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Guerra fredda, petrolio e intelligence. Enrico Mattei raccontato da Caligiuri

Un insieme di contributi che propone documenti inediti, riflessioni e analisi che si aggiungono alla sterminata produzione su Mattei, con l’ambizione della scientificità e nella pluralità dei punti di vista. Pubblichiamo l’introduzione del volume “Enrico Mattei e l’intelligence. Petrolio e interesse nazionale nella Guerra fredda”, a cura di Mario Caligiuri, pubblicato da Rubbettino

L’intelligence è un argomento di crescente interesse dal punto di vista scientifico. Non a caso, ci si sta adoperando per fare diventare questa disciplina materia di studio nel nostro Paese.

Infatti, l’intelligence si potrebbe configurare come una necessità sociale per aiutare cittadini, imprese e Stati a comprendere gli scenari del presente. Giorgio Galli ricordava che nel nostro Paese la considerazione dell’intelligence era viziata dall’assenza di studi sistematici a livello storico e scientifico, in quanto ricostruita principalmente attraverso interpretazioni ideologiche, giornalistiche e giudiziarie.

In tale contesto si colloca l’attività dell’Università della Calabria che dal 1999 sta promuovendo formazione accademica e pubblicazioni scientifiche sull’intelligence. Per quanto attiene la ricostruzione storica, nel corso degli anni sono state approfondite le figure di Francesco Cossiga, Aldo Moro e Giulio Andreotti. Adesso è la volta di Enrico Mattei, che a sessant’anni dalla morte risulta ancora centrale nel dibattito storico e culturale del nostro Paese. Il suo ruolo nella politica energetica è stato determinante per fare diventare l’Italia una grande potenza industriale a pochi anni da una rovinosa guerra perduta.

In questo volume collettivo, storici, magistrati e studiosi analizzano le vicende del presidente dell’Eni attraverso la particolare chiave dell’intelligence. Mattei, difatti, conosceva bene e utilizzava in modo appropriato questo strumento acuminato fin dalla Resistenza, applicandolo poi quale manager pubblico nelle sue attività in Italia e all’estero. Non a caso, l’uso strategico delle informazioni è stato decisivo per la promozione economica dell’Eni nella dimensione della guerra dell’informazione. E questo sia per difendersi dalle inchieste della stampa internazionale e promuovere anche in Italia la sua politica, molto avversata; sia per utilizzare la business intelligence in modo da favorire la penetrazione commerciale dell’azienda nei mercati mondiali.

Contemporaneamente, per il suo ruolo così rilevante, le agenzie di intelligence ne controllavano le azioni con continuità: dagli americani ai britannici, dai francesi agli israeliani. Nella vicenda della sua morte, come viene evidenziato dall’indagine del giudice Vincenzo Calia, uno degli autori dei testi, l’intelligence viene costantemente evocata. Il volume colma un vuoto e illumina la figura di Mattei arricchendola di aspetti inediti, quali le considerazioni del Secret Service di Sua Maestà, citati da Giovanni Fasanella, oppure la lettera inedita di Aldo Moro riportata nel mio saggio, che un mese prima della morte chiede a Mattei “un sacrificio per il partito”.

“Enrico Mattei e l’intelligence” intende aprire nuovi scenari nella ricerca accademica, invitando a svolgere ulteriori approfondimenti attraverso gli studi sull’intelligence, sottraendo la figura di Mattei alle teorie del complotto per indirizzarla verso una più appropriata analisi storica. Gli stimolanti contributi che compongono il volume esprimono punti di vista e approcci differenti, com’è giusto che sia in un dibattito scientifico.

Il mio intervento di apertura pone le prime basi per comprendere come in Mattei sia maturata l’importanza dello strumento dell’intelligence per sostenere le politiche dell’Eni nel contesto nazionale e internazionale. Ho quindi approfondito l’aspetto fondamentale dell’intelligence nell’organizzazione aziendale, tanto nella dimensione della business intelligence che della propaganda. Inoltre, evidenzio come l’esperienza di Mattei venisse seguita con attenzione dalle agenzie di intelligence, chiamate in causa in occasione della sua morte, per la quale ho censito “sette ipotesi senza nessuna certezza”. Concludo ponendo in risalto l’innegabile attualità di Mattei per la capacità di trattare le informazioni, la necessità di formare leadership pubbliche selezionate sul merito e il perseguimento dell’interesse nazionale attraverso l’autonomia energetica.

Per Alessandro Aresu l’Eni di Enrico Mattei nella Guerra fredda è il tentativo di costruire un “impero pubblico” dell’energia, che amplifichi le possibilità di sviluppo per l’Italia. In questo modo, l’azienda agisce come vettore di politica estera. Da un lato, Mattei invita i suoi collaboratori ad agire secondo la massima di «non dimenticare mai nei rapporti con l’estero di difendere insieme gli interessi dell’impresa e quelli del Paese».

Dall’altro lato, Mattei vuole collocarsi oltre lo Stato, perché consapevole degli spazi d’azione limitati per l’Italia, in quanto Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale. Nel portare avanti il suo disegno, Mattei trova un fortissimo ostacolo nella burocrazia italiana verso la quale nutre una sfiducia profonda. Mattei, che porta nella gestione dell’impresa la sua esperienza politica, si sente un servitore dello Stato, che vuole innovare il funzionamento del capitalismo pubblico. Inoltre, in questo senso si sviluppa “l’arma” di Mattei: il potere contrattuale negli assetti italiani diventa un fattore di influenza interna, prima ancora che di diffusione internazionale.

Nel metodo di Mattei c’è un elemento che gli sopravvive. Infatti, intuisce un tema essenziale di debolezza, cercando di porvi rimedio: l’importanza della costruzione della classe dirigente a livello nazionale e nei rapporti internazionali, soprattutto nell’area mediterranea. Molto interessanti sono le tre declinazioni dell’intelligence in Enrico Mattei, che Aresu propone, individuandole nell’esperienza cruciale della Resistenza, durante la quale matura spunti organizzativi, contatti personali e legami politici che gli saranno utilissimi nel futuro; nella creazione di uffici all’estero che, come racconta Mario Pirani, rappresentavano delle antenne sensibilissime per sostenere in modo vincente le politiche dell’ENI; nella raffinata capacità di lettura delle informazioni che gli consentiva di anticipare le tendenze del mercato energetico mondiale, consapevole della necessità dell’innovazione continua.

Giovanni Buccianti nel 2005 ha pubblicato Enrico Mattei. Assalto al potere petrolifero mondiale. Sulla base delle sue ricerche in archivi stranieri e delle interviste a personaggi di primo piano dell’Eni e a livello internazionale, come il ministro francese Claude Cheysson, amplia il discorso sulla politica energetica del Paese negli anni Cinquanta, fino al tragico 27 ottobre 1962. Ripercorre le vicende che hanno caratterizzato la politica di Mattei nelle diverse aree geopolitiche nella ricerca di alleanze, collaborazioni e accordi, valutandone la consistenza, nonostante, nella sua interpretazione, consideri che sia stato spesso il caso a decidere.

La fine di Mattei ha appassionato per il mistero irrisolto dei mandanti dell’attentato. Buccianti riferisce la dichiarazione immediata di Krusciov, secondo cui Mattei era stato ucciso. Non a caso, il KGB due settimane prima lo aveva avvertito del pericolo di vita che correva ma che Mattei sottovalutò, convinto di essere ben protetto. Analizza poi nel dettaglio le varie forze ostili al presidente dell’Eni. Dal suo punto di vista, non avrebbe senso l’ipotesi dell’Oas, dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Algeria e l’accordo con De Gaulle, anche se Cefis, alla guida dell’Eni dopo Mattei, non ne concretizzò gli accordi, tra i quali era previsto il gasdotto. Condivide la tesi del complotto delle grandi compagnie petrolifere, con il supporto della Cia, che riceveva informazioni dal Sifar e dalla mafia.

Vincenzo Calia è il magistrato che ha condotto la terza inchiesta sulla morte di Mattei. Il saggio riassume l’indagine svolta dal 1994 al 2003 dalla Procura di Pavia, secondo cui deve ritenersi in via definitiva acquisita la prova che l’aereo del presidente dell’Eni fu “dolosamente abbattuto” la sera del 27 ottobre 1962. Cento grammi circa di tritolo, sistemati dietro il cruscotto dell’aereo diretto a Linate, prima del decollo da Catania e innescati dal comando di fuoriuscita del carrello, provocarono un’esplosione limitata, non distruttiva, tale da mascherare il sabotaggio.

Il saggio prosegue con uno sguardo all’atteggiamento dell’intelligence verso tale delitto, facendo cenno, tra l’altro, a un libro pubblicato nel 1968, dove un funzionario dei Servizi francesi racconta dell’omicidio, a opera dello Sdece, di tale Albert Fernetti, magnate svizzero del petrolio che finanzia gruppi rivoluzionari. I nomi e i luoghi sono di fantasia, ma i riferimenti a Enrico Mattei e al suo omicidio sono palesi, anticipando ciò che sarà chiarito solo nel 2003 dall’indagine pavese. Alter ego e braccio destro di Fernetti-Mattei è Eric Garnette, ufficiale della riserva e patriota, che ha accettato di collaborare coi Servizi francesi nell’eliminazione di Fernetti, grazie a un’ambizione smisurata e al desiderio di subentrare alla testa dell’impero dello stesso Fernetti.

Il profilo di Eric Garnette ricalca con ogni evidenza la figura di Eugenio Cefis, sul quale convergono non pochi sospetti. Giovanni Fasanella ricostruisce, attraverso i documenti rinvenuti con Mario J. Cereghino nell’archivio di Stato inglese di Kew Gardens, la lunga guerra condotta dalle compagnie petrolifere e dai governi britannici contro la politica energetica italiana. Un ostracismo iniziato nello stesso anno in cui Mattei fondò l’Eni e proseguito, in un crescendo impressionante, sino alla sua morte. Considerato un «pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo», una «verruca», un’«escrescenza», dopo averlo combattuto «con ogni mezzo», ma senza ottenere risultati, il ministero dell’Energia inglese giunse a invocare, proprio nel 1962, l’intervento dei Servizi di Sua Maest.

Elio Frescani ricorda innanzi tutto come Enrico Mattei sapesse di essere sotto il controllo quotidiano dei Servizi segreti italiani e soprattutto stranieri, rendendolo consapevole della necessità di sviluppare un’azione mediatica innovativa e ad ampio raggio. Da quando viene nominato commissario dell’AGIP, ma soprattutto dalla fondazione dell’Eni nel 1953, l’ambasciata americana a Roma invia a ripetizione informazioni sulle attività dell’Eni e del suo presidente al Dipartimento di Stato.

Le informative aumentano dopo la stipula degli accordi con l’Egitto e l’Iran tra il 1956 e il 1957, quando Mattei sconvolge l’equilibrio creato dalle “Sette sorelle” con la nuova formula 75%-25% nella divisione degli utili. Mattei era consapevole di essere un “sorvegliato speciale” e per questo assunse anche un investigatore privato per cercare di scoprire le eventuali talpe presenti all’interno dell’azienda e provò a difendere il suo operato su tutti i fronti. Di conseguenza, parallelamente alle sue attività, Mattei attua una strategia di difesa a 360 gradi, che consiste nell’utilizzo di tutti i media disponili all’epoca. Mattei è infatti consapevole del potere delle informazioni e crea una rete di pubbliche relazioni per le attività aziendali in cui il sapiente uso delle informazioni diventa fondamentale.

Luca Micheletta indaga il rapporto tra Enrico Mattei e Giulio Andreotti, che non ebbe mai un atteggiamento di univoco apprezzamento o di esaltazione nei confronti del presidente dell’Eni. Fu critico sul ruolo che, fin dall’inizio, Mattei cominciò a svolgere il ruolo di finanziatore delle nascenti correnti interne alla Dc, che minavano l’unità del partito. All’interno della Dc, Andreotti e Mattei furono due rivali politici e si divisero in particolare sull’apertura ai socialisti. Andreotti era anche contrario all’eccesso di interventismo statale nell’economia, nel quale egli vedeva – come don Sturzo – il rischio di inquinamento della vita politica. Da ministro delle Finanze, Andreotti tese, inoltre, a contrastare le iniziative internazionali dell’Eni che riteneva troppo avventuriste ed eccessivamente costose per il bilancio dello Stato. Comunque, Andreotti non considerò mai Mattei un sovvertitore dell’ordine mondiale. Al momento della scomparsa di Mattei, Andreotti era ministro della Difesa e di sua iniziativa nominò la sera stessa della morte di Mattei, il 27 ottobre, la commissione tecnica d’inchiesta che escluse l’ipotesi dell’attentato, confermata dalla parallela inchiesta della magistratura conclusasi nel 1966.

Andreotti rimase sempre convinto della serietà e della buona fede delle indagini svolte dalle due inchieste e non parlò mai di attentato o di assassinio di Mattei. Giacomo Pacini ha indagato la figura di Enrico Mattei attraverso una corposa ricerca dei documenti dell’intelligence italiana e straniera. L’obiettivo del saggio è di evidenziare come i Servizi segreti italiani, sia il Sifar che l’Ufficio Affari Riservati, abbiano interpretato l’azione di Mattei. Si tratta di documentazione declassificata e di materiale pubblicato nel corso degli anni nei vari libri dedicati alla figura del presidente dell’Eni. Dalla lettura organica di questa documentazione emerge una netta differenza di valutazione dei Servizi italiani. Contraddicendo una serie di interpretazioni e testimonianze, Pacini constata che il Sifar dimostrava una profonda ostilità nei confronti di Mattei, arrivando addirittura a sostenere che egli si inviava finte lettere minatorie per fini propagandistici, mentre l’Ufficio Affari Riservati analizzava con molta attenzione le minacce che giungevano al presidente dell’Eni che non venivano per niente ritenute frutto di millanteria.

In particolare, in una nota del marzo 1962, presentata per la prima volta in questo volume, l’Ufficio Affari Riservati sosteneva che sarebbe stato in programma un attentato contro l’aereo di Mattei, prefigurando con mesi di anticipo lo scenario nel quale il presidente dell’Eni avrebbe perso la vita. Il saggio finale è di Nico Perrone, uno dei più attenti studiosi del presidente dell’Eni, che approfondisce e aggiorna il tema caldo del rapporto tra Mattei e gli Usa.

Cercando di portare ogni discorso all’essenziale, ritiene che l’analisi debba prendere necessariamente le mosse dalla condizione dell’Italia, Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale. Di conseguenza, l’opzione “occidentale” dell’Italia nelle relazioni internazionali fu una scelta che De Gasperi avvertiva imposta dai fatti. Lo statista trentino non aveva escluso di considerare altre opzioni compresa quella neutralista, ma, come spiega Perrone, il premier non trovò alcun appoggio internazionale nella direzione di una diversa scelta di politica estera. Sulla fine di Mattei, Perrone afferma in modo esplicito che le indagini iniziali vennero strozzate, poiché “le conclusioni di Pavia avrebbero potuto – anzi dovuto – dar luogo a pronunzie giudiziarie successive, data la straordinaria delicatezza del caso. A tal fine, sarebbe stato necessario che quelle conclusioni venissero appellate. Questo non è avvenuto, né per autonoma iniziativa giudiziaria, né per iniziativa delle parti lese”.

In conclusione, l’insieme dei contributi propone documenti inediti, riflessioni e analisi che si aggiungono alla sterminata produzione su Mattei, con l’ambizione della scientificità e nella pluralità dei punti di vista. Da questi ultimi, emerge la consapevolezza che alcuni episodi della sua vicenda non saranno mai chiariti. In ogni caso, si propone un libro di straordinaria attualità politica che richiama da un lato l’urgenza di classi dirigenti che perseguano l’interesse nazionale e dall’altro il ruolo sempre più vitale delle politiche energetiche nell’ordine mondiale. Non era facile scrivere qualcosa di nuovo su Enrico Mattei. Ci abbiamo provato applicando il metodo dell’intelligence, per unire fili dispersi e cogliere segnali deboli. Non a caso lo sfondo è quello delle notizie di intelligence, che negli anni del presidente dell’Eni, e come sempre, rappresentano la dimensione mancante della storia.

(Foto di Enrico Mattei dall’archivio storico di Eni)


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