Strattonata da più parti, la Giustizia è ritornata ad essere un tema caldo dell’agenda politica. Dopo la sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi, il Pdl ha posto una riforma in questo ambito come una questione imprescindibile per la durata del governo di larghe intese. Ma cosa pensano di questo tema coloro deputati a pensarle le riforme, la commissione di 35 saggi nominati dall’esecutivo? Formiche.net lo ha chiesto a un suo componente, Francesco D’Onofrio, ex ministro della Pubblica istruzione e storico esponente dell’Udc.
Voi “saggi” del governo Letta, pensate di intervenire anche sulla riforma della Giustizia invocata dal Pdl?
La questione giustizia non faceva parte del nostro programma iniziale. Si tratta evidentemente di decisioni politiche che valuteremo al termine del nostro lavoro, anche alla luce dei risultati ottenuti dal lavoro medesimo.
Ma tra il programma iniziale e adesso, c’è una condanna definitiva al leader del Pdl di mezzo…
Se il rapporto tra magistratura e politica non viene inteso come una questione personale ma come un problema politico generale, allora sono d’accordo che vada affrontato.
E come va affrontato?
Le possibilità che vedo sono tre. Non mi sembra che l’istituto della grazia possa essere chiamato per risolvere i problemi giudiziari, sarebbe un salvacondotto inaccettabile. Per l’amnistia, occorre ovviamente un consenso politico da grande coalizione che fino ad ora è mancato. Per quanto concerne il Consiglio superiore della Magistratura mi sembra invece che possiamo muoverci nel solco delle conclusioni del comitato di saggi chiamati dal Presidente Napolitano.
Perché il Csm?
Bisogna ricordare che fu proprio la presenza dei politici nel Csm a rappresentare all’assemblea costituente una sorta di decisione sostanzialmente di grande compromesso costituzionale. Si decise che la presenza dei politici dovesse rappresentare una sorta di garanzia tra derive fasciste della vecchia magistratura e nuovi valori costituzionali basati sulla sovranità popolare.
Ma che “c’azzecca” l’assemblea costituente con la situazione attuale?
Anche oggi la questione di fondo è come stabilire un equilibrio tra la sovranità popolare che si esprime soprattutto tramite il voto e il principio di legalità tipico della funzione giurisdizionale.
Operativamente cosa significa?
Potrebbe significare accentuare il ruolo di garanzia del Csm, mantenendo la presidenza da parte del capo dello Stato, sempre che non si opti per una forma semipresidenziale di governo, e avvicinando il Csm al modello attuale della Corte costituzionale, cioè nominato un terzo dal presidente della Repubblica, un terzo dal Parlamento e un terzo dai magistrati. Così non sarebbe il risultato di una grande coalizione come nel caso dell’amnistia ma neanche una soluzione da stato di necessità basato sul lasciare le cose come stanno. Da questo punto di vista, il nostro lavoro di saggi potrebbe concludersi con questa previsione.
A proposito del vostro lavoro, a che punto siete?
Se il governo sopravvive, dovremmo incontrarci a metà settembre e quella potrebbe essere l’occasione giusta per proporre una soluzione sulla giustizia che discenda dalle riforme che abbiamo ritenuto di suggerire al governo. Quella che ho prefigurato sarebbe una piccola ma molto importante riforma costituzionale sulla Giustizia.