Skip to main content

Il funerale di Dugina non è una cerimonia qualunque. Scrive il prof. Savino 

Ha rappresentato uno dei primi passi in vista della costruzione dell’immagine di martire e evangelista della guerra, in quella religione della morte che da sempre è parte costituente della cultura dell’estremismo di destra e del neofascismo. Il commento del professor Giovanni Savino (Università di Parma)

“Un Paese, un presidente, una vittoria”. Con queste parole Leonid Slutsky, presidente del Partito liberaldemocratico di Russia, successore di Vladimir Zhirinovskij e a capo del comitato per gli Affari esteri della Duma, ha concluso il proprio intervento ai funerali di Daria Dugina, uccisa nell’esplosione del SUV sabato sera mentre tornava dal festival d’estrema destra Traditsiya. Parole che evocano altri tempi e riecheggiano gli slogan di quella dottrina contro cui, secondo la versione ufficiale di Mosca, si sta combattendo in Ucraina.

Ai funerali di Dugina hanno partecipato circa 200 persone, che hanno riempito la camera ardente allestita negli studi televisivi di Ostankino, da dove trasmettono i principali canali russi. In un certo senso la cerimonia ha suggellato la vicinanza delle autorità ad Aleksandr Dugin, il pensatore d’estrema destra, leader del Movimento eurasiatico, fino a qualche giorno fa più noto in verità all’estero che in patria, dove sin dagli anni Novanta è stato considerato una figura eccentrica di filosofo cultore dell’occultismo, della nazista Ahnenerbe e di suggestioni geopolitiche. Dmitry Kiselev, uomo di punta della propaganda russa, direttore di Rossiya Segodnya e conduttore del programma televisivo “Vesti”, ha definito Dugin durante il proprio saluto “grande filosofo contemporaneo”, e l’eurasismo (in realtà neo-eurasismo) come idea, “dove non vi è posto per il selvaggio nazionalismo russo, e i russi non possono permettersi di essere nazionalisti, essendo il centro di una potenza multietnica”. Un riconoscimento pubblico ancora difficile da ottenere qualche tempo fa, e che probabilmente potrebbe segnare uno spazio maggiore per le idee di Dugin sui media ufficiali e nello spazio politico russo.

“Le prime parole che le abbiamo insegnato sono state Russia, la nostra potenza, il nostro popolo, il nostro impero”, ha ricordato Dugin commemorando la figlia. Seduto vicino al filosofo e alla moglie Natalya Menteleva, Konstantin Malofeev, proprietario di Tsargrad.tv, dove Dugina lavorava come corrispondente e cronista. Malofeev, figura di spicco del nazionalismo russo, di sentimenti monarchici, grandi entrature nei vertici della Chiesa ortodossa russa e finanziatore delle imprese internazionali dell’estrema destra di Mosca, ha ricordato la giornalista dicendo che “Dasha (il diminutivo di Darya in russo, come la chiamavano gli amici, ndr) era una guerriera e non è morta invano (…) con il sangue dei nostri martiri noi diventiamo ancor più forti. (…) Anche per la scomparsa prematura della nostra cara amatissima Dasha, noi vinceremo sicuramente in questa guerra, lei questo voleva e per questo viveva. (…) E anche nel regno dei cieli sarà una guerriera di Cristo”. Frasi che vedono nel martirio un necessario tributo di sangue da pagare alla vittoria, invocata più come una divinità pagana che come un obiettivo politico.

Emerge anche un altro elemento, nei discorsi di Malofeev, Dugin e altri, si usa la parola “guerra”, quando la definizione ufficiale è “operazione speciale militare”, e per l’utilizzo del primo termine si rischia di andare sotto processo. Difficile che avvenga, vista anche la partecipazione, in rappresentanza di Vladimir Putin, di Igor Shchegolev, rappresentante speciale del presidente nel Distretto federale centrale, in cui è inclusa la città di Mosca. Shchegolev ha dato lettura del messaggio di condoglianze di Putin, versione leggermente più estesa del telegramma inviato alla famiglia, con l’aggiunta di frasi sulla cancel culture, definita tra le cause ideali dell’attentato, e aggiungendo alle parole del presidente dei versi di Anna Achmatova (senza però citarla direttamente), tratti dalla poesia Il coraggio, del 1942: “Non ci spaventa cadere sotto il piombo, non ci duole restare senza tetto, ma noi ti salveremo, favella russa, alta parola russa”.

La presenza di alcuni dei principali esponenti dei media ufficiali, delle forze politiche rappresentate alla Duma (oltre a Slutsky, vi era Sergey Mironov, leader di Russia Giusta e tra i sostenitori più accesi dell’intervento militare), potrebbe agire a favore di un processo di riaggregazione in quel campo del nazionalismo russo (che, a dispetto delle parole di Kiselev, esiste) che vuole estendere la mobilitazione e dar vita a un’ulteriore serie di repressioni e di movimenti in direzioni ancor più radicali.

La cerimonia di commiato da Dugina ha rappresentato uno dei primi passi in vista della costruzione dell’immagine di martire e evangelista della guerra, in quella religione della morte che da sempre è parte costituente della cultura dell’estremismo di destra e del neofascismo.



×

Iscriviti alla newsletter