La nave russa colata a picco riapre una discussione già esistente sulle capacità statunitensi e cinesi di operare intorno a Taiwan. Colpire obiettivi navali sembra oggi relativamente semplice, ed è possibile che si arrivi a uno scenario di stallo militare nel Mar Cinese Meridionale
La sera del 13 aprile 2022, l’incrociatore della marina militare russa Moskva si trovava al largo dell’Isola dei Serpenti, coinvolto nelle operazioni di attacco contro l’Ucraina. La mattina seguente fonti di intelligence statunitense, e successivamente il ministero della difesa russo, confermavano che la nave era stata colpita e stava per affondare, secondo Mosca a causa di un incendio, secondo gli ucraini e gli americani a causa di due missili da crociera anti-nave. La questione dovrebbe interessare non solo gli addetti ai lavori militari, ma un pubblico molto più ampio. Perché? Perché gli Ucraini hanno montato su un camion un paio di vecchi missili sovietici per affondare un bestione armato fino ai denti.
Da sempre le grandi potenze sono tali anche perché controllano i mari, e si sentono sufficientemente tranquille nell’avvicinarsi alle linee costiere in giro per il mondo. Questo assunto è applicabile sostanzialmente a qualunque potenza degli ultimi cinquecento anni. Se Kiev è stata in grado di fare questo, cosa succederebbe nel Mar Cinese Meridionale, intorno a Taiwan, dove l’esercito cinese detiene la più grande batteria di missili anti-nave del mondo, e le unità navali statunitensi devono avvicinarsi alla costa per operare? Andiamo con ordine, riprendendo l’analisi effettuata da Alexander Wooley, per la rivista Foreign Policy.
Il termine inglese anti-access/area-denial (A2/AD) è un termine utilizzato dagli Stati Uniti per indicare i piani cinesi per tenere la marina militare americana fuori dalla sfera marittima di Pechino. Per la marina statunitense, la componente più pericolosa di questi piani consiste nella Forza Missilistica del People’s Liberation Army (Plarf), la più grande forza di questo genere al mondo, con circa duemila missili da crociera e balistici armati convenzionalmente (non con testate nucleari). In caso di guerra a Taiwan, o comunque vicino alle coste cinesi, questa forza verrebbe utilizzata per sopraffare i sistemi difensivi navali americani e dei paesi alleati tramite attacchi multipli. Molto probabilmente gli Stati Maggiori di Pechino sono rimasti entusiasti del risultato raggiunto dagli Ucraini.
Il Moskva era stato commissionato nel 1983, aveva decine di missili anti-nave, ma era privo di difese contro di essi, al contrario delle piattaforme presenti nel Pacifico Occidentale, dove il grado di sofisticazione tecnica permette alle navi di colpire, ma anche di difendersi. Purtroppo è vero che anche il livello tecnologico di Pechino è parecchio sviluppato, tra missili balistici e i nuovi missili ipersonici, ora in grado di coprire la maggior parte del Mar Cinese Meridionale.
Non è chiaro al momento se la Repubblica Popolare sia effettivamente in grado di colpire navi a grande distanza: un processo chiamato kill chain che prevede una serie di step, dalla geolocalizzazione al tracciamento, all’engaging, al post-battle assesment. Passaggi che richiedono un’ elevata capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione, che, secondo alcuni, Pechino non ha ancora raggiunto.
Insomma, gli scenari di conflitto sembrano essere sempre più determinati dalla superiorità tecnologica che i rivali riescono a mettere in campo nelle varie applicazioni, perché il discorso sulla deterrenza anti-americana fatto fin’ora si applica anche in senso opposto. Se la Cina dovesse invadere Taiwan incontrerebbe le stesse problematiche. La leadership di Taipei ha storicamente mostrato una propensione per i grandi sistemi d’arma propri di altre medie potenze, e una flotta di superficie di cacciatorpediniere e fregate. I militari statunitensi cercano di sfruttare l’episodio del Moskva per convincere le controparti taiwanesi della bontà del modello di difesa “a riccio”, che si concentra sull’utilizzo difensivo di strumenti a basso costo, altamente mobili, facilmente replicabili, a basso impiego di personale (come due missili sovietici montati su un camion).
Ulteriore problema per Washington deriva dal fatto che gli attuali aerei da trasporto truppe non hanno il raggio d’azione dei modelli precedenti, il che significa che le portaerei devono avvicinarsi all’azione. Tralaltro le portaerei statunitensi non hanno più nemmeno i velivoli da rifornimento aereo, dismessi dopo la Guerra Fredda. Il problema si pone specularmente per Pechino, che per invadere Taiwan dovrebbe spingere nel braccio di mare più militarizzato al mondo le proprie portaerei nuove di zecca.
Uno stallo dunque? Gli esperti di sicurezza internazionale Stephen Biddle e Ivan Oelrich hanno immaginato uno scenario di guerra con una sfera di influenza statunitense intorno ai Paesi alleati, una sfera di influenza cinese sulla massa terrestre, e uno spazio di battaglia conteso che copre gran parte del Mar Cinese Meridionale e Orientale. Un’area in cui nessuna delle due potenze gode della libertà di movimento navale di superficie o aerea, o, in alternativa, una terra di nessuno come lo spazio tra le trincee occidentali della prima guerra mondiale, pattugliato solamente dai sottomarini sotto le onde.
Un’altra questione portata a galla dall’episodio del Moskva è: quanto sono fragili le navi? Stimare a quanti colpi possa sopravvivere una nave militare è, per citare le parole di Wooley, “una scienza imprecisa, i cui risultati sono per la maggior parte tenuti segreti”. Il Moskva era una nave grande e ben armata. Gli Stati Uniti producono navi grandi e ben armate in numeri relativamente piccoli rispetto alla Cina, la quale si ritrova semplificato il problema del che cosa colpire (targeting issue), dal momento che qualunque nave colpisca sarà stata una piattaforma sofisticata, costata un sacco di soldi, di tempo, di tecnologia. Altra questione, quanto tempo passa prima che una nave ritorni operativa dopo l’esplosione di un missile? Un solo impatto potrebbe bastare perché la nave debba allontanarsi dal teatro delle operazioni, e questo, in un conflitto di breve durata, equivarrebbe all’affondamento.
Tuttavia, a giudicare da quanto Pechino sta investendo nelle portaerei, è evidente che non le reputi ancora dei residui bellici obsoleti e vulnerabili. Parafrasando le parole dell’analista britannico, c’è anche da dire che le portaerei possono essere un metro di vanità per una grande potenza marittima. Insomma, l’epoca d’oro delle grandi navi sembra essere al tramonto, anche se non ancora superata.