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Il Covid nato in laboratorio? C’è un nuovo studio (da verificare)

La ricerca ha identificato nel genoma del Covid-19 un modello peculiare, più caratteristico dei virus sintetici che dei virus naturali. E avverte che c’è un urgente bisogno di trasparenza per ridurre i rischi di biosicurezza. Le considerazioni del virologo François Balloux, esperto della Sars-CoV-2

“Per prevenire future pandemie, è importante capire se Sars-CoV-2 (Covid-19, ndr) è arrivato direttamente dagli animali alle persone o indirettamente in un incidente di laboratorio”. Questa è la premessa di un recente studio intitolato “L’impronta digitale dell’endonucleasi indica un’origine sintetica di Sars-CoV-2”, condotto da ricercatori del Dipartimento di Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Cliniche Universitarie di Würzburg, dalla Selva Analytics in Montana e dal Dipartimento di Farmacologia e Biologia del Cancro della Duke University in Durham.

La ricerca ha identificato nel genoma del Covid-19 un modello peculiare, con un meccanismo di disassemblaggio e riassemblaggio stranamente efficienti, più caratteristico dei virus sintetici che dei virus naturali: “Scopriamo che Sars-CoV-2 è un’anomalia, più probabilmente un prodotto dell’assemblaggio del genoma sintetico che dell’evoluzione naturale”.

Il Covid-19 differisce, quindi, da tutti gli altri coronavirus, e presenta un tasso significativamente più alto di mutazioni. “Ha un’impronta digitale sintetica che è improbabile che si sia evoluta dai suoi parenti stretti – aggiungono i ricercatori -. Riportiamo un’alta probabilità che il Covid-19 possa aver avuto origine come un clone infettivo assemblato in vitro”.

Dallo studio si rivela che la mappa genetica del Covid-19 è anomala per un coronavirus selvaggio ed è molto più probabile che sia originario da un clone infettivo progettato come un efficiente sistema di genetica inversa.

Nelle conclusioni i ricercatori ammettono che il loro lavoro ha diversi limiti: “La nostra meta-analisi ha cercato un insieme rappresentativo di CoVs ingegnerizzati, volti a indirizzare la letteratura specifica utilizzando lo specifico metodo qui studiato. Espansione ad altri termini, letteratura, e gli stessi metodi applicati ad altri virus possono migliorare la nostra comprensione dell’impronta digitale del virus […] Non abbiamo controllato per filogenetica dipendenza tra CoV nella nostra distribuzione di tipo selvaggio. La nostra analisi delle mutazioni ha considerato a tasso uniforme di mutazioni attraverso i genomi, mentre i tassi relativi possono aumentare o diminuire la probabilità di creare sistemi genetici inversi da parenti stretti di Sars-CoV-2”.

“La probabile origine di laboratorio suggerita dai nostri risultati motiva miglioramenti nella biosicurezza globale – ha concluso lo studio -. Dati i progressi delle biotecnologie e il basso costo di produrre cloni infettivi, c’è un urgente bisogno di trasparenza sulla ricerca sul coronavirus avvenuti prima del Covid-19 e il coordinamento globale sulla biosicurezza per ridurre i rischi di fuga involontaria di laboratorio di cloni infettivi”.

François Balloux, direttore dell’Istituto di genetica dell’University College di Londra, e il virologo che ha elaborato il primo sequenziamento su larga scala di Sars-Cov2. Su Twitter ha scritto che sembra una ricerca solida “sia concettualmente che metodologicamente. Per quanto ne so, confermo che i modelli riportati sono autentici”.

“La distribuzione dei siti di restrizione in Sars-CoV-2 è altamente atipica rispetto ai virus correlati in circolazione – spiega l’esperto – e molto più in linea con i precedenti coronavirus ingegnerizzati in laboratorio. Questa è una scoperta preoccupante, che richiede un esame accurato”.

Balloux ha sottolineato il fatto che questi risultati non sono “finali e dispositivi”, come infatti i ricercatori precisano nelle conclusioni, “ma non possono nemmeno essere ignorati. Per me, questa è di gran lunga la prova più forte fino ad oggi contro un semplice scenario di rigorosa origine zoonotica per Sars-CoV-2”.

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