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Ita, fusse che fusse davvero la vorta bona. Il commento di Pennisi

Difficile dire se questo sarà l’ultimo atto di una saga iniziata oltre venti anni fa e costata finora 13 miliardi di euro ai contribuenti italiani. Il negoziato, pur se esclusivo, inizia solo adesso e durerà alcuni mesi. Il commento di Giuseppe Pennisi

Vi ricordate la (un tempo) celebre battuta di Nino Manfredi del 1959 in uno dei quei bar di Trastevere che possedevano un televisore e dove la gente del quartiere (erano ancora pochi i privati che ne avevano uno a casa propria) si riuniva per vedere i programmi più seguiti? Manfredi era reduce del successo riportato a Canzonissima che, pensava, era forse la vorta bona. E lo fu! Gli aprì la porta al teatro drammatico, prima, alle commedie musicali, poi, al cinema e così via.

Ed è la vorta bona la decisione del Tesoro di aprire un negoziato in esclusiva con il consorzio formato dal fondo Certares, Delta e AirFrance-Klm al fine di fare diventare Ita Airways una compagnia aerea di livello internazionale? Difficile dire se questo sarà l’ultimo atto di una saga iniziata oltre venti anni fa e costata finora 13 miliardi di euro ai contribuenti italiani. Il negoziato, pur se esclusivo, inizia solo adesso e durerà alcuni mesi: si devono aprire le data room, studiarne ed analizzare i dati, verificare con attenzione i libri contabili, mettere a punto diversi dettagli su rotte, scali, personale.

Un lavoro difficile e che si concluderà certamente dopo l’insediamento del nuovo governo. Se le somme saranno buone, sarà la vorta bona: nessun governo vorrà riaprire un dossier di cui gli italiani (che, lo ricordiamo, hanno pagato 13 miliardi di euro per l’accanimento terapeutico effettuato per tentare di tenere in vita quella che veniva chiamata compagnia di bandiera) sono stanchi e stufi. Seguo questa vicenda da diversi decenni, ero nel primo 747 Alitalia Roma – New York nell’estate 1970 (allora lavoravo alla Banca Mondiale). Ed ho continuato a volare principalmente con quella che si chiamava Alitalia nei miei vari incarichi, preferendola, quando le rotte lo consentivano, ad altri vettori.

Ho assistito, quindi, al declino. Mentre altre compagnie sparivano (vi ricordate, ad esempio, Twa e PanAm che alle 11 decollava da Fiumicino per New York e faceva il giro del mondo atterrando il giorno seguente alle 10 al Leonardo da Vinci?) In questi anni il trasporto aereo è mutato radicalmente a ragione della crescita della domanda e dell’ingresso di vettori a buon mercato. Numerose compagnie un tempo gloriose sono sparite (ad esempio, Sabena e Swissair). Altre (è il caso di AirFrance-Klm) hanno operato fusioni ed incorporazioni.

Ho seguito la vicenda non solo come passeggero ma anche come commentatore di varie testate e pure perché nella decina di anni in cui è stato pubblicato, ho contribuito, anno dopo anno, con il capitolo sulle privatizzazioni al rapporto sulla “liberalizzazione della società italiana” dell’Associazione Società Libera. Occorre pensare che già prima del secolo scorso la vecchia Alitalia era tecnicamente fallita, come documentato da Carlo Scarpa in un saggio di diversi anni fa.

Non è questa la sede per esaminare le determinanti del lungo accanimento terapeutico ed eventuali responsabilità. Lo potranno fare, tra qualche anno, storici dell’economia industriale italiana. A questo punto, occorre augurare che il negoziato in esclusiva termini bene. Ci sono le premesse perché della cordata fanno parte un solido fondo finanziario ed un partner tecnico- industriale (Air France-Klm) tra i maggiori in Europa.

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