L’Unione europea prevede la possibilità per gli Stati di modificare i propri piani nazionali di ripresa e resilienza, fino anche a riscriverli interamente. Purché le modifiche siano giustificate da circostanze oggettive e rispettino gli stessi criteri considerati nella fase di approvazione di tutti i piani nazionali. Ecco cosa si può fare secondo Giuseppe Pennisi
Per pura coincidenza, il 19 settembre, da un lato, il ministro dell’Economia Daniele Franco ha dichiarato che se le circostanze lo richiedono si possono effettuare modifiche mirate al Pnrr, la Fondazione Open Polis ha pubblicato sul suo sito un breve ma completo esame delle procedure per effettuare tali modifiche e il Prof. Luca Bartolucci (Università di Roma La Sapienza e Luiss) ha diramato ad amici e colleghi un paper sugli aspetti giuridici dell’argomento.
Non sta certo a me riassumere questi documenti (rimando gli interessati soprattutto a quello di Open Polis) ma di cercare di tirare le somme dato di possibili modifiche o meno al Pnrr si è parlato molto nella campagna elettorale che sta per terminare. Vediamo di tirare le somme. L’Unione europea prevede la possibilità per gli Stati di modificare i propri piani nazionali di ripresa e resilienza, fino anche a riscriverli interamente. Purché le modifiche siano giustificate da circostanze oggettive e rispettino gli stessi criteri considerati nella fase di approvazione di tutti i piani nazionali.
Tra cui la quota minima da destinare a obiettivi ambientali (37% di tutte le risorse) e a obiettivi digitali (20%). Occorre ricordare, però, che nel Pnrr gli investimenti sono a supporto di riforme strutturali mirare ad aumentare la produttività generale del sistema Italia. Quindi, in generale, a causa dell’aumento di costi causa il ridisegno o riallestimento di investimenti una modifica mirata è ammissibile purché non snaturi la riforma cui il progetto di investimento fisico è di supporto. Più complesse, le modifiche delle riforme: ad esempio, una deroga alle regole per categorie come gli stabilimenti balneari e tassisti sembra ardua perché snaturerebbe la concorrenza non solo in Italia ma nell’intero mercato unico.
Inoltre, il rilascio delle risorse da parte dell’Ue è legato al rispetto di un cronoprogramma che, soprattutto per l’Italia, è particolarmente serrato. Ad esempio, per richiedere a Bruxelles la terza tranche di finanziamento entro la fine del 2022, come previsto, l’Italia da ottobre a dicembre dovrebbe conseguire 51 scadenze. Considerando gli altri impegni previsti entro l’anno – in primis la legge di bilancio – e i tempi necessari alla formazione di un nuovo esecutivo e alla ripresa dei lavori, sarebbe difficile immaginare che si riescano a rispettare i tempi, anche senza revisioni. A maggior ragione, risulta altamente improbabile con una sospensione dell’attuazione del Pnrr e l’avvio di un processo di revisione.
La procedura per richiedere modifiche mirate non è semplice. Il Pnrr è un contratto stipulato con l’Unione europea, Ue, al più alto livello, il Consiglio dei Capi di Stato e di governo. La proposta deve essere vagliata e valutata dalla Commissione, nella sua funzione tecnica ma discussa ed approvata dal Consiglio europeo. Se, dato l’aumento dei costi, si vogliono e devono rivedere le specifiche di investimenti (senza mutare obiettivi e contenuti di riforme) è preferibile raggrupparli in un pacchetto unico che venga valutato dalla Commissione come una sola modifica e portato al Consiglio per decisione.
Nel dibattito è spuntata la proposta di utilizzare il Pnrr per un progetto che non c’è e non né collegato a riforme: il ponte sullo Stretto di Messina di cui si parla dall’epoca degli antichi romani. Le ultime ipotesi maturate a partire dagli anni Settanta ipotizzavano un progetto di ponte a campata unica di 3 300 metri, che sarebbe il più lungo ponte sospeso al mondo. La società concessionaria Stretto di Messina creata nel 1981 e dal 2013 in liquidazione, autrice di quest’ultimo progetto, aveva avuto il mandato per la progettazione realizzazione e gestione dell’opera.
Dopo alcuni decenni dedicati solo alla progettazione, a seguito di una gara di appalto internazionale, nel 2005 aveva affidato l’opera al contraente generale Eurolink. Dopo oltre cinque anni dall’aggiudicazione dell’appalto, il 20 dicembre 2010 il contraente generale aveva consegnato (come previsto dal contratto) il progetto definitivo dell’opera elaborato da società di ingegneria specializzate estere (partner di Eurolink). Con la messa in liquidazione della società concessionaria, il progetto è decaduto.
Ne è sorta una complessa vertenza giuridica, ancora non completamente risolta. Occorre chiedersi quali analisi economica è stata fata dal 1981 al 2013 dalla Società Ponte sullo Stretto di Messina, la cui sede è sempre stata a Roma, luogo più comodo di Reggio Calabria e Messina per dirigenti e funzionari delle aziende a partecipazione statale che intrattengono relazioni con il potere politico
Si resta, quindi, con seri interrogativi sulla convenienza del megaprogetto. In fase di cantiere si metteranno in moto attività produttive nel Mezzogiorno o soprattutto nel Nord a ragione dei materiali che verranno impiegati? Quali sono le tariffe minime per assicurare, da un lato, che automobilisti e ferrovie siano pronti a utilizzarlo ed evitare che la vicenda finisca in un marasma finanziario analogo a quella che per alcuni decenni ha caratterizzato l’Eurotunnel sotto la Manica? Come si sono stimati i benefici economici? Per i benefici e i costi finanziari ed economici è stata fatta un’analisi di rischio?
Non sono domande peregrine quando sono in ballo le risorse ingenti della collettività e quando si è alle prese con “la maledizione dei megaprogetti” quale documentata nel volume di Bent Flyvbierg, Nils Bruzelius e Werner Rothengatter Magaprojects and risks: an anatomy of ambition, pubblicato dalla Cambridge University Press. Il lavoro analizza 258 mega progetti (210 sono nel settore dei trasporti) in tutto il mondo; nel 90% dei casi i costi effettivi sono stati molto superiori (28%) alle stime iniziali; nel 40% dei casi la domanda è stata notevolmente inferiore alle aspettative (mandando a soqquadro l’equilibrio costi-ricavi); nel 9% è stata, invece, superiore (creando congestione). Gli aumenti dei costi e gli sfasamenti tra domanda stimata ed effettiva comportano ritardi oppure riduzione degli standard tecnici oppure ancora opere incomplete.