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Sul femminicidio il decreto-legge Letta-Alfano non basta

Questo commento è stato pubblicato su Il Tempo

Tutto all’insegna del numero due, come in una coppia, e chissà se anche il destino, birichino, non abbia voluto, così, dire la sua: due ore di riunione del Consiglio dei ministri per approvare un decreto-legge che è frutto di due mesi di lavoro, e che dovrà essere convertito in legge definitiva entro due mesi a partire da oggi.

Sul femminicidio e gli atti persecutori il governo Letta-Alfano ha dato, dunque, un primo segnale. Segnale doveroso e positivo, perché la violenza di genere viene punita con maggiore severità, le donne vittime saranno meglio aiutate dalle istituzioni e il comportamento degli aggressori uomini potrà essere, se non prevenuto -come pur si vuole-, almeno un po’ più rapidamente previsto. Il testo va nella direzione giusta e le misure speciali sono indicate in dodici articoli. Fanno parte di un provvedimento che legifera più in generale sul tema della sicurezza: è anche questa è una scelta apprezzabile.

Ma le nuove norme approvate dal governo in nome delle tre “p” (“prevenire, punire e proteggere”, come ha detto il ministro dell’Interno e vicepresidente, Angelino Alfano) sono ancora insufficienti rispetto ai parametri della “tolleranza zero” che il tema esige. Migliorano l’esistente, certo, rendono più incisivo il ruolo delle forze di polizia, l’intervento del questore e le indagini della magistratura. Ma non infrangono il tabù politico che regna, sovrano, quando si va a determinare a colpi di codice come e quando colpire l’accusato di reati gravissimi.

Il carcere continua a essere considerato solo e sempre “un male estremo”, anziché il mezzo -a volte, purtroppo, l’unico mezzo- non soltanto per interrompere la catena delle violenze, ma anche per prevenirle in tempo. Se un molestatore abituale sa che rischia di finire in cella non già tra svariati anni dopo tre gradi di giudizio, ma di finirvi subito da denunciato con gravi indizi a suo carico, è chiaro che ci penserà bene prima di continuare a perseguitare la vittima. E’ vero che l’arresto è stato introdotto per maltrattamenti, ma “in flagranza di reato”. Meglio di niente. Però il fenomeno di questa violenza silenziosa -violenza fisica, psicologica, morale, familiare- non si afferra soltanto mentre essa viene compiuta. Di più: immaginare di poterla fermare solo nell’atto in cui avviene, “in flagranza”, appunto, significa rischiare d’arrivare tardi, come la media di una donna ammazzata ogni tre giorni tragicamente testimonia.

Nel femminicidio è potente non la repressione, pur necessaria, ma la deterrenza. E’ potente il sentore della violenza che incombe, il monito alto e forte dell’istituzione nei confronti dell’uomo “prima” che si abbandoni alla violenza irreparabile, la percezione da parte della vittima che il suo grido di dolore non lascerà insensibile lo Stato e chi lo rappresenta. In questo percorso di cose dette e non dette -per pudore o timore-, di situazioni complicate dove perfino l’amore malato può trasformarsi in odio, di contesti senza testimoni diretti a parte il Lui, l’aggressore, e la Lei, la vittima, la custodia cautelare è, spesso, un’àncora di salvezza per la donna. Tolleranza zero significa che lo Stato tiene così tanto alla vita dei suoi cittadini, da proteggerla con ogni mezzo. All’occorrenza anche col carcere per chi questa vita disprezza e mette in pericolo.

Molte delle novità del decreto-legge contro il femminicidio sono utili, dalla querela irrevocabile alla possibilità d’intervenire d’ufficio, dalle aggravanti per i coniugi e per i compagni anche non conviventi all’assistenza legale per le donne senza reddito, alla corsia preferenziale per questo tipo di processi. Giusto l’aumento delle pene, la possibilità di buttar fuori di casa il violento, il permesso di soggiorno da accordare alla straniera vittima di abusi, e altro ancora. Come l’aver sanzionato il cyber-bullismo e le persecuzioni per via tecnologica. Ma la vera “modernità” si avrà soltanto quando si rovescerà il teorema che ancora ispira i nostri codici e i nostri legislatori nel rapporto, del tutto impari, tra l’accusato e la vittima del reato. Chi molesta, abusa, perseguita e compie violenza di qualunque genere, deve sapere che rischia il carcere. Subito. Non alle calende greche, che anche nella Roma di oggi valgono quanto un “mai”.

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