo polacco teme che questa tassa possa acquisire efficacia senza l’ausilio di paletti normativi che impediscano alle multinazionali di accumulare profitti in territori che, invece, prospettano condizioni più agevoli. Allora, la giustificazione propinata da Varsavia ai partner europei non convinse il Ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, il quale esortò i colleghi polacchi a prendere esempio dallo “spirito irlandese”. Infatti, in precedenza, Svezia, Estonia e Irlanda si erano unite al tentativo promosso da Varsavia nel bloccare il compromesso per poi ritirare le obiezioni sollevate dato che “tutte le difficoltà tecniche erano state risolte”.
Ma il punto di vista polacco, come al solito, è tutt’altro che semplice da rimodellare, soprattutto in vista della riunione Ecofin di oggi. Il ministero delle Finanze ha garantito che “farà ogni sforzo” affinché la riforma dell’Ocse entri in vigore, ma non intende introdurre nuovi oneri sulle imprese nazionali senza risolvere il problema dell’equa tassazione delle Big Tech. Fonti vicine al governo Morawiecki sostengono che il compromesso potrà avvenire solo dopo il termine della Presidenza francese del Consiglio dell’Unione; le critiche che Emmanuel Macron ha riservato nei confronti del premier polacco inducono Varsavia a procrastinare la decisione in merito alla global minimum tax, probabilmente a luglio, quando i cechi assumeranno la presidenza e con i quali il dialogo risulterebbe meno ostico.
Se l’aliquota minima del 15% sembra essere un elemento esaustivo della riforma fiscale globale, il ministero delle Finanze polacco sottolinea di voler includere due pilastri, mentre attualmente l’ Ue si concentra su uno solo. Il primo riguarda gli interessi dei colossi come Google (Alphabet), Facebook (Meta), Apple e Amazon, ovvero dei fatturati che superano la soglia di 20 miliardi, il secondo implica anche le società che generano annualmente almeno 750 milioni di ricavi consolidati.
In buona sostanza, Varsavia propone l’adozione di entrambi i pilastri della riforma dell’OCSE nell’UE , in modo tale che l’entrata in vigore del secondo sia subordinata giuridicamente allo stato di avanzamento dei lavori sul primo. Ed è proprio questo postulato, secondo Piotr Arak, direttore dell’Istituto economico polacco, l’unico punto di convergenza possibile.
“Il concetto di un’imposta minima sulle società incide sull’attrattività degli investimenti ubicati nelle zone economiche speciali polacche” afferma Arak. “Attualmente stiamo registrando un record di investimenti esteri e non possiamo rinunciare a questo vantaggio competitivo. Non può rinunciarvi la Polonia né l’intera Europa centrale e orientale”.
Inoltre, il Ministro delle Finanze polacco sottolinea che la proposta dell’UE si applica anche alle grandi imprese locali, ovvero quelle che operano solo a livello nazionale.
“La situazione in cui l’UE impone oneri aggiuntivi alle società polacche, e il tema della tassazione delle grandi società rimane irrisolto, ed è semplicemente inaccettabile per la Polonia. La nostra amministrazione farà ogni sforzo per garantire che entrambe le parti di questa soluzione entrino in vigore”.
Piotr Wołejko, esperto della Federazione degli imprenditori polacchi, ritiene che “l’approccio attraverso cui sarà garantita l’introduzione di entrambi i pilastri contemporaneamente, con un’adeguata vacatio legis (concedendo alle aziende la possibilità di adeguarsi alle nuove normative) è sacrosanto, ed è comprensibile che le nuove regole si applichino a livello globale, come concordato dall’OCSE. In caso contrario, sorgerà una concorrenza malsana tra l’UE e il resto dei paesi. Nelle attuali condizioni economiche, qualsiasi differenza di questo tipo può decidere di reindirizzare gli investimenti o le attività verso realtà più attraenti”.
E nonostante le argomentazioni per conferire una difesa plausibile al veto posto nell’ultima riunione, i funzionari dell’UE faticano a confidare nella buona fede polacca. Numerosi diplomatici e funzionari della Commissione restano del parere che la scelta da parte di Varsavia di tenere in fase di stallo il fascicolo sia un modo per costringere la Commissione europea a sbloccare i fondi stanziati per gli investimenti post-Covid, che Bruxelles ha vincolato all’adesione di Varsavia ai principi dello stato di diritto.