Ripulire prima di ricostruire: eliminare ciò che non va, riflettere e poi decidere. E’ questa, almeno nei primi cinque mesi di pontificato, la “linea Bergoglio” per rimettere le cose in ordine in Vaticano, laddove non funzionano, soprattutto sotto gli aspetti economici e finanziari.
Ne è testimonianza il “licenziamento” (o meglio, l’accettazione della rinuncia al governo pastorale) dei due arcivescovi titolari delle diocesi slovene di Maribor e Ljubljana, rispettivamente monsignor Marjan Turnsek e il presidente della Conferenza episcopale nazionale, monsignor Anton Stres, avvenuto – come specifica la nunziatura apostolica in Slovenia – “a causa della grave situazione economica nella quale si trova l’arcidiocesi di Maribor e nella speranza che le loro rinunce contribuiscano al rinnovamento della vita della Chiesa in Slovenia”. Quindi: rinunce ai sensi dell’articolo 401 paragrafo 2 del codice di diritto canonico, che prevede la “grave causa” a impedire la prosecuzione di una missione episcopale. Una misura non certo di poco conto. Ma cosa è successo nella piccola diocesi ai confini con l’Austria, che porta un nome famoso più che altro per le sue piste da sci?
Un crac da 800 milioni
La Santa Sede inizia a capire la gravità della situazione nel 2010, quando viene inviato in Slovenia un ispettore, Gianluca Piredda, per valutare lo stato del bilancio della diocesi di Maribor: ne emerge subito un quadro assai problematico, causato da operazioni poco limpide risalenti addirittura agli inizi degli anni novanta, che coinvolgono la costituzione di holding, società per investimenti, finanziarie e network televisivi (uno dei quali, chiamato T-2, che nel 2007 si scopre adibito nelle ore notturne alla trasmissione di film pornografici).
All’origine del dissesto, come ha ammesso la locale conferenza episcopale, sarebbero proprio due holding di proprietà della diocesi, Zvon 1 e Zvon 2 – controllate a loro volta da una società commerciale creata ad hoc, la Rast – “avventuratesi, racconta il Sole 24 Ore, nell’acquisto di immobili (rovinate dalla bolla immobiliare), di altre società, di aperture di ipoteche e di investimenti in settori a rischio”, rivelatisi poi fallimentari e che hanno portato a un buco di circa 800 milioni, pari, calcolano gli esperti, a quasi il 2% del Pil sloveno.
Lo scandalo rivelato da L’Espresso
La conseguente chiusura delle linee di credito e la confisca dei beni ipotecati da parte delle banche coinvolgono anche migliaia di piccoli risparmiatori (pare circa 30 mila), che erano stati convinti a investire i propri capitali, improvvisamente scomparsi nel crac. Nel 2011 uno scoop del settimanale L’Espresso scopre le carte, scrivendo come in tali investimenti vi sia sostanzialmente di tutto: dagli istituti finanziari alle aziende di costruzioni, dall’energia alle telecomunicazioni della società T-2 (telefonia, Internet e tv a fibra ottica).
Allo scoppio dello scandalo, uno dei più gravi per la Chiesa cattolica, e certamente il più doloroso per i vertici dell’episcopato sloveno (in questo assimilato alle crisi economiche e politiche che riguardano oggi lo Stato, membro dell’Unione europea dal 2004, nel suo insieme), Ratzinger interviene con durezza e costringe alle dimissioni l’allora arcivescovo monsignor Franc Kramberger e il direttore dell’amministrazione economica della chiesa di Maribor, Mirko Krasovec.
Le “dimissioni” di Stres e Turnsek
Ma evidentemente non è bastato. E oggi a cadere sono i vescovi Turnsek, subentrato a Kramberger nella diocesi di Maribor nel 2011, e Stres, che per alcuni anni ne è stato prima vescovo ausiliare, poi coadiutore (oltre che, fino al 2006, presidente del Consiglio economico), e che nel 2009 era stato nominato a capo della diocesi di Ljubljana e primate di Slovenia. I due prelati, le cui dimissioni erano state richieste da Papa Francesco solo poche settimane fa, hanno provato a difendersi, ammettendo però implicitamente “le gravi cause” che li hanno spinti ad accettare la volontà del Papa: “Mi dimetto perché lo scoppio della bolla finanziaria in seno all’arcidiocesi sta gettando un cono d’ombra sulla Chiesa slovena – ha chiarito Stres in una conferenza stampa – non ho mai detto che non abbia alcuna responsabilità, ma io e Turnsek non siamo i colpevoli principali”. E lo stesso Turnsek ha dichiarato di aver “fatto del mio meglio per fronteggiare la situazione ma per varie ragioni non ci sono riuscito”.
La “glasnost di Bergoglio”
Una linea dura, quella di Bergoglio, che convince il cardinale Franc Rodè, sloveno anch’egli e prefetto emerito della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata: Bergoglio – ha detto il porporato – “ha voluto usare la Slovenia come esempio per l’intera Chiesa e mostrare che non vi saranno compromessi riguardo a problemi finanziari e di altra natura”. E’ la glasnost di Papa Francesco, dicono alcuni: e se queste sono le premesse, non devono dormire sonni tranquilli allo Ior, all’Apsa e probabilmente in molte altre diocesi del mondo.