L’ex ministro della Funzione pubblica nel governo De Mita ricorda lo storico segretario Dc morto oggi a 94 anni. La conoscenza nel 1976, la simpatia a pelle, le divergenze di vedute ma anche una grande stima reciproca. Conversazione con Paolo Cirino Pomicino
Cosa mancherà di più ai politici che verranno di Ciriaco De Mita? Paolo Cirino Pomicino non ha dubbi: “Mancherà il tentativo di spingere i rappresentanti politici a un pensiero compiuto, diversamente la politica è solo banale amministrazione”. De Mita, storico segretario della Democrazia cristiana, unico ad aver ricoperto l’incarico alla presidenza del Consiglio nel corso della guida del partito, si è spento oggi a 94 anni.
Pomicino, com’è avvenuto il primo incontro con Ciriaco De Mita?
Era il 1976, ero stato appena eletto alla Camera dei Deputati. Lì conobbi Ciriaco De Mita, simpatizzammo fin da subito. Anche se lui mi prendeva un po’ in giro, mi disse che a causa del doppio cognome non avrei fatto carriera… Naturalmente sbagliava. Il nostro è stato un rapporto double face, nel senso che a legarci era una reciproca empatia, ma avevamo anche idee profondamente diverse. Nel corso dei tanti congressi democristiani, vi era sempre un forte dissenso tra le nostre aree di riferimento, ovviamente parliamo di un “dissenso civile”, come avveniva tra le correnti della vecchia Dc. Ad esempio, in Campania, lui preferiva mantenere l’alleanza con i dorotei di Gava piuttosto che con noi…
Parliamo dei rapporti che intercorrevano tra De Mita e Andreotti…
Certamente si rispettavano, ma De Mita non condivideva la gestione politica e amministrativa esercitata dalla dirigenza andreottiana. La verità è che, dopo la morte di Moro, Andreotti era l’unico costituente di rilievo ancora in vita, e quando Ciriaco fu eletto segretario politico nell’83 coltivò sempre una certa diffidenza nei suoi confronti. Anche se nel 1980 e nel 1983 i due fecero massa comune.
E nel 1989 De Mita divenne “l’uomo del doppio incarico”, segretario del partito e presidente del Consiglio…
Esatto! Nessuno vedeva di buon’occhio quella duplice investitura. Perché tra i democristiani circolava un antico proverbio: l’eccessiva concentrazione di potere altro non è che il diavolo tentatore. Infatti, sei mesi dopo andò via dal governo.
C’è un vecchio aneddoto che De Mita amava raccontare spesso, secondo cui Montanelli lo avrebbe descritto come una sorta di capo-mafia, equiparando in maniera automatica e semplicistica la provincia di Avellino ad una zona di camorra. Un giorno, Montanelli chiede di essere ricevuto dal segretario della Dc, a quel punto De Mita lo saluta: piacere Cutolo!
Già, già… Il solito razzismo nei riguardi degli uomini del Mezzogiorno che contamina diversi circoli politici e giornalistici del nord. Un razzismo che sfiorò persino Moro, che pure non aveva le asperità caratteriali di De Mita. Si trattava di una stupida intolleranza regionale. Però, alla fine della giostra, non è che De Mita si preoccupò più di tanto… Infatti è stato il segretario più longevo della Democrazia cristiana.
Ha svolto un ruolo importante anche sul piano internazionale: ad esempio l’appoggio incondizionato a Solidarność in Polonia, alla Perestrojka di Gorbačëv.
Sì, la prima visita di Stato da presidente del Consiglio la fece a Mosca con Gorbačëv, portandosi dietro tutta una serie di ministri di settore per iniziare un concreto e comune percorso, per favorire la Perestrojka e l’evoluzione della società russa che lui auspicava in maniera molto forte.
Andiamo a un passato più recente. Ricordo lo scontro proverbiale con Matteo Renzi durante la campagna referendaria del 2016. De Mita difese le ragioni del No con la forza e la grinta di un leone. Cosa accadrà quando i testimoni della Prima Repubblica non ci saranno più?
Della Prima Repubblica si parlerà sempre, perché sempre si parlerà della politica. Invece, la Seconda Repubblica scomparirà oltre l’orizzonte storico poiché non ha avuto nulla di politico. In questi anni, abbiamo visto molto potere, ma niente politica. È scomparsa ogni identità culturale, e questo ci ha relegato ad una posizione di assoluta irrilevanza sul piano internazionale. Oggi, invece, molti giovani amministratori mi chiedono insistentemente (come ad altri miei coetanei) di dispensar loro consigli in merito a tesi di laurea, strategie politiche; pretendono ragionamenti profondi, frequentazioni assidue. A testimonianza di una fame politica che non è evasa dall’attuale sistema politico.
Cossiga disse: la politica è una droga che non prevede disintossicazioni. De Mita, fino all’ultimo respiro, ha ricoperto una carica pubblica, confrontandosi quotidianamente con elettori e detrattori, organizzando il consenso…
Infatti, noi interpretavamo e mettevamo in pratica la nostra idea della politica tramite il rapporto fisico con l’elettore, che impediva qualsiasi forma di trasformismo parlamentare. Avevamo un doppio vincolo: l’appartenenza culturale al partito politico a cui avevamo deciso di dedicare la nostra vita, e il voto dell’elettore che crociando quel partito legava il nostro destino a quello della comunità politica che rappresentavamo all’interno delle istituzioni repubblicane.
Cos’hai provato nell’apprendere la notizia della sua scomparsa?
Sono rimasto molto colpito. In questi mesi, dopo la rottura del femore, eravamo tutti impauriti, tutti sul chi va là. Poi, è giunta la notizia, ed è stato un dolore forte sotto molti punti di vista. Ma nella tragica realtà c’è sempre un elemento comico, perché questa mattina avevo capito che era morto Vincenzo De Luca…
Ma dai…
Giuro, ma nella tradizione napoletana questo è un augurio per Vincenzo De Luca, gli allunga la vita!
Quale aspetto del pensiero di De Mita ritiene che mancherà all’Italia e alle nuove generazioni?
Mancherà il tentativo di spingere i rappresentanti politici a un pensiero compiuto, diversamente la politica è solo banale amministrazione, non è una guida all’interno di una comunità locale o di una società nazionale. Era questa la sua permanente ossessione, l’unica via per il rilancio del sistema politico italiano.