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Entro novembre nuove armi a Kyiv. Test per il governo Meloni

L’Italia non si tira indietro, come spiegato agli alleati. Secondo “La Stampa” l’autorizzazione dovrebbe arrivare entro la seconda metà di novembre. Mentre le truppe russe sono in difficoltà, Conte dice no. Ma anche nella maggioranza si scorgono divergenze e la diplomazia ucraina critica la Lega

Il nuovo governo di Giorgia Meloni è pronto a mantenere le promesse fatte agli alleati e all’Ucraina dando il via libera al sesto pacchetto di aiuti militari. Lo conferma La Stampa, che dopo aver raccontato ieri le pressioni degli alleati affinché l’autorizzazione arrivi entro la seconda metà di novembre, oggi scrive che “da quanto trapela dalla Difesa” l’esecutivo “non dovrebbe tirarsi indietro”.

Nel colloquio telefonico di martedì sera con il presidente statunitense Joe Biden, il presidente del Consiglio aveva assicurato che “l’Italia continuerà a fare la sua parte”, scrive il quotidiano. Come sottolineato su Formiche.net, l’impegno “a continuare a fornire assistenza all’Ucraina” è il primo punto citato dalla Casa Bianca nella nota dopo il confronto tra i due leader. “Dell’importanza di continuare a sostenere l’Ucraina” hanno discusso anche oggi Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, e James Cleverly, ministro degli Esteri britannico, in un colloquio telefonico.

La linea indicata da Meloni è in continuità con quella seguita dal suo predecessore a Palazzo Chigi, Mario Draghi. Prima delle elezioni Adolfo Urso, esponente di spicco di Fratelli d’Italia e ministro delle Imprese e del Made in Italy, si era recato a Kyev presentando ad Andriy Yermak, capo dell’ufficio di presidenza ucraino, l’importanza di proseguire sulla linea dell’invio di equipaggiamento militare da parte dell’Italia verso l’Ucraina. Il tema di un nuovo pacchetto di aiuto alla difesa era avvenuto in forma privata a margine dell’incontro, con l’allora presidente del Copasir che aveva ribadito “il pieno sostegno dell’Italia alla resistenza ucraina” anche a nome di Meloni. Il 7 ottobre scorso, dopo il passaggio dell’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini al Copasir, in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il quinto decreto firmato dal presidente Draghi per l’invio “mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari” alle autorità ucraine.

Un nuovo invio di armi all’Ucraina è stato già criticato da Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle: “Non siamo favorevoli”, “l’Italia ha già dato, lo abbiamo fatto per 7 mesi”, ha detto intervenendo al Salone della Giustizia. “Dobbiamo lavorare per la pace”, ha continuato. Non nuovo a equilibrismi e giravolte sull’assistenza militare all’Ucraina invasa dalla Russia di Vladimir Putin, Conte ha detto no a “scellerate corse al riarmo”. È un momento di difficoltà delle truppe russe: secondo Oleksii Arestovich, consigliere personale del presidente ucraino Vlodymyr Zelensky, Putin “ha bisogno di negoziati, e per quelli sta strillando in ogni direzione”. Con questa situazione internazionale, il leader del Movimento 5 Stelle ha spiegato che “il nostro obiettivo non può essere” quello di Zelensky, cioè la vittoria. “Il nostro obiettivo deve essere un negoziato di pace, con una vittoria politica per l’Ucraina”, ha spiegato. Per esempio, secondo il civil servant francese Nicolas Tenzer, il leader (come Conte) “non parla mai della natura criminale del regime di Putin da 23 anni, perché ciò significherebbe riconoscere la natura segnata di qualsiasi tentativo di dialogo con questo regime e l’impossibilità di un dialogo”.

Il nuovo invio di armi sarà anche un test per la tenuta della maggioranza. L’atlantismo è uno dei due dossier più urgenti per Meloni. Ma rischia di essere “zavorrato”, per usare le parole di Repubblica, dal rapporto tra la Russia di Putin e i suoi due alleati, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Ieri si è registrato il primo momento di tensione tra la Russia e il nuovo esecutivo italiano, con le parole del ministero degli Esteri di Mosca sull’esclusione da una riunione di esperti sul disarmo. La Farnesina le ha respinte prontamente e definite “pretestuose”, fiutando il tentativo russo di creare un incidente utilizzando “pace” e “disarmo” come strumenti per spaccare il fronte occidentale.

Sempre ieri è arrivato anche un primo segnale di divergenze nella maggioranza. Nella replica al dibattito del Senato, Meloni ha detto di aver “sempre creduto nella legittima difesa se un ladro entra in casa, figuriamoci se ti entrano nella nazione”. E ancora: “L’unica possibilità di favorire un negoziato nei conflitti è che ci sia un equilibrio tra le forze in campo. Se uno sta vincendo, non ci sono i negoziati, a meno che non si dica che la pace si ottiene con la resa dell’Ucraina, e questo non me lo potete chiedere. La pace si ottiene sostenendo l’Ucraina. È l’unica possibilità che abbiamo per portare le parti a negoziare”. Il senatore Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, ha dichiarato invece nel suo intervento a Palazzo Madama che “si fa fatica a sentire che decideranno gli ucraini. Certo, va rispettata la loro volontà ma meglio dire che decide la comunità internazionale nell’interesse dell’Ucraina”. Poco dopo, all’uscita dal Senato dopo la votazione della fiducia al governo, ha precisato: “Questi tentativi di dividere il centrodestra sono vani. Meloni definitiva su nuovo invio armi? Noi dobbiamo rispettare impegni che ci sono a livello europeo e con l’alleanza atlantica. Nel rispetto degli impegni, noi ci auguriamo che si riesca ad andare al più presto verso dei negoziati di pace. Credo che questo sia il desiderio di tutti”.

Dura la reazione di Oleg Nikolenko, portavoce del ministro degli Esteri ucraino: quella di Romeo è un’opinione personale, la posizione italiana è quella di Meloni, tutti i Paesi hanno qualcuno che cerca di piacere a Putin.

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