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Ecco perché il caso Spagna è differente

I Paesi dell’eurozona si sono accordati per un prestito da 100 miliardi di euro alla Spagna, per stabilizzare il sistema bancario iberico. Il pacchetto di aiuti ha riguardato dunque il settore finanziario più che il debito sovrano spagnolo, per cui Madrid non si è trovata pressata da quelle onerose richieste di austerity che hanno provocato instabilità politica in Grecia.
 
Ci sono due importanti aspetti da considerare. In primo luogo, è di nuovo emerso un problema finanziario in Europa. Secondo, questo salvataggio non ha avuto gli aspetti drammatici, conflittuali e politicamente destabilizzanti dei precedenti interventi simili.
 
L’Europa non ha risolto i problemi sottostanti alle crisi che ciclicamente riappaiono, ma ha calibrato l’intervento in modo da ridurre al minimo lo scontro e dunque le ricadute politiche dello stesso. La richiesta di aiuto incondizionato da parte spagnola, e la disponibilità europea a fornirlo, portano il processo europeo ad un nuovo livello. In un certo senso, segnano la capitolazione alla crisi.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel Mario Draghi, Jean-Claude Juncker, Herman Van Rompuy e Jose Manuel Barroso stanno studiando un piano per stabilizzare il sistema finanziario europeo. Secondo questo piano, riferisce Der Spiegel, tutti i membri dell’eurozona dovranno giungere al pareggio di bilancio. Il ricorso all’indebitamento verrebbe sottoposto all’approvazione di un ministro delle finanze europeo, una posizione che dovrebbe essere creata e sostenuta da un gruppo selezionato di ministri finanziari dell’eurozona. La modalità adottata potrebbe essere l’emissione di eurobond. Sembra si tratti di una notizia attendibile, dato che i leader europei hanno confermato che i quattro personaggi citati stanno lavorando ad un piano (senza specificare di che piano si tratti).
 
Due problemi segnano questo approccio. Il primo è l’assunto che il problema fondamentale dell’Europa sia l’indebitamento irresponsabile, e che, una volta messo sotto controllo, esso si risolverà. La seconda, più grave, questione è che la capacità di gestire il bilancio, e anche il diritto di indebitarsi, sono elementi centrali della definizione di sovranità nazionale. Se questo diritto è trasferito dai governi nazionali a funzionari non elettivi, nominati da un ente multinazionale, allora in Europa assisteremo ad una profonda metamorfosi del concetto di democrazia. La Ue ha già conosciuto trasferimenti di potere sovrano dai governi e dagli elettorati nazionali, ma nessuno è paragonabile a questo. I governi eletti non potranno stimolare le loro economie senza il consenso di questo (ancora ignoto) consiglio, né saranno in grado di fare piani di spesa a lungo termine sulla base delle emissioni di titoli. Questo consiglio avrà dunque un enorme potere sui singoli Stati membri.
 
La questione del bilancio è fondamentale per la democrazia. La redazione del bilancio pubblico è un processo fortemente politico, in quanto luogo in cui eletti ed elettori possono discutere sulla direzione da dare al Paese. Si è detto che non si può rimettere la piena discrezionalità in queste materie ad elettori e classe politica, e che la scelta dovrebbe essere affidata a funzionari non eletti. In un certo senso, è lo stesso argomento che è stato utilizzato per le Banche centrali. Il problema, naturalmente, è che le decisioni prese da questo consiglio saranno fortemente politiche.
 
In primo luogo, questo consiglio dovrà essere nominato. Primo, la selezione del ministro delle finanze dell’Europa e dei ministri finanziari presenti nel board sarà determinata con un processo che probabilmente non prenderà in considerazione i punti di vista dei cittadini europei. Secondo, il board prenderà decisioni che influenzeranno la vita dei cittadini nelle singole nazioni. Esso in pratica deriverà da un processo politico ed influenzerà le singole nazioni. Sarà apolitico solo nel senso che i suoi membri non verranno eletti dalle popolazioni su cui governeranno, e non saranno responsabili verso di loro. L’idea è che gli Stati non si indebiteranno senza il permesso di un consiglio di nomina europea, e che il ricorso al debito avverrà attraverso un meccanismo comunitario, che impedirà scelte irresponsabili. Sarà sempre possibile emettere titoli non autorizzati, ma senza una garanzia europea il mercato li colpirà imponendo, specie a Paesi come la Grecia, tassi di interesse proibitivi.
 
Il problema centrale è però la decisione su chi potrà e chi non potrà ricorrere al debito. Idealmente, questa decisione sarà completamente trasparente e prevedibile. In pratica, le differenze nelle posizioni dei vari Paesi saranno tali che il board dovrà prendere una qualche decisione autonoma. Dato che esso sarà composto dai ministri finanziari di alcuni Paesi membri (e che dovranno tornare nei rispettivi Paesi dopo) la questione di chi sarà escluso dal ricorso al debito verrà percepita come fortemente politica e, in alcuni casi, come estremamente ingiusta. Ed entrambe le percezioni saranno giuste.
 
Il board farà scelte in base alle sue priorità e valori. Potrebbe non permettere l’indebitamento per finanziare ospedali, potrebbe farlo per salvare le banche, o anche il contrario. In ogni caso, sottraendo potere all’elettorato, rischierebbe una crisi di legittimità. Il sistema è evoluto ad un punto in cui, per qualche europeo, la crisi di legittimità potrebbe essere preferibile all’infinito alternarsi di crisi cicliche. Ma nel momento in cui a un governo nazionale verrà impedito di finanziare un progetto, mentre a un’altra verrà consentito, scoppierà una nuova crisi. Chi stabilirà alla fine quale deficit verrà permesso, e quale no? Non sempre saranno i rappresentanti della nazione penalizzata. E questo creerà una crisi. Durante la Guerra civile americana, il futuro dell’Unione fu messo in pericolo dalla Secessione degli Stati del Sud. Le decisioni vennero poi prese sul campo di battaglia, dove si sfidarono uomini pronti a morire per la causa. Chi morirà per la causa dell’Unione europea? E che cosa terrà insieme l’Unione, quando le decisioni saranno impopolari? L’idea di integrazione estensiva può funzionare, ma non senza la passione che spinge un greco o un tedesco a difendere gli interessi del suo Paese. Senza questa passione, manca all’Unione il collante che tiene insieme una nazione. Quanto più si procederà all’integrazione, tanto più ciò diverrà evidente.
 
© Project Syndicate 2012. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia

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