Dopo il passaggio di consegne al successore Tajani, è tempo di bilanci per l’ex ministro degli Esteri. Che non solo ha compiuto un’evoluzione personale, e garantito una continuità nel ruolo euro-atlantico dell’Italia, ma ha costruito un buon rapporto con la complessa e raffinata struttura della Farnesina. Cosa che non è riuscita a molti dei suoi (in teoria più rodati) predecessori. Cosa ne pensano Natalizia (La Sapienza) e Cristiani (German Marshall Fund)
Nei giorni scorsi Luigi Di Maio ha passato il testimone ad Antonio Tajani al ministero degli Esteri. Invece di parlare della sua parabola politica prima nel Movimento 5 Stelle e poi come leader di Impegno civico, ci sembra interessante raccontare la sua esperienza alla Farnesina. Anche perché, e questo potrà suonare strano, è rimasto in carica tre anni e un mese ed è dunque il più longevo dei suoi sei predecessori. Il suo mandato, infatti è durato più di quelli di Terzi di Sant’Agata, Bonino, Mogherini, Gentiloni, Alfano, Moavero Milanesi, e solo poco meno dell’ultimo ministro espressione di una maggioranza elettorale, ovvero Franco Frattini (tre anni e sei mesi).
Durante il suo mandato, emerge chiaramente l’evoluzione personale e politica, ed è altrettanto evidente l’attenzione data al ministero, al corpo diplomatico, e alla complessa macchina che si estende a tutto il globo a partire dal palazzone di travertino. Su questo abbiamo chiesto un commento a Gabriele Natalizia, professore associato di Scienza politica all’università La Sapienza di Roma e coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info, e Dario Cristiani, resident senior fellow al German Marshall Fund.
Per Natalizia, “il ministero di Luigi Di Maio deve essere guardato sia dalla prospettiva ‘interna’, che da quella ‘esterna’. Partendo dalla prima occorre ricordare che arriva alla Farnesina senza un’expertise specifica sul tema, ma dalla posizione di capo politico del Movimento 5 Stelle. Sapientemente si è affidato al segretari generali del Maeci, prima Elisabetta Belloni e poi Ettore Sequi, di cui ha sostenuto la nomina. All’interno del Consiglio dei Ministri, grazie al suo peso politico, ha potuto rappresentare con maggior successo di alcuni suoi predecessori le istanze della Farnesina e tradurle in risorse. Due indicatori, in particolare, sembrano rilevanti in tal senso. La prima è la riapertura dei concorsi per gli amministrativi della Farnesina, che da tempo erano bloccati. La seconda, ancora più importante, è stata il recupero al Maeci dell’Ice, che prima era in capo al ministero dello Sviluppo economico e che potrebbe essere un futuro terreno di scontro tra i ministri Antonio Tajani e Adolfo Urso.”
Guardando invece alla prospettiva esterna, Natalizia rimarca invece come Di Maio sia “arrivato al Maeci con posizioni eccentriche su molti temi rispetto alla tradizione sulla politica estera italiana ma, proprio grazie ai suggerimenti di Belloni e Sequi, ha subito cambiato atteggiamento, garantendo una sostanziale continuità su tutte le questioni più rilevanti. Nell’ambito del governo Conte II, va ricordato che ha rischiato più volte di sovrapporsi con il presidente del Consiglio, che per ragioni di prestigio ha provato a seguire alcuni dossier scottanti, come la liberazione di Silvia Romano o dei 18 pescatori di Mazara del Vallo. Con Mario Draghi presidente del Consiglio è apparso parzialmente marginalizzato su alcune questioni strategiche, come la guerra in Ucraina e il rapporto con l’Unione europea, che ha accettato più pacificamente rispetto a quanto fatto con il suo predecessore”.
Per Dario Cristiani, “c’è stata una crescente consapevolezza e comprensione del ruolo, e soprattutto di come fosse necessario declinarlo rispetto ai reali interessi, sia valoriali sia materiali, di lungo periodo italiani – interessi che si declinano su scala europea e transatlantica prima di tutto e non nell’inseguimento di improbabili convergenze con Cina e altri Paesi. Tale consapevolezza ha infine prevalso su altre logiche, e questo passaggio è stato particolarmente evidente nei mesi della crisi del Covid-19, che hanno portato a una maturazione e a un approccio tale che hanno permesso a Di Maio di restare in quella posizione anche nel governo di Draghi, governo di un primo ministro che ha fatto della sintesi euro-atlantica la cifra distintiva del suo mandato e che avrebbe tranquillamente potuto sostituirlo se non avesse avuto contezza che tale approccio sarebbe potuto essere puntellato in maniera sostanziale dal suo ministro degli Esteri”.
Anche Cristiani sottolinea il buon rapporto con una macchina “complessa e di alto livello” come quella della Farnesina. Un passaggio non scontato né banale, come dimostrato “dai problemi che in passato inquilini ben più rodati e inseriti nel contesto politico e diplomatico italiano hanno avuto”.