Non si può credere che la formazione del prossimo esecutivo possa prescindere da passaggi essenziali previsti dalla Costituzione. Dall’insediamento delle Camere alle consultazioni col Capo dello Stato, sono tante le tappe da percorrere. Le racconta il costituzionalista Vincenzo Lippolis, tra prassi e scelte inusuali
Ogni giorno televisioni e giornali ci parlano dell’onorevole Meloni che è all’opera per formare il nuovo governo. Nell’impazzare del “totoministri”, sembra quasi che l’esecutivo debba prender vita il giorno dopo. Non è così, perché vi è una serie di passaggi istituzionali da compiere.
Innanzi tutto debbono costituirsi le Camere e i gruppi parlamentari. Camera dei deputati e Senato sono convocati il 13 ottobre per l’elezione dei rispettivi presidenti. Non è detto però che ci si riesca in un giorno solo, perché i regolamenti parlamentari sono esigenti in fatto di quorum. Il regolamento della Camera richiede la maggioranza di due terzi dell’assemblea alla prima votazione e la maggioranza di due terzi dei votanti nella seconda e terza votazione. Dalla quarta è richiesta la maggioranza assoluta dei voti. Se non ci si arriva si prosegue a votare. Al Senato è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti l’assemblea nelle prime due votazioni e quella dei votanti nella terza. Se nessuno la raggiunge si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati nell’ultimo scrutinio. Insomma, considerando anche che il voto è segreto e vi potrebbero essere dei franchi tiratori, ci si dovrebbe impiegare un paio di giorni.
I presidenti eletti convocano poi una seduta successiva per l’elezione dell’ufficio di presidenza. Poiché in tale organo sono rappresentati tutti i gruppi parlamentari bisognerà attendere la loro costituzione. Deputati e senatori devono infatti necessariamente appartenere ad un gruppo e hanno un termine di pochi giorni dalla prima seduta per dichiarare la loro scelta. Successivamente i presidenti d’assemblea li convocano perché eleggano i loro organi dirigenti. Si dovrebbe così arrivare alla settimana successiva.
Tutti questi passaggi sono necessari perché si possa aprire il procedimento di formazione del governo con le consultazioni da parte del Capo dello Stato il quale riceve i presidenti d’assemblea (che sono i primi soggetti ad essere consultati) e i rappresentanti dei gruppi (spesso insieme ai segretari di partito) per poter trarre le necessarie indicazioni sull’esistenza di una maggioranza pronta a sostenere il nuovo esecutivo. Nel 2001 il Presidente Ciampi si discostò da questo percorso. Ricevette i leader del centrodestra (il netto vincitore delle elezioni) e del centrosinistra, Berlusconi e Prodi, prima dell’elezione dei presidenti delle Camere e, successivamente, non le delegazioni dei gruppi, ma rappresentanza liberamente composte dalle due coalizioni. Ma era il tempo del bipolarismo maggioritario. Il Capo dello Stato aveva voluto adattare le consultazioni al sistema politico del momento. E infatti il precedente è rimasto isolato.
Il passaggio successivo è il conferimento dell’incarico a costituire il governo. I tempi dipendono dall’esistenza di una maggioranza. Nel nostro caso, il centrodestra dispone della maggioranza assoluta in entrambe le Camere e (a parte le dispute sugli incarichi ministeriali) non mostra crepe.
Di regola, l’incaricato accetta con riserva e svolge proprie consultazioni per verificare a sua volta l’esistenza della maggioranza e calibrare programma e composizione dell’esecutivo. Anche per questo passaggio può rintracciarsi un precedente difforme. Nel 2008, dopo una schiacciante affermazione elettorale, Berlusconi accettò l’incarico senza riserva, presentando la lista dei ministri. L’episodio non costituì una compressione della partecipazione del Capo dello Stato alla formazione del governo perché, come spiegò lo stesso Presidente Napolitano, la chiarezza del risultato elettorale aveva consentito nei giorni precedenti qualche scambio di opinioni preliminari e informali tra lo stesso Presidente e il leader della maggioranza sulle procedure e sui criteri per la formazione del governo.
A parte questo ormai lontano avvenimento, il presidente del Consiglio incaricato se nelle sue consultazioni ha accertato che vi sono le condizioni per formare il governo, torna al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare la lista dei ministri.
Non si tratta di un passaggio automatico, poiché il Presidente della Repubblica può avanzare rilievi su qualche nome e chiedere sostituzioni o cambi di dicastero. Nell’opinione pubblica è ancor vivo il ricordo del rifiuto del Presidente Mattarella di nominare Paolo Savona ministro del Tesoro al momento della formazione del primo governo Conte nel 2018. In realtà, in ogni fase della vita politica repubblicana i Presidenti, quando lo hanno ritenuto, hanno influito sulla composizione del governo sia in negativo, opponendosi alla nomina di singole personalità, sia in positivo favorendo l’ingresso nel governo di personaggi ritenuti utili. Non è possibile stilare un elenco completo di tutti i casi in cui ciò si è verificato, perché l’influenza del Presidente può essere stata discreta e non essere emersa. In altri casi, le vicende si sono svolte pubblicamente o comunque vi sono state indiscrezioni. Ad esempio, nel 1994 Scalfaro rifiutò la nomina di Cesare Previti a ministro della Giustizia in quanto avvocato del premier Berlusconi (l’interessato divenne ministro della Difesa); nel 2001 corse voce che Ciampi avesse imposto l’ambasciatore Ruggiero al ministero degli Esteri e avesse impedito la nomina alla giustizia di Bossi e Maroni, in quanto sottoposti a procedimento penale per il reato di attentato all’unità dello Stato; nel 2014 Napolitano si oppose alla nomina a ministro della Giustizia del procuratore Gratteri, in quanto in servizio con quella particolare funzione.
Alcuni Presidenti (Pertini, Cossiga, Scalfaro) hanno anche inviato delle lettere ai presidenti del Consiglio incaricati indicando criteri di carattere generale per la formazione dell’esecutivo. Il più netto nel riaffermare le prerogative presidenziali e il diritto/dovere di valutare la lista dei ministri fu Cossiga che nel 1991, al momento della formazione del VII governo Andreotti, inviò a questi una lettera nella quale si affermava che la nomina dei ministri era un atto al quale partecipavano paritariamente.
Una volta formata la lista dei ministri si potrà procedere al giuramento e il governo sarà costituito. Potrà così presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia.
In definitiva, i passaggi procedurali per giungere alla formazione dell’esecutivo, anche se potranno essere accelerati, richiederanno qualche giorno. Nel frattempo potrà proseguire il “totoministri”.