Quando un esecutivo arriva a fine legislatura è necessario portare a termine delle attività, in questo clima di incertezza però non è semplice comprendere quali strategie attuare, anche per far trovare un “programma d’azione” al governo che si formerà
A cosa deve adempiere un governo di fine legislatura? Questa è la domanda da porsi, più importante forse di quella sua composizione e di chi lo presiederà. L’adempimento principale è il disegno di legge di bilancio che deve essere presentato al Parlamento entro il 20 ottobre, preceduto da una discussione sulla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (in gergo giornalistico Nadef) che deve essere pubblicata entro il 27 settembre. I due adempimenti hanno una prospettiva triennale; quindi, quale che sia la composizione del governo (e delle forze politiche che lo sostengono) e quale che sia il presidente del Consiglio sono, inevitabilmente, rivolte alla prossima legislatura: un legato, una agenda da concretizzare con provvedimenti legislativi specifici, una semplice proposta.
Così avviene per qualsiasi esecutivo di fine legislatura. Di solito, però, una coalizione di forze politiche che arriva al termine di una legislatura, conta o almeno spera di succedere a se stessa pur cambiando dramatis personae (numerosi ministri o le stesso presidente del Consiglio dei ministri). Questa volta non è così: perché la vasta coalizione a supporto del governo Draghi ha mostrato di essere litigiosa e di esser caratterizzata da contrasti che aumentavano man mano che si avvicinava la fine della legislatura e una campagna elettorale in cui le forze politiche saranno portatrici di visioni del mondo e di interessi contrapposti. Questo rappresenta un vincolo importante alla Nadef e al disegno di bilancio di questo fine 2022. Vengono predisposti da un governo molto differente da quello che gli succederà e vengono presentati a un Parlamento che sarà anche esso molto differente dall’attuale sia per la riduzione del numero dei suoi componenti sia perché la forza politica che nel 2018 ottenne la maggioranza relativa si è, in parte, scissa, in parte, liquefatta e quel che ne resta non pare avere una chiara visione del mondo e del percorso per realizzarla.
Inoltre, proprio mentre il “semestre europeo” ha lo scopo di far sì che le politiche economiche vengano formulate ed attuate in un quadro noto e prevedibile (per tutti gli interessati) – quello definito dal Consiglio Europeo sulla base delle analisi della Commissione europea oggi si è costretti a navigare a vista. In nebbie, quelle dell’incertezza, in parte dovute alla guerra in Europa orientale ed in parte derivanti dalla nuova fase della pandemia, molto più spesse e molto differenti rispetto a quelle del rischio (che possono essere in gran parte scrutate facendo uso del calcolo delle probabilità) poiché, mentre il rischio riguarda gli andamenti di una o più variabili, l’incertezza attiene al cambiamento inatteso dell’intera situazione.
Ciò ha profonde implicazioni tecniche e politiche. Da un lato, le politiche economiche in un contesto d’incertezza richiedono l’analisi di opzioni reali per ampliare, ridurre o comunque modificare tempestivamente programmi e misure. Non mancano metodologie e tecniche per farlo. Sono state codificate circa una trentina di anni fa per gli investimenti e gradualmente estese alle politiche. Anche in Italia sono state sperimentate in progetti di ricerca condotti (nel 2001-2006) dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dal ministero delle Comunicazioni e dalla Scuola Nazionale per della Pubblica Amministrazione. Ora sta continuando in sedi universitarie.
Per un governo e Parlamento negli ultimi mesi della legislatura ci sono due strategie che possono, anzi debbono, essere attuate per tener conto dell’incertezza. Occorre, in primo luogo, ammettere a noi stessi che in materia di politica monetaria siamo solo uno dei 19 Stati membri a contribuire a decisioni che in questa fase non possono non tenere conto della fiammata inflazionistica.
Sotto il profilo della finanza pubblica, occorre smettere di fare differenze tra “debito buono” e “debito cattivo”. Quando si è arrivati a uno stock di debito pari al 150% del Pil, qualsiasi incremento addizionale è “cattivo”. Tanto più che non ci sono più i paracadute degli ultimi due anni e mezzo e che i tassi d’interesse sono in ascesa. Ciò significa non solo non finanziare a debito altre spese, soprattutto se di parte corrente, ma anche una più decisa lotta all’evasione (a cui può essere utile l’aggiornamento del catasto). E soprattutto una seria revisione della spesa (iniziando da una rigorosa analisi costi benefici del cosiddetto Reddito di cittadinanza) e delle tax expenditures (in merito alle quali una commissione tecnica presso il ministero dell’Economia e delle Finanze fa da anni proposte a cui non viene dato riscontro). Il risultato sarebbe un “programma d’azione” per il governo che verrà formato dopo le prossime elezioni, un programma con una certa flessibilità implicita (ad esempio, tra stanziamenti per le tax expenditures e il Reddito di cittadinanza).