La relazione annuale Desi fotografa un’Italia avviata sul percorso della transizione digitale. La partnership pubblico-privato traina la digitalizzazione, ma c’è ancora molto da fare sulla formazione delle competenze digitali e nelle discipline Stem. Il punto di Michelangelo Suigo, direttore Relazioni Esterne, Comunicazione e Sostenibilità di Inwit
La relazione annuale Digital Economy and Society Index (Desi), con cui la Commissione europea monitora i progressi digitali degli Stati membri, fotografa un’Italia avviata concretamente sul percorso della transizione digitale. Tra i Paesi che nel 2017 registravano gravi carenze in termini di digitalizzazione, l’Italia è quella che mostra i tassi di crescita relativi più elevati. Dal 2017, quando eravamo 23esimi su 27, siamo cresciuti in media di quasi il 12% ogni anno, ben al di sopra della media Ue, che è stata del 9%. L’indice Desi 2022 evidenzia una situazione di miglioramento, collocando il Paese al 18esimo posto.
Entrando nel dettaglio dell’Indice, emerge subito come l’Italia si stia muovendo a due velocità: tra 4 dimensioni analizzate (Capitale umano, Sevizi pubblici digitali, Connettività, Integrazione delle tecnologie digitali) si rileva che l’iniziativa pubblica fatica a raggiungere i livelli Ue per Capitale umano e Sevizi pubblici digitali. L’Italia risulta infatti al terzultimo posto davanti soltanto a Bulgaria e Romania nella prima dimensione, e si colloca al 19esimo nei Sevizi pubblici digitali.
Se le strategie del pubblico, nonostante il grande lavoro messo a punto dalla Ministra Paola Pisano e proseguito poi dal Ministro Vittorio Colao, manifestano ancora alcune fragilità, il panorama cambia quando si delineano nette partnership con il privato. Le due dimensioni della Connettività e Integrazione delle tecnologie digitali, che dipendono largamente dall’iniziativa privata, spingono l’Italia in posizioni più alte, con risultati superiori alla media europea: l’Indice Desi promuove infatti il Paese rispettivamente al settimo posto e all’ottavo, meglio di Spagna, Francia e Germania.
E questo proprio grazie alla sinergia tra le imprese e l’Amministrazione pubblica. Vale soffermarsi, ad esempio, sulla dimensione della connettività, dove la partnership pubblico-privato contribuisce in maniera sostenuta a rendere l’Italia un Paese più digitale: ne è testimone l’intervento dello Stato a sostegno del privato, che produrrà risultati soprattutto sul DESI del prossimo anno. Ad oggi sono stati firmati al Ministero per la trasformazione digitale e l’innovazione, guidato da Colao, contributi per oltre 4,5 miliardi che permetteranno alle aziende del settore di spingere ulteriormente l’Italia verso l’ambizioso traguardo della completa digitalizzazione, con un’importante accelerazione nel footprint di 5G e fibra.
Sono dati che, nel loro insieme, riflettono un trend positivo, che non solo dovrà essere confermato ma che, in base agli obiettivi del Pnrr, dovrà essere ulteriormente migliorato da qui ai prossimi quattro anni. Con i 48 miliardi messi a disposizione dal Governo Draghi per la “Missione digitalizzazione” del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Italia punta a diventare uno dei Paesi più connessi e meglio serviti dal 5G. Al contrario, nella classifica relativa alle competenze digitali di base siamo quartultimi. Peggio di noi stanno facendo in UE solo Polonia, Bulgaria e Romania. La sfida richiede ora di accelerare anche sulla formazione delle competenze digitali per tutta la popolazione e di promuovere i percorsi di studio nelle discipline STEM.
Ma per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, è necessario che le prossime politiche nazionali e locali uniscano alla strategia virtuosa della partnership pubblico-privato un quadro determinato e fortemente orientato alle semplificazioni normative: uno Stato che ambisce a innovare deve avere poche e semplici regole, decisioni chiare, trasparenti e prese in tempi rapidi.