Gli americani sono impegnati in un dibattito su quanto e come l’indice del costo della vita colpisce direttamente le tasche dei consumatori. Ma qual’è l’indicatore utilizzato per questa misura e come funziona nell’Unione europea? L’analisi di Pennisi
Negli Stati Uniti è in corso un dibattito su quanto morde questa ondata di inflazione che potrebbe precederne uno analogo in Europa. Negli Usa il confronto non è solo sule riviste accademiche ma anche sulla stampa quotidiana e, per alcuni aspetti, ricorda quello in Italia sul catasto. In aprile, l’indice dei prezzi al consumo, calcolato dal Bureau of Labor Statistics, ha evidenziato un aumento dell’8,3% rispetto a 12 mesi prima. Questa non è la core inflation (depurata da beni i cui prezzi sono molto variabili, come i generi alimentari e l’energia) ma l’indice del costo della vita che colpisce direttamente le tasche dei consumatori.
Una scuola di pensiero – ad esempio in un lavoro accademico pubblicato sull’autorevole Quarterly Journal of Economics – sostiene che la cifra è una sottostima in quanto è stato ritoccato il paniere in materia di case di abitazione civile. Non viene stato computato il prezzo di mercato delle abitazioni ma “il canone di locazione equivalente (che dovrebbe pagare il proprietario)”. Il ragionamento alla base del cambiamento non è banale. Un’abitazione è un investimento in conto capitale che negli anni si apprezza e, ove la si vende, si incassa la plusvalenza. Mentre “il canone di locazione equivalente” è puro consumo. Quindi, nel calcolo dell’indice dei prezzi al consumo, il secondo è più appropriato del primo.
L’aspetto curioso è che il dibattito scoppia adesso mentre la modifica del computo dell’indice è stata effettuata nel lontano 1983. La ragione risiede nel fatto che a ragione di una breve stasi durante la pandemia e della vera e propria pioggia di liquidità fornita, sia dalle autorità monetarie sia dal bilancio federale, il aprile il prezzo di compravendita delle case ha segnato un incremento del 60% rispetto a cinque anni prima; oggi il prezzo mediano di una casa sfiora i 400.000 dollari.
Il dibattito su quale indicatore utilizzare per le abitazioni nel calcolo dell’indice del costo della vita ne innescato un altro: con quale frequenza modificare “il paniere” che è alla base dell’indice del costo della vita. I consumatori cambiano gusti, oppure se un prodotto diventa, a loro giudizio, troppo “caro” passano ad un succedaneo. Il Bureau of Labor Statististics è accusato di essere troppo lento nel percepire i cambiamenti e di utilizzarli per un indicatore poco conosciuto, il Chained Consumer Price Index, che in Aprile mostrava un aumento del 7,8% rispetto ad un anno prima.
Non sta al vostro chroniqueur entrare, su questa testata, in un dibattito metodologico. È interessante notare che negli Usa sia nelle prime pagine dei giornali e serva, quindi, da pungolo agli uffici statistici.
Diversa la situazione nell’Unione europea (Ue) dove l’Indice armonizzato dei prezzi al consumo è calcolato dagli uffici statistici nazionali coordinati dalla Direzione Generale per la Statistica della Commissione (di norma chiamata Eurostat). Ci sono frequenti dibattiti tra specialisti, ma poco sembrano interessare stampa ed opinione pubblica. All’ultima conta, l’Indice armonizzato dei prezzi al consumo nell’Ue viaggia al 7,439% l’anno. In Italia, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,2% su base mensile e del 6,2% su base annua (da +6,5% del mese precedente). Il rallentamento dell’inflazione su base tendenziale si deve prevalentemente ai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +50,9% di marzo a +42,4%) ed è imputabile sia ai prezzi degli energetici regolamentati (da +94,6% a +71,4%) sia a quelli degli energetici non regolamentati (da +36,4% a +31,7%). Decelerano anche i prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +3,3% a +2,4%). Accelerano invece i prezzi dei beni alimentari lavorati (da +3,9% a +5,4%), quelli dei beni durevoli (da +1,6% a +2,2%), dei Beni non durevoli (da +1,3% a +2,1%) e i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +1,0% a +5,1%).
Pertanto, la core inflation,’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +1,9% a +2,5% e quella al netto dei soli beni energetici da +2,5% a +2,9%.
Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo) registra un aumento su base mensile dello 0,6% e del 6,6% su base annua (da +6,8% nel mese precedente). L’aumento congiunturale, più marcato rispetto a quello del Nic, è spiegato dalla fine dei saldi stagionali prolungatisi in parte anche a marzo e di cui il Nic non tiene conto; i prezzi di Abbigliamento e calzature registrano infatti un aumento congiunturale pari a +5,4%.
L’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione europea (sigla Ipca) è un indice calcolato sviluppato per assicurare una misura dell’inflazione che fosse comparabile a livello europeo; l’indice, riferito alla stessa popolazione ed allo stesso territorio dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, è però calcolato in relazione ad un paniere di beni e servizi costruito tenendo conto sia delle particolarità di ogni paese sia di regole comuni per la ponderazione dei beni che compongono tale paniere (ad esempio il paniere considerato esclude, sulla base di un accordo comunitario, le lotterie, il lotto e i concorsi pronostici); l’indice è stato assunto come indicatore di verifica della convergenza delle economie dei paesi membri dell’Ue al fine dell’accesso all’Unione monetaria e della permanenza nella stessa dei paesi aderenti.
Un’importante differenza rispetto agli altri due indici nazionali riguarda inoltre il tipo di prezzo considerato nell’effettuazione del calcolo dell’indice: mentre gli indici nazionali considerano sempre il prezzo pieno di vendita, l’indice europeo fa invece riferimento al prezzo effettivamente pagato dal consumatore; così nel caso, ad esempio, dei medicinali i primi considereranno il prezzo pieno delle confezioni mentre quest’ultimo utilizzerà, nel calcolo, la quota effettivamente a carico del consumatore (il ticket) così come, per gli altri beni e servizi, terrà conto di saldi e promozioni.