Nel mese di aprile, la Banca d’Italia ha pubblicato, nella serie “Temi di discussione”, un interessantissimo lavoro di Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati, che tenta di dare misura dell’economia sommersa italiana, utilizzando un panel di rilevazioni per 91 provincie italiane tra il 2005 e il 2008.
Il peso dell’economia sommersa dovuta all’elusione ed evasione fiscale arriva al 16.5% del Pil, se si fa una media nel periodo considerato. Se si aggiunge un 11% circa legato all’economia criminale in senso stretto, il dato si fa raccapricciante.
Se dai valori medi passiamo all’evoluzione nel tempo, possiamo osservare come entrambe le variabili tendano a crescere, seppure a tassi più alti per quanto riguarda il sommerso. Secondo gli autori, tra le possibili cause potrebbero esserci le prospettive funeste che già dal 2007 gli italiani potevano considerare riguardo ai loro redditi e consumi futuri. Queste aspettative negative potrebbero aver spinto un numero maggiore di italiani a sottrarre al controllo del fisco la loro occupazione o i loro redditi.
Queste stime contribuiscono a far luce su di un fenomeno che, per entità e dinamica, non solo costituisce un fardello incredibile sulle spalle dei cittadini e del tessuto produttivo sano, ma che ha tutte le probabilità di rivelarsi insostenibile nell’attuale congiuntura economica, oltre che di esacerbare le tensioni e le disuguaglianze all’interno del Paese.
Ma come si calcola l’economia sommersa? E’ facile scorgere le facce perplesse degli italiani di fronte ai titoli sensazionalistici della stampa ogni volta che simili cifre sono rese pubbliche.
Lo studio in questione applica il cosiddetto “Approccio della domanda di circolante” (Currency Demand Approach, o CDA). Elaborato a fine anni cinquanta, affinato e applicato estensivamente da Vito Tanzi a partire dai primi anni ottanta, il CDA ha permesso di fornire stime dell’economia sommersa e criminale basandosi sull’offerta di moneta, così come prevista dalle teorie economiche.
L’assunzione alla base del modello è che gli individui tentino di eludere una fiscalità oppressiva per mezzo dell’economia sommersa. La procedura “classica” è dunque quella di stimare la quantità di moneta domandata come funzione non solo dei consueti fattori che possono indurre il cittadino medio a detenere più o meno moneta contante (come il tasso d’interesse sui depositi) ma anche di variabili che rappresentino il peso della tassazione.
Questo procedimento ha suscitato alcune perplessità: anche un lettore fornito di mero buon senso può ritenere eccessivamente semplificativa la rappresentazione dell’economia sommersa (integralmente ricondotta all’evasione fiscale). Altri fattori – come la criminalità organizzata, che necessita di “discrezione” non certo (o non solo) per motivi fiscali – possono contribuire al sommerso: escluderli rischia di produrre stime falsate.
Difatti molto spesso le stime fornite mediante modelli CDA non sembrano coincidere con le poche rilevazioni statistiche disponibili. Per questo motivo il modello proposto dagli studiosi italiani include per la prima volta, al posto delle tradizionali variabili relative alla pressione fiscale, due misure dirette dell’evasione (il numero di verifiche fiscali “mirate” e il numero di irregolarità rilevate dalla Guardia di Finanza) e una variabile che misuri il tasso di criminalità (nello specifico, la percentuale di crimini legati a traffico di droga o prostituzione rispetto al totale). In questo modo si ottengono stime molto più simili alle più recenti rilevazioni dell’Istat, come sottolineano gli stessi autori.
Ogni stima econometrica si basa necessariamente su assunzioni e forzature, tanto più quando si lavora in mancanza di dati, come quando si tratta di corruzione. Questo studio, tuttavia, sembra muoversi nella direzione giusta, fornendo ai cittadini e ai politici una misura chiara della priorità assoluta di combattere l’economia sommersa e criminale. Inutile dire che di fronte a queste cifre, i risparmi di spesa ottenuti tagliando le risorse per le forze investigative – come quello denunciato da Travaglio ai danni della Dia – contraddicono ogni principio di razionalità, equità o economicità.
Giacomo Gabbuti
Studente del Master of Science in Economics all´Università di Roma Tor Vergata, dopo la triennale in Economia Europea nella stessa università ed un Erasmus ad Istanbul. Ha collaborato con il progetto “Cultura dell´Integrità nella Pubblica Amministrazione” della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.