Meloni ha fatto un governo che le potrebbe far guadagnare i complimenti del dottor Massimiliano Cencelli, autore del celeberrimo manuale sulla distribuzione del potere ministeriale di memoria proto-democristiana e poi si mette a ribattezzare dicasteri con impronte sovraniste e un cicinin nostalgiche? Non è il caso… La rubrica di Pino Pisicchio
Nel film “Palombella Rossa” Nanni Moretti, intervistato da una giornalista un po’ imbranata e parecchio imprecisa, a un certo punto sbotta indignato e, dopo aver mollato uno schiaffo alla malcapitata, le urla: “Le parole sono importanti!”. L’esclamazione morettiana, al netto del manrovescio poco politically correct, torna alla mente scorrendo i titoli ministeriali che la neo presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha usato per ribattezzare qualche dicastero del primo gabinetto a guida femminile e con una destra (senza edulcorazioni centriste) saldamente egemone.
Le parole sono importanti, infatti: il lessico trasforma il fatto, ne fissa i nuovi caratteri, si fa esso stesso programma. Così, se la lista dei ministri che compongono il governo Meloni è più o meno quella delle veline circolanti da almeno una decina di giorni – ma diciamo pure che tutta la parabola di questa nuova fase politica, risultati elettorali compresi, sembra una sceneggiatura già scritta e consegnata alla Siae da un bel po’- qualche novità la troviamo invece nelle denominazioni date ai dicasteri.
Così compare, al ministero delle Pari Opportunità, l’aggiunta di Famiglia, non nuovo, e “natalità”, anch’esso già orecchiato, ma solo pescando nelle rimembranze più remote, quando in questo Paese si premiavano con danari le famiglie numerose. Così fa capolino un sostantivo nuovo accanto al nome storicamente riportato negli annali ministeriali di “Istruzione” (con la variante Pubblica): “merito”, che sembra un po’ un pleonasma (art.34 Cost.: “I capaci e meritevoli anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”), un po’ un omaggio alla dottrina confuciana. Ma indubbiamente la semantica ministeriale meloniana trova il suo disvelamento nella denominazione data al vecchio ministero dell’Agricoltura, che aggiunge con un lieve furore nazionalista la competenza della “Sovranità alimentare”. Cosa vorrà significare ce lo spiegherà con calma il nuovo ministro, l’on. Lollobrigida di stretto rito meloniano (con un di più di contiguità familiare): probabilmente vorrà dire guerra senza quartiere al “parmezan”, promozione nel mondo del riso-patate-e-cozze, tutela della porchetta di Ariccia e altre squisitezze analoghe.
Ma – mi si consenta – forse si poteva trovare un altro modo per dirlo senza evocare quella parola ipnotica che richiama quell’altra paroletta, “sovranismo” nota per richiamare un progetto politico così poco europeista e così tanto divisivo proprio sul piano internazionale.
Giorgia Meloni è stata bravissima nella partita che ha preceduto il governo: non ha detto frasi fuori misura, ha rassicurato con parole tatarelliane partner e osservatori internazionali che stavano lì a guardare col fucile spianato suoi possibili strafalcioni, ha ammansito persino il vecchio lupo di Arcore che fino alla vigilia dell’incarico sembrava facesse di tutto per metterla in difficoltà con l’audio filo-putiniano.
Ha fatto un governo che le potrebbe far guadagnare i complimenti del dottor Massimiliano Cencelli, autore del celeberrimo manuale sulla distribuzione del potere ministeriale di memoria proto-democristiana e proprio adesso si mette a ribattezzare dicasteri con queste impronte sovraniste e un cicinin nostalgiche? Non è il caso.
A proposito del lupo di Arcore: chi ha visto il gruppo dei capi della destra dopo la consultazione da Mattarella avrà certamente notato Berlusconi in ascolto dell’on. Meloni che parlava a nome di tutti: nulla di eclatante, per carità, ma la mimica facciale raccontava tanto con il sopracciglio arcuato e le labbra che sembravano sul punto di dire per dissentire e censurare. Auguri primo governo Meloni: dobbiamo sperare che riesca, perché è comunque il governo di questo nostro paese e noi ci stiamo dentro.