Con gli ultimi dati su lavoratori, inattivi e pensionati in Italia, si deduce che si celano tra questi coloro che arrotondano “in nero”. È verosimile che molti di loro siano piccoli evasori che potrebbero, e dovrebbero, essere individuati dall’Agenzia per le Entrate. Se l’evasione di 15-18 milioni di piccoli evasori venisse colpita, si darebbe un bel contributo all’erario. Il commento di Giuseppe Pennisi
L’evasione tributaria si sarebbe assestata su 100 miliardi di euro l’anno da alcuni anni e riguarderebbe 19 milioni di italiani. I 100 miliardi sono composti da circa 35 miliardi di Iva (Imposta sul valore aggiunto), 33 miliardi di Irpef (Imposta sui redditi delle persone fisiche), 8 miliardi di Ires (Imposta sulle imprese).
Su 59 milioni e 641mila di italiani sono 22 milioni e 839mila gli italiani che lavorano e mantengono tutti gli altri, ed i pensionati quasi 17 milioni. 15 milioni e 194 mila di italiani lavorano con un contratto a tempo indeterminato, circa i due terzi. I lavoratori dipendenti a tempo determinato sono invece 2 milioni e 591 mila. Gli inattivi, coloro in età lavorativa, quelli che sono in grado di lavorare ma non solo non lo fanno ma nemmeno lo cercano, sono 13 milioni e 759mila. Se – come è probabile – corrispondono a realtà le stime secondo cui gli evasori sarebbero ben 19 milioni, se ne deduce che si celano tra gli inattivi e tra i lavoratori e i pensionati coloro che arrotondano in nero. È verosimile che molti di loro siano piccoli evasori che potrebbero, e dovrebbero, essere individuati dall’Agenzia per le Entrate. Se l’evasione di 15-18 milioni di piccoli evasori venisse colpita, si darebbe un bel contributo all’erario.
Massimo Balducci della Università di Firenze e senior consultant del Consiglio d’Europa ha di recente pubblicato un lavoro sulla rivista Risk & Compliance che merita una riflessione.
La compliance – precisa Balducci – è lo strumento con il quale si va a vedere se i comportamenti effettivi corrispondono con standard predefiniti. Secondo Balducci, l’agenzia delle Entrate ha un’idea completamente diversa della compliance. Per l’Agenzia delle entrate la compliance si realizza quando un contribuente accetta un rilievo fatto dalla Agenzia senza opporsi. In questo caso il contribuente si vede addirittura ridurre la sanzione per l’ipotetica infrazione commessa.
Si parla di accertamento mentre si ha a che fare con un’operazione di previsione e di stima nell’assunto, quanto mai autoritario, secondo cui lo Stato e la Pubblica amministrazione non possono mai sbagliare. “Le entrate accertate possono essere spese anche se non sono state riscosse! Il nostro debito pubblico trova qui una delle sue principali cause”. Balducci esplicita:
1. I revisori dei conti degli enti locali dovrebbero porre un freno a questo malcostume ma hanno molte difficoltà dovute alla carenza di dati statistici affidabili su cui basare le loro analisi;
2. Un ulteriore freno è rappresentato dal Dlgs 118/2011 (in attuazione della legge 42 del 2009) che impone agli enti locali di scandire le proprie uscite temporizzandole sulle entrate;
3. Per le altre amministrazioni non c’è nemmeno la diga del collegio dei revisori dei conti e l’obbligo di scandire le uscite coordinandole con le entrate (era previsto dal Dlgs 91 del 2018 preso sempre in attuazione della legge 42 del 2009 ma è totalmente ignorato).
L’Agenzia delle Entrate si lamenta del fatto che riesce a recuperare solo il 7% dell’evasione “accertata”. Secondo Balducci, i funzionari della Agenzia delle Entrate usufruiscono di meccanismi incentivanti. Gli obiettivi della produttività non vengono definiti sulla base delle risorse recuperate ma sulla base delle evasioni “accertate”.
Per i cittadini di altri Stati europei che operano in Italia, il funzionario dovrebbe disapplicare la norma italiana ed applicare quella europea. Ma il funzionario italiano non lo sa ed applica la circolare; nemmeno si preoccupa di verificare se la circolare è conforme alla legge italiana. La gerarchia delle norme è completamente ignorata. La possibilità di rivolgersi a Solvit, ossia al meccanismo Ue previsto per i casi di contrasto tra norme nazionali di diversi Stati Membri tra loro e con i principi dell’acquis communautaire è resa vana perché il meccanismo è gestito dalle stesse amministrazioni che spesso non conoscono né inglese né francese, le due lingue di lavoro delle istituzioni europee.
Un tempo questi nodi venivano, almeno in parte, risolti tramite corsi di formazione della Scuola Superiore di Economia e Finanza Ezio Vanoni, che aveva la sua sede centrale a Roma ma operava sia in locali delle Agenzie Regionali delle Entrate sia nelle sedi non nella capitale della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Acireale, Bologna, Caserta e Reggio Calabria). I corsi riguardavano sia le normative (e le circolari) sia le due lingue ufficiali dell’Ue. Ora la Scuola Superiore di Economia e Finanza è stata fusa con istituti simili nella Scuola Nazionale d’Amministrazione, Sna, a cui è rimasta un’unica sede fuori Roma (Caserta).
La Sna dà ovviamente la priorità ai corsi-concorsi per l’accesso alla dirigenza. Sarebbe utile sapere chi forma ed aggiorna i funzionari dell’Agenzia delle Entrate.