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Il paradigma del cambiamento

Per la comunità di intelligence lo scenario è mutato profondamente con gli attentati dell’11 settembre. L’idea, connaturata al “decennio tecnologico” degli anni ’90, che esistesse un forte primato dell’informazione elettronica, della cosiddetta SIGint (Signal intelligence) rispetto alla raccolta di informazioni da fonti umane, la cosiddetta HUMint (Human intelligence) – o che questa, addirittura, potesse sparire in prospettiva – si è rivelata illusoria. A dire il vero il fallimento del determinismo tecnologico-militare già traspariva nel fiasco dell’Operazione “Infinite Reach”, la rappresaglia missilistica Usa per gli attentati a Khartoum e Nairobi dell’agosto 1998. In quell’occasione, la copertura degli obiettivi (i campi di Al-Qaida in Afghanistan e una sospetta fabbrica di armi chimiche in Sudan) venne affidata ai missili da crociera Tomahawk lanciati da navi centinaia di miglia al largo dell’Oceano Indiano. In entrambi i casi non si ottennero i risultati sperati. Abbondavano i rapporti sulle immagini satellitari, ma era evidentemente deficitaria la conoscenza delle dinamiche sul terreno, quella che solo tentativi di infiltrazione, confidenti, rapporti fiduciari con le parti in causa, avrebbero potuto dare. Quella che, tanto per restare nell’area, aveva a disposizione il servizio segreto alleato-competitore, l’Interservice intelligence pakistana, cui in effetti Washington ha nuovamente dovuto rivolgersi dopo il 2001 per poter ristabilire contatti con i guerriglieri afghani.
Il paradigma secondo gli esperti è decisamente cambiato, o comunque la direzione sembra quella di un cambiamento verso una maggiore integrazione di fonti aperte, non classificate, e quindi del ruolo dell’Open source intelligence (Osint). Su questo campo incombe la tradizionale attività di intelligence economica ed industriale, che si intreccia con la protezione dei dati commerciali sensibili compiuta dalle grandi aziende e, nei Paesi in via di sviluppo come la Cina, con il reverse engineering di prodotti tecnologici. La ricomposizione delle fonti informative implica un ripensamento delle strutture, e una nuova suddivisione tra ambiti civili e militari, esteri ed interni. Questo comporta almeno due effetti. In primo luogo, gli studi strategici che vengono oggi coltivati (anche al di fuori degli Stati Uniti) come nuova disciplina internazionale, combinano apporti delle scienze economiche, finanziarie, politiche e militari. In secondo luogo, per le potenze industriali esposte alle “catene lunghe” degli approvvigionamenti di commodities, alla variabilità di congiunture economiche globali e ai rischi politici dei mercati dell’export, si tratta di ridisegnare tecnologie e mappe organizzative per monitorare in continuazione le profondità del mercato mondiale. La costruzione di questa capacità è un compito che si pone, in misura diversa ma sostanzialmente nella stessa direzione, per Paesi come Italia, Francia e Germania.
Nel nostro Paese il 2007 ha segnato l’entrata in vigore della riforma dei servizi, approvata dal Parlamento con voto bipartisan. La scelta del legislatore è stata concettualmente netta, indicando il superamento della distinzione tra branca militare (ex Sismi) e branca civile (ex Sisde) e ripartendo le funzioni miste civili-militari tra il servizio estero (Aise) e quello interno (Aisi). Altra novità politica sostanziale riguarda la funzione direttiva generale, che è oggi esclusiva del presidente del Consiglio, non più solo “primus inter pares” dei ministri degli Interni e della Difesa come nel precedente ordinamento. In questa nuova architettura istituzionale è fondamentale il ruolo definito per il Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis) presieduto dal maggio 2008 da Giovanni De Gennaro. Esso costituirà il raccordo tra il vertice di alta direzione politica, costituito dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, e le agenzie operative (Aise e Aisi). Soprattutto, sarà il luogo in cui verranno raccolte analisi dalla “comunità di intelligence” comprendente, oltre agli uffici deputati all’intelligence, enti pubblici e privati, corpi di polizia, servizi diplomatici, ecc. Sarà quindi all’interno del Dis che nascerà la sintesi strategica per la difesa degli interessi nazionali, attraverso un’attività di ricerca che terrà conto degli apporti del mondo economico e sociale. Tale apertura è stata confermata dal lancio lo scorso ottobre del portale informativo sicurezzanazionale.gov.it che presenta compiti ed organigramma dei nuovi servizi. A ciò si è aggiunta, sempre di recente, la novità assoluta di una campagna di reclutamento effettuata con annunci pubblici. Si intende che queste iniziative non fanno venir meno un’area decisionale sottratta alle procedure democratiche e quindi ambiti direzionali poco esposti all’opinione pubblica. Ma l’indicazione di direzione è quella del superamento di alcuni steccati burocratici, e complessivamente dell’immagine e percezione di un corpo completamente staccato dalla società. Le possibilità di avvicinamento tra esigenze degli apparati e istanze sociali peraltro vanno ben oltre queste iniziative, collocandosi sul piano culturale. Si vanno diffondendo le riviste e i siti informativi che discutono di politica internazionale, programmi militari e aspetti economici strategici, in particolare legati alle materie prime. Un vasto mondo di esperti e analisti che costituisce un pubblico di riferimento per i decisori in materia di politica della sicurezza, una comunità di intelligence allargata che, per quanto in forma indiretta, costituisce una misura di vigilanza nei fatti del sistema e del suo operato, misurandolo secondo parametri tecnici e non-ideologici. Qui è evidente lo sconto che bisogna fare non solo all’immagine da guerra fredda ma anche alla psicologia politica da “congiura atlantica”, e all’occultamento dei meccanismi reali di funzionamento dell’istituzione dietro una cortina di teoremi allusivi.
In sintesi, ogni riforma legislativa si innesta su un tessuto storico di rapporti istituzionali, consuetudini e rapporti organizzativi sedimentati, e quindi sarà il tempo a stabilire in quale misura le componenti militari e civili, dell’ex Sismi ed ex Sisde rispettivamente, si riallineeranno di fronte ai nuovi compiti: la riforma, dunque, non è un punto di arrivo, ma la direzione sembra quella riscontrabile in altri, moderni servizi. Quello che è in gioco è un processo complessivo di diffusione della cultura dell’intelligence, attraverso un dialogo strutturato che metta per esempio insieme i due grandi filoni del dibattito tra storici ed esperti italiani, ovvero la tradizionale “comunità militare” e quella, relativamente più recente, “geopolitica”. La stessa direzione è stata perseguita dai servizi francesi, che negli ultimi anni hanno promosso pubblicazioni e riviste di cultura strategica, animando il dibattito sulle varie forme di guerra (economica, cognitiva, scientifica e tecnologica). È su questo punto che è possibile immaginare un’ulteriore riflessione strategica. Stiamo parlando di grandi potenze industriali, la cui influenza economica è ramificata a livello planetario e la cui integrazione nel mercato mondiale impegna i servizi al controllo di porzioni crescenti di “infosfera”. Da questa esigenza strategica nasce il concetto di “early warning”, di sorveglianza continua delle fonti – anche geograficamente remote – e degli svariati fattori – incluso quello climatico – dell’instabilità mondiale. La strada finora intrapresa in ambito europeo da Francia e Germania è stata quella di costruire robusti settori destinati alla sorveglianza delle comunicazioni elettroniche, fino alla nascita di un “nucleo” satellitare franco-tedesco. La via tecnologica segnata dalla leadership aerospaziale Usa è capace di mobilitare grandi risorse informatiche e industriali. Ma è anche piena di ostacoli e di imprevisti. Nel gennaio 2007 la Cina ha segnalato clamorosamente al mondo la propria capacità ASAT (Antisatellite) distruggendo un proprio satellite in orbita a 800km di altezza. Come dire, che anche tra gli spazi interstellari la cruda realtà della guerra asimmetrica del XXI secolo è capace di riportare a terra i cultori del primato tecnologico.
 
Pubblicato sul numero 44 della rivista Formiche (Marzo del 2010)

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