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La partita di Bagnasco si gioca a livello internazionale

La conferma del cardinal Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, alla guida delle Conferenza Episcopale Italiana, era scontata. Non c’è mai stata in gioco una reale alternativa. La reale discontinuità – ma forse sarebbe più corretto parlare di evoluzione – l’ha data lo stesso cardinal Bagnasco, sempre più presente sulla scena della politica nazionale, e sempre più pronto a farsi guida di quella “nuova generazione di politici cattolici” di cui Benedetto XVI ha parlato per la prima volta a Cagliari nel 2008, e poi a più riprese.
 
Riguardo quella nuova generazione, ci si trova di fronte a un bivio: lavorare sull’esistente, sulla politica reale, oppure far crescere una generazione cristianamente formata sulla Dottrina Sociale, da inserire gradualmente all’interno dei partiti, e soprattutto a livello internazionali? Essere maestri o profeti?
 
Bagnasco sembra aver scelto la prima strada e, nell’ultima parte del 2011, ha tenuto la prolusione alla summer school del Pdl, poi ha aperto l’incontro di Todi organizzato dal Forum delle Associazioni e delle Persone di ispirazione cristiana nel mondo del lavoro (forum da cui sono venuti fuori ben tre ministri del governo Monti), infine ha presieduto la Messa di Natale dei parlamentari (occasione in cui ha fatto sapere che presiederà anche la Messa di Pasqua, che sarà il prossimo 28 marzo). Con il nuovo governo, si è trovato subito a trattare la delicata questione dell’Imu, e lì il suo lavoro di cucitura dovrà essere tanto più prezioso perché dovrà evitare il rischio – con la nuova normativa – di una possibile discriminazione del mondo cattolico a livello fiscale. La partita è ancora in corso, ma si spera che il tradizionale equilibrio di Bagnasco riesca a portare a casa un risultato che sia allo stesso tempo di immagine e di sostanza.
 
Ma c’è un’altra partita che si gioca all’interno del Vaticano. E’ sempre economica, e riguarda la trasparenza finanziaria della Santa Sede. La procedura per entrare nella white list dei Paesi virtuosi è avanti, i miglioramenti alla legge 127 di Città del Vaticano sull’antiriciclaggio – seppure definite da alcuni, nel dibattito interno alle Sacre Mura, come “un passo indietro” – hanno trovato il plauso dell’Europa (Jeffrey Owens, numero uno della politica fiscale dell’Ocse, ha ufficialmente dichiarato che “il Vaticano sta andando nella giusta direzione”), e il dibattito a livello internazionale riguarda qualcosa di più del fatto che il Vaticano non sia più un Paradiso fiscale. Perché si gioca anche una partita diplomatica, in cui i nuovi confini del Vaticano sono quelli europei, mentre dall’Italia giungono ripetutamente segnali che sembrano voler trattare la Santa Sede come una enclave nel territorio italiano.
 
A questo si aggiunge una Chiesa sempre più marginalizzata nel dibattito pubblico. Nel dibattito internazionale, la parola della Chiesa è spesso solitaria. Tutti la ascoltano con attenzione, preoccupati dal fatto che solo la Santa Sede ha la sottigliezza diplomatica e la capacità culturale di guardare oltre, di comprendere quali sono i progetti di lungo periodo.
 
Ma poi, proprio per questa sua capacità, la Chiesa è sempre messa da parte, e magari attaccata. Non ci sono solo gli attacchi per gli scandali pedofilia. E non ci sono solo le minoranze cristiane che subiscono violenze nel mondo. La persecuzione dei cristiani è anche qualcosa di sottile e strisciante, che passa attraverso le pieghe della burocrazia degli organismi internazionali. Dove le lobby dell’eugenetica sono riuscite ad entrare in pianta stabile. Dove in molti sperano che la Santa Sede perda lo status di osservatore permanente e prenda lo status di una qualunque Ong. E dove il messaggio sociale della Chiesa viene ascoltato e oscurato, in nome del Nuovo Ordine Mondiale che – a guardarlo in controluce – sembra essere una nuova edizione della svolta epocale della creazione degli Stati nazionali, quando la Chiesa si ritrovò spiazzata e in minoranza, e risolse la questione con la logica dei Concordati. Ma, in un mondo globalizzato, la logica dei Concordati non può più funzionare. Si fanno Concordati con enti politici, ma come ci si può accordare con le lobby che tengono in mano l’economia mondiale, soggetti non politici e non territoriali, che non hanno come obiettivo il bene comune, ma il bene personale?
 
E allora la sfida di Bagnasco forse non deve essere solo quella di lavorare per una formazione politica (o pre-politica, che è ancora la definizione che ne dà il presidente dei vescovi) di ispirazione cattolica, quanto di spostare l’attenzione a livello internazionale. Una sfida ancora più importante, dato che è l’unico capo di Conferenza Episcopale nominato direttamente dal Papa, e dato che l’Italia gioca un ruolo particolarmente significativo in questa partita.
 
Bagnasco è anche vicepresidente della Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Un’Europa dove il cristianesimo è chiamato davvero ad essere minoranza creativa. Proprio come in Italia. Forse è il caso di diventare profeti. Perché concedendo alla Chiesa influenza sulle piccole beghe politiche, la si estrania dai grandi dibattiti internazionali. E’ lì che c’è bisogno di dare testimonianza. Senza mischiarsi – e farsi mischiare – alle polemiche della piccola politica. Lo ha detto anche Benedetto XVI in Germania che le ondate di secolarizzazione, comunque siano state svolte, sono state in qualche modo provvidenziali, perché la Chiesa si demondanizzava e riprendeva credibilità e slancio missionario.


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