È proprio nei momenti di asperità che il bisogno di arte e bellezza si avverte di più, e ci accorgiamo di quanto siano indispensabili. Pubblichiamo un estratto del libro “Con la cultura non si mangia?” del ministro della Cultura Dario Franceschini (La nave di Teseo, 2022)
Le colonne in stile neoclassico e il frontone con le statue ora sono solo macerie. Il teatro di Mariupol era divenuto rifugio reale e non solo metaforico per migliaia di persone. In Consiglio dei ministri è stata approvata la mia proposta di offrire all’Ucraina mezzi e risorse per riedificarlo, non appena sarà possibile. I teatri appartengono all’intera umanità. È un piccolo segnale di vicinanza, concreto e insieme simbolico: ricostruire un luogo di cultura, arsenale di pace e conoscenza.
Prima la pandemia, e ora i venti di guerra a lambire l’Europa. Viviamo un tempo in cui molte delle nostre certezze sono messe in discussione. L’invasione dell’Ucraina sembra aver riportato indietro le lancette della storia, a un clima di contrapposizione che pensavamo fosse tramontato con la guerra fredda. Lo scenario geopolitico basato sul multilateralismo che si era delineato dopo la caduta del muro di Berlino traballa. Abbiamo assistito con sgomento alla sopraffazione di un Paese democratico e indipendente, al ricorso della violenza per riscrivere i confini. Davanti ai nostri occhi morti, missili, macerie, la sofferenza di chi resiste e di chi fugge. Eppure l’Europa, spesso dipinta come divisa e balbettante, di fronte a una crisi ha coraggiosamente rilanciato il percorso di integrazione, come altre volte è accaduto nella sua storia. Ha reagito compatta, scegliendo una linea di fermezza, sanzioni e solidarietà.
Lo stesso ha fatto con il Covid. Nel momento più difficile, ha scommesso sugli eurobond e sulla sospensione del patto di stabilità, mettendo in campo enormi risorse. Sono stati anni duri: abbiamo attraversato un deserto, dove ci siamo sentiti più vulnerabili e smarriti. Il primo pensiero è al dolore e ai lutti dei nostri concittadini, e all’impegno generoso di chi è stato in prima linea per affrontare l’emergenza. Le conseguenze sono state drammatiche per il sistema economico, per il lavoro e per la privazione della dimensione sociale e aggregativa che rappresenta il tessuto connettivo delle nostre comunità.
Il mondo della cultura è stato fra i più colpiti, prima con la chiusura dei suoi spazi, dai teatri, ai cinema, ai musei. E poi nella fase di riapertura a causa delle restrizioni, delle norme per il distanziamento, e di una certa titubanza del pubblico, tra disabitudine e timori. Allo stesso tempo è proprio nei momenti di asperità che il bisogno di arte e bellezza si avverte di più, e ci accorgiamo di quanto siano indispensabili. Si è trattato di un impoverimento per tutti, non solo per chi di questi settori vive e ne ha fatto una professione. Per mitigare le difficoltà, oltre alle misure di carattere generale del governo che hanno riguardato indistintamente tutti i settori economici del Paese, il Ministero della Cultura è intervenuto in modo specifico con più di cento decreti per un valore di oltre 12 miliardi di euro. Una cifra impressionante che dimostra quanto quest’universo così complesso e plurale – dal cinema e audiovisivo al teatro, alla musica, all’editoria, al turismo culturale, ai musei, alle industrie culturali e creative, fino alla tutela del patrimonio – sia stato sconquassato dall’emergenza.
La pandemia ha evidenziato criticità preesistenti, come la condizione dei lavoratori dello spettacolo, che non si erano mai visti riconosciuti adeguate tutele e ammortizzatori sociali. Lo sviluppo è sempre meno basato su cantieri e fabbriche e sempre più sull’industria creativa e immateriale, più sui contenuti che sui contenitori. La ripresa italiana si giocherà su questa frontiera innovativa, sulla capacità di rompere gli schemi. Scaturirà dal talento, dalla fatica e dall’immaginazione di designer, art director, fotografi, artisti, musicisti, ricercatori, scrittori e scienziati. Una filiera che rappresenta il terzo settore più importante sul piano occupazionale, superando in termini numerici l’industria alimentare, automobilistica e immobiliare. Una realtà vivace, che può fare da traino ed è in grado di produrre un valore che va oltre i semplici ricavi economici, interpretando l’anima stessa del nostro paese.
Come ha sottolineato il presidente Mattarella nel discorso al Parlamento: “La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana. Facciamo in modo che questo patrimonio di ingegno e di realizzazioni, da preservare e sostenere, divenga ancor più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico”. Una centralità testimoniata dalla scelta significativa del presidente Draghi di incontrare la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in un luogo simbolo del passato e del futuro della nostra industria culturale, come gli stabilimenti di Cinecittà. E confermata dalle scelte del Pnrr, dove sono previsti per il settore quasi 7 miliardi di euro, la cifra in assoluto e in percentuale più alta di tutti i Piani nazionali di ripresa e resilienza.
In ogni campo germogliano nuove consapevolezze e sensibilità, che la politica ha il compito di incoraggiare. Senza volerlo, l’apocalisse che abbiamo passato, ci ha costretto a prendere in considerazione vie inedite o poco battute. A riflettere sull’attuale modello di società, a immaginare una riprogettazione degli spazi urbani e di quelli domestici, a riannodare i fili del solidarismo, a rivedere il nostro rapporto con le risorse naturali e l’equilibrio del pianeta, a lavorare per uno sviluppo sostenibile. Un ripensamento che nel nostro Paese può essere il lievito di una stagione di crescita duratura, se assumerà come pilastri le arti, i saperi, il paesaggio, la creatività. Ripartire dalla cultura è l’unica via possibile per costruire un’Italia capace di cambiare e di crescere. Allo stesso modo la cultura sarà essenziale dopo la guerra in Ucraina, quando dalla logica della forza e delle armi si passerà a quella della ricostruzione, per lenire e ricucire, per cercare di riaprire spazi di dialogo anche tra chi si è combattuto.