Fermo restando l’obiettivo finale di garantire l’assoluta integrità del territorio ucraino, è tempo che i Paesi della Nato alleati di Kiev riflettano su possibili alternative rispetto al pericolo di escalation con Mosca. La trasformazione della guerra da conflitto convenzionale, asimmetrico ed in parte ibrido in una guerra di liberazione, non penalizzerà gli ucraini, allungherà semmai la durata del confronto, evitando però conseguenze disastrose per tutti
Se finora la linea è stata dettata da Washington, è il momento di voltare pagina. Una linea muscolare, irrobustita senza necessità dal segretario generale della Nato, travalicando tra l’altro sistematicamente le sue competenze che gli consentono solamente di “guidare le consultazioni” tra alleati, è giunto a un punto di non ritorno, più che di svolta, con Putin in una nassa e noi che rischiamo di fare la stessa fine se non mettiamo a punto una visione comune. Una visione che ricerchi con cura gli spazi residuali – ammesso che esistano – per una soluzione non catastrofica del conflitto russo ucraino. In altre parole è ora che compaia in scena il grande assente: la concertazione. Una interlocuzione collettiva tra tutti coloro che fin dall’inizio hanno fatto una precisa scelta di campo a fianco dell’Ucraina e che ora rischiano, tutti, un conto ben più salato rispetto a quello puramente economico.
Preservare l’integrità ucraina evitando escalation
A scanso di equivoci, un punto fermo che non può che rimanere tale è la preservazione dell’integrità territoriale ucraina. E tuttavia, vanno studiate risposte ancora possibili che consentano di mantenere o recuperare, a seconda dei punti di vista, tale irrinunciabile condizione mettendosi al contempo al riparo dalle reazioni russe, così come minacciate da Putin. Tra l’altro l’articolo 4 del Trattato Atlantico prevede esplicitamente specifiche consultazioni quando a parere anche di un solo Paese membro sia a rischio la sicurezza collettiva. E duole ricordare che finora le uniche consultazioni altro non sono stato che la semplice enunciazione e implicita accettazione di un’unica linea, verosimilmente non coordinata. E vale anche la pena ricordare che nel più importante di questi incontri, quello di Ramstein del 26 aprile scorso, l’amministrazione statunitense, per bocca del capo del Pentagono, Lloyd Austin, è uscita allo scoperto fissando l’end state della confrontazione russo-ucraina nella riduzione di Putin all’impotenza militare, a una condizione in cui “non potesse rappresentare più minaccia per i vicini”.
Ipotizzare altri percorsi
Siamo proprio sicuri che sia questo quello che noi volevamo (e tuttora vogliamo), o non è finalmente giunto il momento di percorrere altre vie, verosimilmente praticabili fino a qualche tempo fa, certamente più ardue, se non utopiche, ora. Ma almeno, ora come allora, bisogna provarci e su questo è necessario un confronto vero con chi condivide i fondamentali della vicenda. In buona sostanza, il recupero dei territori annessi con forme di lotta che sono in definitiva quelle di una guerra di liberazione.
Per una guerra di Resistenza ucraina
La lotta partigiana, di istinto, parrebbe quella praticabile anche dal punto di vista dell’efficacia. Zelensky si muoverebbe in un territorio che non ha segreti, con uomini altamente mimetizzabili, difficilmente catalogabili per appartenenza, protetti dalla popolazione non russofila, ben armati e soprattutto bene e costantemente informati sugli obiettivi da colpire. Accantonando le armi a lunga gittata od ogni altro sistema offensivo di proiezione, privilegiando invece dotazioni di armamento individuali, tecnologicamente avanzati, interconnessi con altre utili piattaforme e, in altre parole, molto efficaci per il tipo di conflitto da affrontare, il tutto da accompagnare da un irrobustimento, se possibile, delle sanzioni già imposte dalla comunità internazionale. Insomma, una guerra asimmetrica e ibrida da trasformare in guerra partigiana. Questa, a mio modo di vedere, è la pista da approfondire, insieme alle altre eventuali vie di fuga dalla nefasta minaccia putiniana.
Verso i colloqui
Da ultimo, appare in tutta evidenza che l’auspicato avvio di colloqui a livello internazionale debba comportare una riconsiderazione della posizione italiana alla luce della situazione completamente nuova e ben più insidiosa di quella per la quale abbiamo passivamente seguito il mainstream. Su questo il governo, anche quello ancora in carica, dovrebbe aprire una riflessione, magari coordinandosi come per il documento di economia e finanza, con chi dovrebbe loro succedere alla guida del Paese e chiedendo il benestare di questo Parlamento o di quello che a breve si insedierà.