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Brasile e America Latina. Il nuovo fronte anti Grecia

Atene certo ha già troppi guai dentro casa per poter pensare a quelli oltreoceano. Ma a scatenare le polemiche, e non di poca portata, nel board del Fondo Monetario Internazionale di Washington è la quinta tranche di aiuti concessa negli scorsi giorni alla Grecia. Un nuovo stanziamento che ha fatto infuriare il Brasile e gli altri Paesi dell’America Latina che considerano quelle risorse a rischio e chiedono più voce, e quindi più soldi, per gli Emergenti, arginando così il dominio incontrastato, fino ad oggi, di Europa e Usa nel board dell’Istituto.

La nuova tranche di aiuti ad Atene

Il rappresentante del Brasile al Fondo Monetario Internazionale, spiega il Financial Times, si è astenuto durante il voto per l’approvazione del nuovo fondo da 1,8 miliardi di euro per sostenere la Grecia e ha mostrato un criticismo severo, aggiungendo che Atene potrebbe non essere in grado di ripagare i suoi debiti. Con la nuova tranche si porta ad un totale di 8,4 miliardi i soldi versati ad Atene. La Grecia “ha fatto progressi importanti nel correggere gli squilibri” che esistevano prima della crisi e “l’economia si sta riequilibrando”, si legge nel documento conclusivo della quarta revisione della Extended Fund Facility, il programma di aiuti del Fondo monetario internazionale ad Atene.

L’accusa del brasiliano Batista

Paulo Noguiera Batista, che rappresenta 11 Paesi dell’America centrale e del Sud al board del Fmi, ha spiegato che le difficoltà politiche ed economiche greche “confermano alcuni dei nostri timori peggiori”, aggiungendo che le stime degli economisti dell’istituto di Washington sono “fin troppo ottimistiche” sulla reale crescita economica e sulla sostenibilità del debito greco. “L’impressione più diffusa è che la severità portata da politiche di aggiustamento fiscale draconiane non stia ripagando in alcun modo. Una percezione che ha minato ulteriormente il sostegno pubblico al consolidamento e al programma di riforme”, ha sottolineato Batista.

Un Fmi troppo eurocentrico

I Paesi in via di sviluppo hanno espresso più volte critiche in merito all’entità delle risorse del Fmi destinate a risolvere la crisi dell’eurozona. Ancora più duro il Brasile, che ha manifestato le sue perplessità sul fatto che un’organizzazione nata per sostenere i Paesi più poveri non faccia altro che finanziare le economie più avanzate.

Ma l’astensione di Batista, e la sua dichiarazione secondo cui lo staff greco del Fmi era “sul punto di contemplare apertamente la situazione di default o ritardi nei rimborsi delle risorse concesse ad Atene dal Fondo”, sono stati i gesti più duri a partire dall’inizio del salvataggio greco cominciato tre anni fa.

I prossimi step per la Grecia e il voto tedesco

“Con questa astensione si mette in discussione chi credeva che le divergenze tra europei ed Emergenti sul caso Atene fosse una storia vecchia”, ha spiegato Mujtaba Rahman, analista di Eurasia Group.
“Una frattura – ha aggiunto – che non poteva riapparire in seno al Fmi in un momento peggiore”.
Oltre ai difficili negoziati in vista del salvataggio e della rinegoziazione del debito in autunno, la bomba greca al Fmi esplode poco prima del voto di settembre in Germania, dove la tolleranza per nuovi aiuti ad Atene sta a zero, e dove i partiti di opposizione usano questo argomento per far traballare la cancelliera Merkel durante la campagna elettorale.

La tensione nel board Fmi

L’astensione di Batista non avrà ripercussioni sulla nuova tranche di aiuti alla Grecia. Il gruppo di Paesi guidato dal Brasile rappresenta solo il 2,6% dei voti in seno al board del Fondo, dominato da europei e da membri statunitensi. E il comitato ha approvato il pagamento lunedì, due giorni prima della deadline prevista. Ma si tratta comunque di un’opposizione destinata a far aumentare la pressione sui funzionari del Fondo, spinti ad assumere un atteggiamento sempre più duro con i leader europei, riluttanti ad accettare perdite sui prestiti concessi per i salvataggi.

L’opposizione degli Emergenti

La lotta strisciante del Brasile si è intensificata dal 2009, quando, dopo decenni di salvataggi da parte del Fmi, con uno stanziamento da 10 miliardi di dollari il Paese è diventato un creditore netto del Fondo. Da allora il ministro delle Finanze Guido Mantega si è affermato come uno tra i critici più forti nei confronti dell’operato del Fmi, chiedendo più seggi nel board per gli Emergenti. E la forza crescente del Brasile come potenza mondiale ha spinto il Paese a mettere in discussione sempre più materie, dall’accettazione dei controlli di capitali nel mercato globale alla metodologia per calcolare il debito statale. Le riforme da non rimandare alla calende greche, insomma, non sono solo quelle di Atene.


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