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Tra Jackson Hole e Francoforte. Fed e Bce viste da Pennisi

Se da un lato dell’Atlantico si applica una politica monetaria restrittiva, applicarne sull’altra sponda una che potrebbe anche solo sembrare accomodante porterebbe ad un deprezzamento dell’euro. Il che potrebbe essere letto come un indebolimento dell’Unione europea nel contesto internazionale. Il commento di Giuseppe Pennisi

Le conclusioni del seminario annuale della Federal Reserve Bank di Kansas City (il 45simo della serie) tenuto al termine della settimana scorsa a Jackson Hole (anche se in gran misura in maniera virtuale a ragione del timore per una nuova ondata di Covid 19 e delle disfunzioni dei trasporti aerei) non hanno mancato di farsi sentire sia sui mercati finanziari internazionali sia sulla preparazione del Consiglio della Banca centrale europea in programma l’8 settembre a Francoforte.

I mercati finanziari hanno interpretato il discorso del presidente del Federal Reserve Board, Jerome Powell, in senso restrittivo, ossia nel senso che le autorità monetarie americane manterranno una politica di tassi d’interesse elevati sino a quando non avranno la certezza che l’inflazione è stata definitivamente abbattuta. Una manovra analoga a quella adottata da Paul Volcker dalla fine del 1979 a gran parte del 1980, con la conseguenza di una lunga recessione nella prima metà degli anni ottanta del secolo scorso. La reazione immediata è stata una caduta dei principali indici di Borsa.

In effetti, a mio avviso, Powell è stato molto meno apodittico. Nella prima parte (circa una ventina di minuti) del suo discorso ha fatto una lezione magistrale di politica monetaria americana dal 1950 circa all’altro ieri per analizzare nella seconda parte gli strumenti di cui dispone oggi l’autorità monetaria per tenere sotto controllo un’inflazione essenzialmente da domanda di manufatti, la cui produzione non è stata in grado di tenere il passo con gli stimoli di bilancio messi in atto a causa delle disfunzioni economiche causate dalla pandemia.

Non ha annunciato un cambio di rotta, ma ha detto che ha gli strumenti per farlo, quando sarà il momento. Momento che non è ancora arrivato (l’inflazione viaggia, negli Usa, ad un tasso annuo dell’8%) ma potrebbe non essere lontano dato che, secondo le ultime statistiche, a livello globale i prezzi dei generi alimentari sono tornati ai livelli precedenti l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Quindi, un atteggiamento wait and see.

In Europa, nei giorni precedenti o quasi la riunione del Consiglio Bce, dato i principali Paesi mediterranei (Francia, Italia e Spagna) considerati a torto od a ragione “spendaccioni” sono alle prese con seri nodi interno, i Paesi nordici, soprattutto la rappresentante della Repubblica Federale Tedesca nell’Esecutivo della Banca, Isabel Schnabel, ne hanno preso lo spunto perché l’8 settembre si annunci un nuovo rialzo dei tassi, unitamente a restrizioni all’uso (eventuale) di quello che viene giornalisticamente chiamato lo “scudo anti-spread”.

Il ragionamento è che, se da un lato dell’Atlantico si applica una politica monetaria restrittiva, applicarne sull’altra sponda una che potrebbe anche solo sembrare “accomodante” porterebbe ad un deprezzamento dell’euro che potrebbe essere letto come un indebolimento dell’Unione europea (Ue) nel contesto internazionale. A questo argomento, che potrebbe sembrare un po’ specioso, si aggiunge quello, più consistente, che mentre l’inflazione americana riguarda l’eccesso di domanda di manufatti e beni durevoli provocata dalle misure di politica pubblica per contrastare gli effetti recessivi della pandemia, quella europea, oltre e forse più di questa determinante, ha alla sua origine inflazione da costi (soprattutto di gas naturale) manovrata da un autocrate come arma di guerra.

Non è difficile prevedere che l’8 settembre, a Francoforte, la Germania e gli altri Paesi “frugali” avranno una buona probabilità di prevalere, anche perché il Consiglio dei Ministri dell’Energia (che dovrebbe definire una strategia “europea” in materia di gas ed olii minerali in generale) si terrà il giorno ed i tre maggiori Paesi mediterranei sono alla prese con gravi problemi interni (elezioni in Italia, tensioni e sciopero in Francia e Spagna).

Arduo, quindi, contare su una politica monetaria europea “accomodante”.

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