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Vizi della legislazione e riserve dello Stato. Scrive l’avv. Zucchelli

Alcune posizioni sono condivisibili, altre però hanno necessità di puntualizzazioni più ampie. Claudio Zucchelli, presidente aggiunto onorario del Consiglio di Stato, risponde a un articolo a firma del prof. Tivelli sui vizi della legislazione

Le riflessioni del prof. Luigi Tivelli su Formiche.net del 18 ottobre u.s., come sempre acute, meritano una parziale condivisione ma anche una integrazione e una puntualizzazione da parte di chi, come chi scrive, ha ricoperto posizioni di Grand Commis nei gabinetti e presso la presidenza del Consiglio negli ultimi decenni.

La critica allo spostamento, de facto, della funzione legislativa dal Parlamento al governo non può che essere condivisa e ulteriormente stigmatizzata, soprattutto da chi la lamenta, anche dalle pagine di questo sito, fin dai primi incostituzionali Dpcm dell’epoca pandemica. Essa è tendenza antica, accentuatasi con lo scoppio della pandemia, quando il pretesto di questa ha permesso un experimentum in corpore vili circa un nuovo modello di democrazia autoritaria, di controllo sociale e di costituzione materiale ibrida vagamente, incertamente e approssimativamente presidenziale.

Così come deve stigmatizzarsi l’alluvione normativa, anche in questo caso lamentata da chi scrive fin da quando, a capo del Dagl di Palazzo Chigi per dieci anni, cercava di convincere ministri e amministrazioni (ma soprattutto queste ultime) che l’ordinamento giuridico italiano è già talmente pervasivo che è possibile rinvenire una base normativa praticamente per qualsiasi intervento nella vita economica e sociale della nazione, attraverso strumenti amministrativi senza alcuna necessità di nuove norme a complicare la vita.

Le giuste osservazioni del prof. Tivelli, però, sono accompagnate da una forte critica nei confronti di alcune tra le riserve dello Stato, che da sempre costituiscono il nerbo di quegli uffici di diretta collaborazione che coadiuvano il ministro proprio nella strategia normativa e amministrativa.

Sembra eccessivo attribuire la responsabilità di questi due mali al fatto che tali incarichi siano stati da sempre ricoperti in massima parte da magistrati del Consiglio di Stato, secondo l’assunto dell’articolo, sempre gli stessi a “piantare le tende”, e ormai giunti anche ad una certa età, atteso che tra loro si rinviene “… qualche acrobata o trapezista un po’ troppo stanco o troppo anziano e un po’ obsoleto rispetto alla funzione richiesta …”, come si legge nell’articolo quasi fossero prossimi alla demenza senile, suppongo.

Per evitare di cadere in un banale spot pubblicitario a favore del Consiglio di Stato (e dei Tar che appartengono al medesimo plesso, e non sono di serie B) in comparazione con i magistrati della Corte dei Conti, gli Avvocati dello Stato, i Consiglieri Parlamentari e i professori universitari (cioè le Riserve dello Stato nel loro complesso), ma soprattutto per fornire una chiave interpretativa a questi fenomeni negativi, gioverà allora brevemente individuare alcune delle vere cause di essi.

Quanto al primo punto (accentramento della potestà normativa nel governo) riscontriamo due serie di fattori.

Il primo è costituito da un mutamento nella cultura istituzionale dei Paesi occidentali, sempre più affascinati dai modelli di democrazia autoritaria provenienti dall’est. Personaggi quali Erdogăn, Putin, Xi Jinping, Orbán ed altri, se pure giustamente stigmatizzati per avere realizzato regimi falsamente democratici ma in realtà autoritari se non dittatoriali, in fondo piacciono a gran parte della opinione pubblica e del personale politico occidentale, così come, a suo tempo, piaceva a Churchill il primissimo regime fascista. Essi riportano nella cultura istituzionale la tendenza efficientista di un modo perverso di intendere il liberalismo e di affidarsi ai meccanismi della Società aperta. In altre parole, si privilegia il raggiungimento del risultato, whatever it takes direbbe qualcuno, obliterando gli stessi principi che sottostanno ad una visione liberale e libertaria della società. Così, sostanzialmente, rincorrendo e riproducendo la medesima strada razional-costruttivista-marxista (come la definisce von Hayek) di costruzione e gestione dirigista della Società (non più) aperta.

Il secondo fattore costituisce l’anello di congiunzione anche con il secondo fenomeno costituito dalla alluvione normativa.

Nella illusoria e paranoica aspirazione a un dirigismo istituzionale e sociale totale (id est: totalitarismo), il Corpo politico si trova a fronteggiare il Corpo amministrativo, ormai autoreferenziale e caratterizzato da un forte potere condizionante nei confronti degli obbiettivi politici. Infatti, il compito del burocrate è rispettare e far rispettare le regole, di cui è l’unico interprete e gestore, e quasi novello Azzeccagarbugli, in tale attività riesce ad intortare i tanti Renzo: cittadini, imprese e politici. Il rapporto di agenzia politica/burocrazia si è così fortemente squilibrato a favore della seconda, che persegue autonomamente il soddisfacimento dei propri interessi (leciti ovviamente) economici, di carriera, di prestigio e, non ultimo ma anzi sempre più spesso predominante, di riparo dalle responsabilità amministrative e contabili attraverso la così detta “amministrazione difensiva”, vale a dire l’uso (o forse meglio dire il “non uso”) del potere amministrativo, soprattutto discrezionale, per non decidere e non assecondare così le sempre pericolose innovazioni divisate dal Corpo politico.

Ciò determina dal lato della politica, l’illusione che, ricorrendo alla norma di rango legislativo, si possa imporre, automaticamente, il raggiungimento del fine politico aggirando o imbrigliando la discrezionalità amministrativa. Come se esistessero norme di legge che si possano attuare senza la mediazione di un qualche ufficio!

Dal lato della burocrazia, si determina il soddisfacimento dei suoi interessi, in primo luogo, alla copertura della propria responsabilità. Si raggiunge però anche un altro risultato paradosso, vale a dire che le nuove norme (e naturalmente anche quelle di cosiddetta semplificazione o sburocratizzazione) richiedono inevitabilmente un nuovo apparato amministrativo per la loro attuazione, nuovi “luoghi” di decisione amministrativa, cioè di fatto aumentano il potere della burocrazia e le occasioni di ricatto, innescando nuovamente quel circolo vizioso norma-attuazione-nuova-norma-attuazione etc., che si ripete all’infinito. È in realtà una trappola, nella quale il Corpo politico casca puntualmente, anche nella illusione demagogica che sciorinare come al mercato la propria produzione normativa, mostri all’elettore la misura della sua efficienza, anziché, come è in realtà, della sua ingenuità istituzionale, e sia ripagato con il voto.

Ciò dà luogo appunto al secondo dei fenomeni lamentati, quella alluvione normativa del tutto disfunzionale rispetto al medesimo obbiettivo politico, che però a questo punto soddisfa sia la politica sia la burocrazia. Parafrasando il Manzoni potremo dire del cittadino e delle imprese: “L’un popolo e l’altro sul collo vi stan”!

In questo quadro l’oscurità e la cattiva fattura delle leggi non deriva dalla cultura e dall’habitus mentale del singolo Commis, quanto piuttosto dalla parossistica ricerca da parte del Corpo politico di prevedere e regolare tutte le minime situazioni che astrattamente possano incidere sull’obiettivo di dirigere e controllare la società, sbandierando le nuove norme come la soluzione salvifica e miracolosa dei problemi; e da parte della burocrazia, di prevenire la propria responsabilità proprio favorendo norme di legge stringenti, di dettaglio e contradditorie, praticamente incomprensibili e inestricabili, dietro le quali nascondere la amministrazione difensiva.

La conciliazione di questi convergenti interessi determina quei mostri legislativi, inutili, dannosi, vergognosi e inqualificabili di cui l’esempio paradigmatico è il codice dei contratti pubblici.

In tutto ciò la responsabilità dei Grand Commis, quali i capi di gabinetto, i capi ufficio legislativo, i consiglieri giuridici ecc., è puramente complementare e accessoria, atteso che le decisioni di fondo non sono di loro competenza.

È la politica che deve prendere coscienza di queste dinamiche e affrontare alla radice il fenomeno imboccando decisamente la strada della liberalizzazione delle attività oggi fortemente regolamentate (non della fasulla semplificazione che non significa nulla), unico mezzo per interrompere questo circolo vizioso e dannoso, e in ciò formulo il mio auspicio per il nuovo governo.



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