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Putin vs generali. Rebus a Mosca sulla fase tre della guerra

Di Lorenzo Riggi

La tenaglia nel Donbas, l’obiettivo Odessa, la controffensiva ucraina e i guai sul campo, da entrambe le parti. Come va la guerra a Vladimir Putin? Non così bene. E a Mosca i generali hanno altre idee. L’analisi di Lorenzo Riggi (Geopolitica.info)

Lo spostamento del conflitto in Ucraina dalle regioni settentrionali al Donbass è stato il tratto fondamentale di questa seconda fase della guerra. A differenza delle prime settimane del conflitto, durante le quali le forze russe hanno subito importanti rovesci a causa di una generale inadeguatezza dello strumento militare di Mosca, in questa seconda fase del conflitto l’esercito russo sta avanzando nel Donbass in modo lento ma costante, imponendo agli ucraini un pesante tributo di sangue.

L’avanzata delle ultime settimane non è solo spiegabile attraverso il cambiamento del contesto operativo più ampio, dalla guerra urbana che ha caratterizzato la prima parte del conflitto ad una guerra condotta nei grandi spazi del Donbas, ma anche in virtù di una diversa gestione dello strumento militare russo.

In particolare, il primo elemento di novità rispetto alle prime settimane del conflitto è stata la nomina a comandante delle operazioni del Generale Aleksander Dvornikov, che secondo alcune indiscrezioni potrebbe essere stato sostituito negli ultimi giorni dal Generale Gennady Zhidko in virtù di una ordinaria rotazione dei vertici delle forze armate.

La nomina di Dvornikov, da un lato, ha permesso la creazione di un livello di comando di teatro, intermedio tra le forze sul terreno e il Cremlino, dall’altro ha portato a una diversa gestione delle operazioni incentrata su tre elementi fondamentali: l’impiego diffuso delle milizie delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, l’uso di vaste concentrazioni di artiglieria campale e semovente e lo schieramento di forze speciali e mercenari per operazioni sotto copertura finalizzate a facilitare lo sfondamento con le forze regolari. Tali fattori hanno consentito alla Russia di avanzare in modo significativo nel Donbass, occupando la quasi totalità dell’Oblast di Lugansk e muovendo in modo sistematico verso l’occupazione dell’Oblast di Donetsk, ancora ampiamente conteso dalle forze ucraine.

L’elemento di maggior rilievo però in questa fase del conflitto è stato il cambiamento nel “centro di gravità” del conflitto, ovvero di quel fattore che una volta acquisito potrebbe portare a un’evoluzione favorevole della guerra per Mosca. Se nelle prime settimane della guerra questo era rappresentato dalla capitale, Kiev, e dal presidente Zelensky, la cui eventuale cattura o fuga avrebbe potuto portare ad una rapida vittoria per Mosca, in queste ultime settimane il centro di gravità delle operazioni nel Donbass è rappresentato non solo dalla conquista della regione in senso stretto, quanto piuttosto dalla cattura, eliminazione o accerchiamento del dispositivo militare ucraino impiegato nella regione.

Qualora ciò avvenisse infatti, Kiev si troverebbe priva delle proprie unità migliori, poiché i reparti dispiegati nel Donbass rappresentano le forze più importanti dell’esercito regolare ucraino, con conseguenti ripercussioni sul morale e l’efficienza del resto delle forze armate.

Per tale ragione, la difesa di Severodonesk, dove ancora si combatte, e Lysychansk risulta cruciale per Kiev, mentre la loro cattura è un obiettivo tattico fondamentale per Mosca. Inoltre, caduta questa linea difensiva, l’unica altra possibilità di resistenza nel Donbass per le forze ucraine è rappresentata dall’asse Slov”jans’k- Kramatorsk, che verosimilmente diventerà il teatro nelle prossime settimane di violenti combattimenti. La loro caduta infatti consentirebbe alle forze russe di manovrare alle spalle delle unità dispiegate lungo la linea di contatto prebellica e di muovere potenzialmente verso Dnipro o Zaporižžja, prive di linee difensive intermedie.

Malgrado i successi riportati finora dalle forze russe, non si possono tacere alcuni limiti significativi del dispositivo militare russo. In particolare, l’elemento più evidente è la carenza di uomini sul fronte. Se dalla dimensione locale saliamo infatti al teatro nel suo complesso, le forze di Mosca risultano infatti insufficienti a sostenere una lunga campagna di logoramento, poiché non è al momento possibile garantire un ricambio adeguato degli uomini impegnati in combattimento.

Proprio su questo punto sarebbe emerso un primo elemento di frizione tra Dvornikov e Vladimir Putin, il quale avrebbe voluto aprire già alcune settimane fa alla contrattualizzazione dei soldati over-40 per avere maggiori forze al fronte, a differenza del generale che avrebbe voluto invece attendere ulteriori sviluppi sul campo. Oltre alla carenza di uomini, emerge ancora una scarsa cautela da parte dei comandanti sul campo, come dimostrato dalla distruzione di un battaglione russo che tentava di attraversare il Severskij Donec, barriera naturale a protezione di Severodonesk, alcune settimane fa. In quell’occasione, le unità russe sono state sorprese da un bombardamento di artiglieria, coordinato dall’impiego di droni da ricognizione, subendo pesanti perdite in virtù di un dispiegamento inadeguato e incauto.

In conclusione, entrambe le parti si trovano in una fase complessa delle rispettive campagne militari. Per le forze armate di Kiev, la tenuta del Donbass è un obiettivo fondamentale poiché qualora fosse totalmente occupato, le grandi città del sud non sarebbero difendibili e i migliori reparti ucraini andrebbero perduti.

Per Mosca, la conquista completa degli Oblast di Lugansk e Donetsk sarebbe un primo risultato significativo dell’”Operazione militare speciale” da presentare all’opinione pubblica interna e internazionale, nonché un’occasione per recuperare, almeno in parte, l’immagine e il morale delle proprie forze armate. Superati i primi 100 giorni del conflitto, è ormai appurato che la guerra sia destinata a protrarsi, a meno di imprevedibili riprese del negoziato all’indomani della stabilizzazione del Donbas.


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