Tra i molti interrogativi di questa campagna elettorale, vi è anche il delinearsi del futuro impegno italiano nel comparto della Difesa. “Il tipo di impostazione che il nuovo governo potrebbe dare al settore dipenderà molto dal ruolo che si vorrà dare all’Italia, nel contesto regionale, europeo e, in prospettiva, internazionale”, avverte il direttore del Cesi, Francesca Manenti
In questo periodo di accesi dibattiti, in vista dell’avvicinarsi delle elezioni, più volte sono emersi interrogativi sulla postura che il nostro Paese dovrebbe adottare nel comparto della Difesa e sul ruolo che l’Italia dovrebbe giocare in questo settore. Condizionato anche dallo stretto legame che unisce la Difesa e la politica estera. Nonostante il proliferare di posizioni diverse nei programmi elettorali, parrebbe esserci però un punto in comune. Infatti, come sottolinea Francesca Manenti, direttore del Centro studi internazionali (Cesi), in questa intervista, “sebbene in misura differente a seconda dei partiti e con sfumature diverse tra le varie coalizioni, il file rouge dei programmi di politica estera è la consapevolezza dell’importanza per l’Italia del suo posizionamento europeo e transatlantico”.
Ha senso parlare di Difesa durante la campagna elettorale?
Sembra opportuno innanzitutto sottolineare come le contingenze internazionali legate in primis alla guerra in Ucraina e, più in generale, alla trasformazione degli equilibri globali hanno creato le condizioni affinché anche il tema della Difesa ritrovasse un ruolo centrale nel dibattito pubblico. Per definizione e natura, l’ambito Difesa è strettamente connesso con la dimensione nazionale di uno Stato. Basti pensare, per esempio, alle Forze armate, che sono uno strumento di sovranità nazionale. Per questo, il tipo di impostazione che il nuovo governo potrebbe dare al settore dipenderà molto dal ruolo che si vorrà dare all’Italia, nel contesto regionale, europeo e, in prospettiva, internazionale. Il fattor comune che emerge dai programmi è il richiamo alle alleanze in ambito Ue e Nato, nonostante poi in entrambe le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra le posizioni sul tema siano piuttosto variegate. Ciò significa, inevitabilmente, immaginare un ruolo proattivo per l’Italia, per il quale la Difesa non può che giocare un ruolo centrale.
Alla luce degli impegni descritti nei programmi del centro-destra che Difesa vedrebbe in caso di vittoria della coalizione?
Per quanto riguarda la coalizione di centro-destra, gli impegni programmatici lasciano intendere la volontà di assegnare due focus al comparto Difesa: innanzi tutto, rilanciare la dimensione mediterranea degli interessi nazionali italiani, con un rafforzamento della presenza militare italiana nel Mediterraneo e nei Paesi terzi, nonché degli stanziamenti e investimenti necessari a raggiungere questo obiettivo. In fin dei conti, il Mediterraneo resta comunque di fondamentale importanza sia per l’Ue sia per la Nato e così il centro-destra cerca di trovare una sintesi tra la volontà di portare avanti i temi a sé cari e lanciare il segnale agli alleati che l’Italia fa la propria parte nel fronte sud, dell’Europa e dell’Alleanza. Il secondo focus è portare avanti il contributo dell’Italia allo sforzo comune europeo in difesa dell’Ucraina.
E qualora vincesse la coalizione di centro-sinistra?
Per quanto riguarda il centro-sinistra, l’impostazione che sembra emergere dal programma è la consapevolezza di voler inserire la traiettoria di sviluppo e di impiego della Difesa nel più ampio concerto europeo, da un punto di vista sia industriale sia militare. Ci si può immaginare, per esempio, un focus primario sulle iniziative adottate e missioni avviate nell’ambito della Politica di difesa e sicurezza comune dell’Ue.
Gli impegni del Terzo polo per Difesa e Sicurezza prevedono il raggiungimento del 2% del Pil da destinare al comparto e si battono per la costituzione di un esercito europeo, a suo avviso potrebbero essere iniziative positive per il settore?
Il raggiungimento del 2% del Pil è un impegno che l’Italia già ad oggi ha preso con gli alleati. Anticipare questo obiettivo di tre anni (dal 2028 al 2025) potrebbe voler dire lanciare un segnale deciso all’esterno, non solo di voler ribadire l’allineamento con la Nato ma soprattutto di essere pronti a giocare un ruolo di primo piano e di farlo dotando il settore dei finanziamenti necessari a svolgere questo ruolo nel migliore dei modi. Ovviamente poi sarebbe la scelta su cosa investire che farebbe la parte del leone. Per quanto riguarda la costituzione di un esercito europeo, sebbene da ormai molti anni l’idea sconti e si scontri con la necessità di avere a monte una politica estera comune, la proposta di andare a lavorare in primis sull’integrazione delle industrie della Difesa e sull’efficientamento delle catene logistiche rappresenta un primo passo logico ed essenziale per sgomberare il campo dagli impedimenti di altra natura rispetto a quella politica.
Nel programma dei 5 stelle si prevede una solida collocazione italiana nella Nato e nell’Ue ma “con un atteggiamento proattivo e non fideistico”, mentre si esprimono negativamente sulla corsa al riarmo. È sicuramente un approccio differente in politica estera, qualora il centro sinistra vincesse le elezioni e dovesse allearsi nuovamente con il partito 5 Stelle, subentrerebbe un problema di coalizione in politica estera?
Non credo che, soprattutto in questo momento storico, il governo italiano possa realisticamente rivedere la propria coalizione di politica estera. Tuttavia, disaccordi su come dare concretezza a questa coalizione avrebbero un impatto sull’efficacia delle scelte e sul ruolo che l’Italia potrebbe ricoprire a livello internazionale. Le differenti interpretazioni sul modo di stare accanto ai partner europei e transatlantici nell’ambito della guerra in Ucraina, per esempio, è stato uno dei motivi che ha aperto la crisi di governo e ha portato alle dimissioni di Mario Draghi da presidente del Consiglio. Quindi un rischio che diverse interpretazioni delle collocazioni geopolitiche dell’Italia possano avere un impatto sull’agilità del governo nel prendere posizioni e decisioni è reale. Sarebbero però ovviamente i numeri e i rapporti di forza all’interno di un’eventuale coalizione di governo centro-sinistra/M5S a fare da discrimine.
La politica di Difesa è legata a doppio filo alla politica estera, ad esempio nei rapporti con la Nato e la Difesa europea, così come nel sostegno profuso all’Ucraina e nei rapporti con Russia e Cina. Quali possibili scenari apre nella politica estera italiana del prossimo governo la diversa postura in Difesa e Sicurezza dei partiti e coalizioni? E con quali rischi?
Sebbene in misura differente a seconda dei partiti e con sfumature diverse tra le varie coalizioni, il file rouge dei programmi di politica estera è la consapevolezza dell’importanza per l’Italia del suo posizionamento europeo e transatlantico. Ciò significa Unione europea e Nato come partner di riferimento e collocazione tra le democrazie liberali come alveo politico e valoriale di appartenenza. A seconda dei risultati delle prossime elezioni e di quanto variegata sarà la composizione della coalizione incaricata di formare il governo, il prossimo esecutivo potrà adottare in modo più o meno edulcorato questa agenda, ma difficilmente ci sarà un totale discostamento. È altrettanto vero, tuttavia, che la complessità dello scenario globale attuale pone dei rischi la cui gestione avrà un impatto di medio e lungo termine. La guerra in Ucraina ha segnato uno spartiacque nella storia del XXI secolo, ma soprattutto nella storia dell’Unione europea. Forse per la prima volta i governi europei hanno davvero avuto l’occasione di prendere consapevolezza del fatto che non fare un’Unione europea unita mette a rischio non solo il progetto politico dell’Unione in sé, ma anche la stessa sicurezza degli Stati membri. Lo scenario geopolitico si sta sempre più polarizzando e l’Europa si trova ad affrontare sfide economiche, sociali, politiche, securitarie da cui può dipendere il fatto che l’Ue rimanga solo il Vecchio continente o acquisisca il tanto ricercato ruolo di attore globale. Per questo la strategia cosiddetta di “autonomia strategica” risulta tanto importante oggi, perché sarebbe lo strumento in grado di fornire all’Ue i punti cardinali su cui costruire una politica estera, energetica, di Difesa, economica, ambientale che abbia al centro gli interessi europei. Un’Ue strategicamente autonoma vuol dire anche un attore che riesca a essere un interlocutore di riferimento per i propri partner, a partire da quelli storici, come gli Stati Uniti.