Skip to main content

Una internazionale democristiana per il futuro dei Popolari. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Una Agenda Popolare chiara si deve basare su un confronto culturale con gli amici popolari e democristiani europei e dell’internazionale democristiana e di centro, perché la politica europea ed estera torna centrale. Ma serve anche il coraggio di essere all’opposizione dello stato delle cose, sapendosi rimettere in campo come elemento di contraddizione per tanti cattolici in politica

Un’analisi del voto politico italiano a caldo potrebbe partire dalle parole di Umberto Eco: “Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha diritto a governare”, tanto che i padri costituenti hanno sancito che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione: in democrazia e la politica ne ha bisogno, il valore del limite è assai importante e da riscoprire, come insegnava Mino Martinazzoli.

Partire dal concetto di maggioranza è fondamentale perché la Repubblica Italiana, luogo esigente di esercizio della cittadinanza, è affetta da un male che si sta acuendo, vale a dire l’astensionismo che, di fatto, lascia ai meccanismi elettorali la costruzione delle maggioranze che non lo sono nella realtà del Paese, cosa che mantiene il popolo in un continuo stato di inquietudine e sensazione di non trovare mai rappresentanza procedendo, per chi vota, a ondate che premiano di volta in volta un leader alla ricerca di identità perse.

È una caratteristica della fallita Seconda Repubblica imperniata sulle rendite di posizione di polarizzazioni innaturali e liderismi. In questa tornata, il combinato disposto di velocità verso il voto, legge elettorale bloccatissima, riduzione del numero dei parlamentari ha determinato una svolta oligarchica con conseguente aumento del senso di esclusione. Il problema sta
in un sistema politico in crisi e confuso in cui, tra le altre cose, gli artifici per la sopravvivenza politica individuale dei primi dei mediocri, coloro che ereditarono i vecchi partiti, non funzionano sostanzialmente più: il gioco di specchi tra vecchia appartenenza, un po’ di mestiere e centrismo alla qualunque per collezionare posizioni, sigle ed entrismi, si è esaurito essendo ormai efficace per un numero irrilevante di presenze.

Queste elezioni aprono a due conclusioni sostanziali: gli italiani non vogliono chiudersi in un sistema maggioritario che annichilisce identità che cercano e quando le trovano premiano e il centro dello scacchiere esiste ampiamente ma è profondamente azzoppato dalla mancanza di coraggio dei cattolici che, impegnati stancamente, ancora, ad andare a servizio a destra e a sinistra, difendendo i posti concessi (in via di estinzione), spesso mere consulenze, in cambio di una ideologizzazione del pezzo di visione che assumono, morale o sociale, conservatore o progressista, che sia.

La risposta sta nel preparare, attraverso il tavolo popolare nazionale operativo, una soggettività politica e una maglia organizzativa chiare che interpellino lo stesso Partito Popolare Europeo in vista delle complesse elezioni europee del 2024: le posizioni ascoltate in questa campagna elettorale evidenziano, infatti, che il suo radicamento nel nostro paese è tutto da svecchiare e ridefinire, non da consegnare a veicoli altrui pur oggi vincenti ma proprio altrui. Facendo una rapida carrellata di quanto serva tenere in considerazione per i Popolari è possibile partire da Pd: qui si è consumato il distacco del così detto cattolicesimo democratico dall’alveo del pensiero popolare per diventare uno strumento, un metodo di sinistra fino ad assumere la guida del partito nell’alveo del prodismo estemizzando la mediazione, sempre al ribasso. Il risultato è sotto gli
occhi di tutti: questa che si è consegnata ad essere una corrente progressista accettando un’agenda radicale non solo perde politicamente e partiticamente ma dimostra di non essere più in grado di comprendere la complessità e le evidenze della realtà.

Nelle settimane scorse alcune riflessioni di cattolici di sinistra (o già un po’ sinistrati), probabilmente consapevoli dell’insufficienza e del declino cattdem, hanno incominciato a parlare di moderati e moderatismo: hanno assunto la vaga
definizione tanto usata per due decenni dal berlusconismo rimanendo, alla fine, nella terra di mezzo dei senza identità e del mero metodo. Il Terzo Polo nel suo radicamento tecnocratico e macroniano guarda forse da un’altra parte ma ha avuto il pregio di non abbandonarsi al frontismo anacronistico e mantenere viva una memoria della posizione centrale intercettando anche un pezzo del problema degli affanni del nord Italia simbolo di una questione da affrontare al pari di quella del sud, in cui si determina la tenuta del M5S che da primo partito italiano in cinque anni perde percentualmente un po’ più della metà dei voti. L’agglomerato terzo polista può essere interessante in interlocuzioni territoriali ma il centro si determina, evidentemente, solo attraverso il popolarismo.

A destra si sentono, anche grazie alla spinta data dalla vittoria, i discorsi che si sentivano a sinistra per decenni,
ossia la corsa verso il partito contenitore: a sinistra si parlava di partito plurale e contaminazione per giustificare progressive dissoluzioni, oggi a destra l’argomento è la svolta conservatrice – che, comunque, dovrà fare i conti con l’identità, l’architrave missina – usata per nobilitare l’entrismo dei “cattolici della morale” di prima o successive ore. È la nuova Dc? Naturalmente no perché questa aveva, appunto, una cultura originale distante da destra, distinta da sinistra utile a rispondere alla domanda di identità e riconoscibilità degli italiani su cui si costruiscono le priorità.

Il veloce impegno dei Popolari allora dove si attesta, considerandone l’attualità? Su una Agenda Popolare chiara, su un confronto culturale con gli amici popolari e democristiani europei e dell’internazionale democristiana e di centro (perché la politica europea ed estera torna centrale) e anche il coraggio di essere all’opposizione dello stato delle cose,
sapendosi rimettere in campo come elemento di contraddizione per tanti cattolici in politica o quel che sia o siano diventati ideologicamente, visti, per molti, i risultati che hanno condotto all’irrilevanza. Insomma si apre una finestra perché i popolari, per dirla con la definizione di Luigi Granelli, siano intransigenti.

×

Iscriviti alla newsletter