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Evitiamo che la crisi energetica diventi come il crac di Lehman

Di Michele Fioroni

Con la chiusura delle forniture da parte della Russia di fatto il mercato scommette su un valore del prezzo futuro del gas molto più alto, un prezzo che va pagato oggi. Per quanto non risolutivo risulta oggi indispensabile sganciare il prezzo del gas dalle dinamiche speculative, dando almeno l’illusione di aver imparato dagli errori del passato. L’opinione di Michele Fioroni, assessore allo Sviluppo economico, innovazione, digitale e semplificazione della Regione Umbria

Cos’ha in comune l’attuale crisi derivante dall’aumento dei prezzi del gas con quella dei subprime iniziata del 2007? Perché il celebre tormentone natalizio “Una poltrona per due”, con Eddie Murphy e Dan Aykroyd dovrebbe insegnarci qualcosa su come fronteggiare la spirale degli aumenti? Cosa possiamo imparare che può esserci utile a prevenire un ulteriore avvitamento della situazione economica?

È evidente che le due crisi mostrano origini e caratteri profondamente diversi e che la pellicola mostra alcuni fenomeni nella loro forma iperbolica, eppure le tre vicende, pur così diverse, hanno in comune un elemento chiave, un crescente scollegamento fra l’economia reale e quella finanziaria. Per capire perché bisogna, cominciare dall’inizio.
Un mercato finanziario scarsamente regolamentato e una finanza troppo disconnessa dall’economia sono state, insieme a una politica monetaria restrittiva, le determinanti della grande crisi iniziata nel 2007. Un lungo ciclo recessivo da cui l’economia globale ha impiegato oltre un decennio per uscire.

Ed è proprio quando gli ordinativi industriali erano arrivati al livello del 2007 e la ripresa sembrava completata, che sullo scenario economico si sono abbattute nuove nubi scure all’orizzonte. Ci troviamo di fronte a un paradosso che vede da una parte gli ordinativi delle imprese mai così alti negli ultimi anni e dall’altra le aziende incapaci di evaderli per evitare che l’accresciuto costo energetico e delle materie prime possano tradursi in marginalità negativa. In casi nemmeno troppo estremi le aziende sono costrette perfino a stop produttivi proprio per il caro energia.

Quello che si prospetta oggi è uno scenario diverso rispetto al 2007: alla peggiore crisi energetica dallo shock petrolifero degli anni ’70, si accompagna una dinamica inflattiva a due cifre e una imminente contrazione dei consumi da parte delle famiglie, anch’esse stremate dal progressivo aumento delle bollette.

Seppure i due scenari sembrano tra loro molto diversi, sembra che dagli errori del passato abbiamo imparato ben poco e che la lezione della grande crisi del 2007 ci sia servita a poco, almeno per alcune storture dei sistemi economici che sembrano non essere state oggetto di politiche correttive.

Vediamo perché. Le motivazioni della grande crisi del 2007 sono state ricondotte all’erogazione di mutui ad alto rischio, collegata all’espansione del settore immobiliare, che dette poi origine ad una vera e propria bolla immobiliare. Denaro a basso prezzo, credito facile e prezzi degli immobili in continua ascesa. Erano queste le condizioni che, dal 2003, generarono una crescita del mercato immobiliare senza precedenti.

Alla base del sistema c’erano i noti mutui sub-prime, legati all’erogazione di prestiti verso clienti ad alto rischio finalizzati a sostenere le dinamiche d’acquisto nel mercato immobiliare finanziandole quasi interamente a leva. In altre parole tutti di fatto potevano investire in immobili prescindendo dalla liquidità che avevano a disposizione.

Attraverso operazioni di cartolarizzazione, gli istituti di credito, trasformando in un titolo il proprio credito, potevano recuperare immediatamente larga parte del loro credito immettendolo nel mercato finanziario sotto forma di titolo, trasferendo di fatto al mercato il rischio di insolvenza del cliente. Così facendo, le banche recuperavano in tempi brevi il denaro prestato, che veniva utilizzato per erogare nuovi mutui ad altri clienti, con un processo di valutazione del rischio d’insolvenza sempre meno accurato. Questo peraltro garantiva al mercato immobiliare una dinamica d’incremento dei prezzi costante. Con questo meccanismo, le banche poterono espandere la propria capacità di erogare credito ben oltre il rapporto fisiologico rispetto al capitale proprio.

Le società veicolo che acquistavano i mutui trasformati, a loro volta finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati, prodotti a lungo termine, offrendo agli investitori titoli a breve. Un meccanismo nemmeno troppo complesso, ma totalmente scollegato dall’economia reale. Fino a quando il mercato immobiliare continuò a tirare le banche realizzarono ingenti profitti, ma quando la bolla scoppiò, le perdite furono ingenti e travolsero larghi settori del sistema creditizio.

Con l’aumento dei tassi d’interesse che seguì la ripresa dell’economia americana, i casi di insolvenza di investitori e famiglie – incapaci di far fronte a muti diventati sempre più onerosi – si moltiplicarono fino a determinare un effetto contagio su tutti i mercati. Contemporaneamente la domanda di immobili si ridusse, determinando la deflagrazione della bolla immobiliare.

Gli istituti finanziari più coinvolti nel mercato dei subprime registrarono pesanti perdite, molti dei titoli di credito immessi nel mercato vennero declassati e l’effetto di contagio si estese al mercato dei prodotti strutturati dei mercati azionari mondiali.

La trasmissione della crisi finanziaria all’economia reale fu velocissima e politiche monetarie restrittive, insieme al crollo dei mercati azionari e immobiliari aprirono le porte ad uno dei più lunghi cicli congiunturali negativi che la storia dell’economia recente ricordi. La stagnazione dei consumi che ne conseguì fu drammatica e gli effetti che ne seguirono sono ormai noti.

In molti furono concordi ad individuare alcune storture dei moderni sistemi economici ed in particolare dei mercati finanziari, come la principale causa della crisi e unanimemente i policymaker mondiali si impegnarono a non commettere di nuovo gli stessi errori.

Oltre le storture del mercato finanziario, la grande crisi segnò anche la fallacia di un modello economico, quello della globalizzazione, che sembrava essere perfetto. La grande pandemia legata al Covid e l’attuale crisi energetica, stanno definitivamente contribuendo a delineare definitivamente le debolezze di quel sistema portando a ridisegnare le catene globali del valore e suggerendo a molti paesi di internalizzare le catene di subfornitura delocalizzate sull’intero pianeta.

Anche per i liberisti più convinti la fiducia di un grande mercato capace di gestire e regolare ogni fenomeno è progressivamente venuta meno e la necessità di nuove regole, per quanto non troppo costrittive, si è fatta crescente.

Il lassez faire e lassez passer di Colbertiana memoria e l’idea del mercato come grande regolatore, è lentamente tramontata, portando a rivedere l’intero impianto dell’economia capitalista, così come almeno l’abbiamo conosciuta nello scorso secolo.

Questo processo di revisione, non sembra però coinvolgere tutti i mercati. Quello del gas di Amsterdam, insieme ad alcuni mercati delle materie prime, sembra essere rimasto uno dei pochi paradisi rimasti di un vecchio modo di intendere l’economia, che non collega quella reale a quella finanziaria e dà luogo a dinamiche speculative che impattano, come una tempesta, le sorti di milioni di imprese, costrette a subire inermi queste dinamiche (per non parlare delle famiglie).

Dinamiche che sembrano ricordare una famosa scena del film Una poltrona per Due, indimenticato successo natalizio interpretato da Dan Aykroyd ed Eddie Murphy. Siamo alla vigilia della rivelazione del rapporto annuale sul raccolto di arance, che determinerà il costo a cui sarà venduto uno dei bene primari nel mercato dei futures. Credendo di avere in mano in anticipo i dati del rapporto che annunciano una forte crescita del prezzo, i miliardari fratelli Dukes cominciano a comprare nella borsa merci i contratti sulle arance. Determinano così un effetto: fanno salire gli acquisti del succo di arancia il cui prezzo schizza in maniera vertiginosa. Tutti pensano che il prezzo salita e quindi vogliono acquistare subito. Non sanno che i dati in loro possesso sono fasulli e che il vero rapporto annuncerà invece un buon raccolto e quindi prezzi in diminuzione.

Arrivato al cap di mercato, il duo Aykroyd-Murphy incomincia a vendere contratti a 1.42, il prezzo che il contratto future stava battendo in quel momento. I due sanno bene che il rialzo in corso è fasullo, in quanto scatenato dagli acquisti dei Duke, che hanno comprato sulla base di un falso rapporto sui raccolti. Sanno che il prezzo del succo d’arancia è destinato a crollare, dopo che il vero rapporto verrà comunicato.

Oggi viviamo una triste analogia con il film che è diventato ormai un autentico tormentone natalizio. Peccato che a tormentare il Natale di molte famiglie ed imprese non sarà una pellicola cinematografica, ma un caro bolletta che trova una delle sue motivazioni proprio nelle storture del mercato del gas di Amsterdam, il Ttf le cui dinamiche sembrano tristemente ricordare le speculazioni dei Dukes e di Eddie Murphy e Dan Akroyd. Nel rialzo del prezzo del gas il Ttf, il mercato virtuale del gas, gioca infatti un ruolo determinante. Il prezzo sale perché si pensa che sia destinato a salire.

Se avessimo appreso la lezione della crisi del 2007, determinata proprio dalla disconnessione tra economia finanziaria e quella reale, già la parola virtuale suonerebbe male anche ai meno esperti. Ma cos’è esattamente il Ttf e come funziona.

Il Title Transfer Facility è appunto un mercato virtuale con sede ad Amsterdam, in cui trasportatori e acquirenti scambiano le forniture di gas. A contrattare, sono tanto i produttori nazionali e internazionali, quanto i distributori e gli operatori di rete e le industrie di stoccaggio. Di fatto un punto virtuale di scambio.

Se la dinamica di mercato fosse correlata, come nel caso del Brent, ad un regolare meccanismo di domanda e offerta, non ci sarebbero troppi problemi se non quelli correlati all’attuale contesto geopolitico.

La stortura nasce, proprio come per le arance dei Dukes e la cartolarizzazione dei mutui subprime, a causa di dinamiche di mercato scollegate all’economia di mercato.

Chi scambia gas su Amsterdam può infatti concludere accordi per la consegna e il consumo di gas immediato o stipulare future. Il Ttf offre due opzioni principali per i trader: si possono concludere accordi destinati alla consegna e al consumo immediati di gas, o firmare i cosiddetti “futures”, un contratto in cui il prezzo viene pattuito oggi, ma la consegna e il pagamento avviene in un momento successivo.

La logica è puramente speculativa, chi accetta il prezzo oggi si aspetta, al momento della consegna, un valore più alto.
Se da un lato questo funzionamento aveva consentito a governi e imprese di pianificare i propri acquisti, dall’altro ha esposto il mercato del gas a dinamiche speculative che, in un contesto di crisi come quello attuale, rischiano di soffocare l’economia reale e mettere a repentaglio la capacità di erogare servizi essenziali per molti governi.

Con la chiusura delle forniture da parte della Russia di fatto il mercato scommette su un valore del prezzo futuro del gas molto più alto, un prezzo che purtroppo, governi e imprese sono costrette a pagare oggi.

Di fatto il mercato si adatta plasticamente ad ogni intervento dei governi volto a stoccare gas per far fronte all’imminente stagione invernale, rendendo questo sforzo economicamente sempre più oneroso. È proprio per questo, che – per quanto non risolutivo – risulta oggi indispensabile sganciare il prezzo del gas dalle dinamiche speculative del Ttf, dando almeno l’illusione di aver imparato dagli errori del passato.

Forse il tutto può apparire poco liberista, soprattutto per chi scrive, ma è ormai evidente che stiamo vivendo un’economia di guerra che ci impone scelte coraggiose e immediate.

La storia ci ha poi insegnato che la fiducia cieca ed ottusa nel mercato ha prodotto più danni che benefici e che non guardare ai fondamentali del mercato, depurandolo dalla finanza speculativa sarebbe un errore che potrebbe costare caro all’Europa.

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