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Il ruolo del Gnl nella crisi del gas

Di Diego Gavagnin e Vittorio D’Ermo
Gas naturale liquefatto Gnl

Il Gnl ha salvato l’Europa lo scorso inverno, sorprendendo Putin. Il metano che arriva via nave aumenta sempre più il suo ruolo per la sicurezza energetica delle democrazie, anche nel confronto con il mercato petrolifero. Una lezione di questa crisi. L’intervento di Diego Gavagnin, esperto di politica energetica e Vittorio D’Ermo, economista dell’energia

Nello scorso autunno, la Russia – con varie scuse – ha cominciato a fornire solo in parte il gas naturale di cui le imprese europee avevano bisogno, nonostante ne avesse in abbondanza, provocando un primo forte innalzamento dei prezzi. Se avesse continuato a comportarsi come un operatore “normale” i prezzi si sarebbero riassestati e non avremmo avuto nessuna crisi.

La Russia aveva già deciso di usare le forniture del gas come arma di guerra per indurre i Paesi democratici occidentali a non intromettersi nei suoi progetti imperiali.

I prezzi erano già saliti durante l’estate perché agli acquisti di gas della Cina, impegnata in un vasto piano di metanizzazione, si sono sommati gli effetti della siccità in Brasile, la scarsa ventosità nel Mare del Nord e la fermata imprevista di centrali nucleari francesi, che hanno ridotto le produzioni di elettricità, garantite dal ricorso al gas.

Ad inizio autunno la Russia non ha calcato la mano, ed ha garantito le forniture vincolate da contratti pluriennali “take or pay”, che prevedono sanzioni per le mancate consegne (o ritiri). Quelli che sono venuti a mancare sono i quantitativi venduti all’istante e per questo anche più appetibili dal venditore, perché abitualmente più cari di quelli con lunghi contratti.

Chi aveva gas di riserva – acquistato a basso prezzo durante la crisi del Covid, che aveva fatto crollare i prezzi – ha preferito in quei mesi venderlo invece di impegnarsi nella ricostituzione delle scorte, fiducioso di poter avere nuovo gas dalla Russia per completare gli stoccaggi da usare nella stagione fredda.

La difficoltà di riempimento degli stoccaggi era ben monitorata dai russi, che addirittura ne gestivano direttamente in Germania, Austria e Olanda.

Sono così venuti a mancare circa 40 miliardi di mc, utilizzabili tra settembre e ottobre per finire di riempire i depositi e a novembre, dicembre e oltre per intaccarli il meno possibile. Per il riscaldamento la domanda maggiore è tra metà dicembre e metà febbraio.

Il calcolo della Russia era corretto. Senza stoccaggi sufficientemente pieni nella fase di maggior domanda, saremmo entrati in crisi nelle settimane coincidenti con l’attacco all’Ucraina. Solo la stessa Russia ci avrebbe potuto evitare di stare al freddo e razionare il gas alle industrie.

Ciò che Putin non ha saputo prevedere è stato l’inverno mite negli Stati Uniti, che ha liberato gas per l’esportazione via nave. In più ha sottovalutato il grado di pervasività raggiunto dal mercato mondiale del gas naturale liquefatto.

Non a caso la Russia ha sempre osteggiato il Gnl, tanto che sul totale delle sue esportazioni il gas in forma liquida è meno del 20%, e una produzione significativa è iniziata solo di recente.

Così il GNL, soprattutto americano, più basato su mercati a pronti, rispetto al gas venduto via gasdotto, ci ha salvati tra ottobre e marzo da una crisi ben più difficile, mentre la Russia cominciava a ridurre anche le forniture dei contratti pluriennali, che hanno comunque delle flessibilità.

Come scusa le sanzioni economiche e il blocco dei trasferimenti di tecnologie decise dall’Occidente nel tentativo di far desistere Putin dall’invasione dell’Ucraina. La Russia potrà addurre queste motivazioni quando fosse chiamata in causa per mancato rispetto dei contratti di fornitura.

I prezzi sul mercato internazionale hanno comunque iniziato a segnalare la situazione di scarsità, con forti aumenti di prezzo che all’hub Ttf (la “borsa del gas” europea, con sede ad Amsterdam) si sono portati ben oltre i 100 euro/MWh rispetto ai 15-20 di inizio 2021.

Lo scampato pericolo dell’Europa, almeno dal punto di vista della disponibilità di gas, ha quindi dimostrato la rilevanza del mercato del Gnl che sta diventando il nuovo driver energetico mondiale, subentrando a petrolio e carbone.

Il GNL permette infatti di sostituire questi due combustibili, molto più inquinanti, soprattutto nella produzione di elettricità ma anche nei trasporti pesanti e marittimi. Soprattutto nei Paesi più remoti o isolati che non dispongono di giacimenti propri di gas, come la Cina e l’India e anche la Corea del Sud e il Giappone.

O l’Europa, che ha pochissimi giacimenti rispetto alle necessità. Il Gnl è inoltre l’unico strumento che può ridurre il peso del gas trasportato via tubo controllato nella misura del 40% dalla Russia; l’aumento del ruolo del Gnl è essenziale perché divenga un grande mercato meno soggetto a pratiche discriminatorie da parte di un singolo paese o da cartelli di produttori, come verificatosi in passato con l’Opec per il petrolio.

Il mercato del Gnl già oggi vede come primi produttori Paesi ad economia di mercato e retti da democrazie, come gli Usa e l’Australia, oltre a Norvegia e Canada, che ha grandi potenzialità.

Questa predominanza evita la formazione di aggregazioni para-monopoliste in mano a dittature o autocrazie. Pochi giorni fa una nave metaniera ha scaricato Gnl australiano presso il rigassificatore di Grain, in Gran Bretagna, e una parte del gas è stata convogliata via gasdotto verso la Germania.

Inoltre, il Gnl è una vera “commodity” perché il prodotto è lo stesso (metano al 99%) qualsiasi sia la provenienza. Non è così per il petrolio greggio che ha una variabilità molto alta di qualità e prezzi, tanto che le raffinerie si specializzano a seconda del giacimento di provenienza.

Stesso discorso per il gas naturale via gasdotto, che ha relativa variabilità per percentuale di metano. Il migliore, già di suo al 99%, è quello dell’Adriatico, che assurdamente abbiamo rinunciato ad utilizzare. Per volumi non risolverebbe tutti i nostri problemi, ma potrebbe dare una mano.

Ovviamente anche il Gnl, al di là dei costi di trasporto via nave, ha diversi costi di produzione a seconda dei Paesi di provenienza e delle tecnologie di estrazione e liquefazione: questo fa sì che i prezzi del GNL presentino una certa variabilità.

In Europa, già sul finire del 2021 i prezzi erano in aumento per la serie di fattori sopra richiamati; con l’aggressione russa all’Ucraina e l’occupazione di ampi territori, l’atteggiamento russo si è fatto sempre più restrittivo sui flussi di esportazione.

Le tensioni sui mercati internazionali si sono andate intensificando spingendo le quotazioni all’hub Ttf, particolarmente sensibile a situazioni di crisi proprio per la sua struttura, sino a oltre 300 euro MWh mettendo in pericolo la stabilità economica dei paesi Ue.

Si è così aperto un grande dibattito su come contrastare questi aumenti insopportabili; tra le varie proposte quella di imporre un Price Cap alle importazioni di gas da qualsiasi provenienza o solamente dalla Russia. In realtà la suggestione del “cap” appare velleitaria in quanto tutte le esperienze di fissazione dei prezzi in astratto si sono rivelate fallimentari a partire dalle decisioni dell’Opec che portarono al crollo del prezzo del petrolio.

Appaiono anche poco proponibili le proposte di ancorare i prezzi del Ttf olandese ai prezzi dell’hub americano Henry Hub, dove la realtà è molto diversa con una offerta proporzionata alla domanda e addirittura con un surplus destinabile alle esportazioni.

Ma le quantità esportabili dagli Stati Uniti, per quanto importanti, non sono in grado di eliminare l’attuale situazione di scarsità del mercato internazionale del gas provocata dall’atteggiamento russo. Diversamente dall’Arabia Saudita che in momenti di particolare criticità del mercato petrolifero mondiale è stata in grado di calmierare il mercato con la sua capacità di riserva.

Gli Stati Uniti e gli altri grandi produttori di Gnl non sono ancora in grado di compensare nel breve termine la mancanza di produzione russa che copre quasi il 25% del commercio mondiale di gas. Il mercato sta quindi reagendo a questa eccezionale situazione, aggravata dalla mancanza di infrastrutture di ricezione di Gnl in molti paesi che hanno fatto affidamento solo sui gasdotti, come la Germania, o solo parzialmente come l’Italia, con i drammatici aumenti di prezzo che stiamo subendo.

La crisi è così grave che non solo sugli hub europei si registrano prezzi eccezionali, ma anche su quelli asiatici a dimostrazione dello stretto collegamento tra tutti i mercati e la velleità di interventi sui prezzi. In questa fase l’unico strumento che può calmierare i prezzi è quello del controllo della domanda e dal ricorso temporaneo anche ad altre fonti fossili oltre che alle rinnovabili.

Non appena la crisi sarà superata ed alcune delle infrastrutture messe in cantiere diventeranno operative, soprattutto i nuovi liquefattori e rigassificatori, i prezzi del gas torneranno a livelli decisamente più bassi, sia pur in grado di remunerare l’entità degli investimenti nella prospettiva di un futuro scenario dominato dalle rinnovabili.

La lezione di questa crisi è che è necessario creare un vero grande mercato mondiale del gas dove il Gnl è chiamato, per le sue caratteristiche, a contribuire in modo sostanziale.

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