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Indagini sul Nord Stream. Al lavoro gli 007 di Germania, Svezia e Danimarca

La condivisione delle informazioni è un elemento cruciale perché le indagini possano essere efficaci. I governi, gelosi dei propri segreti di intelligence, opteranno probabilmente per contatti informali tra le proprie agenzie. Sullo sfondo, una guerra ibrida in piena regola davanti alla quale non possiamo farci trovare divisi

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, avvenuto lo scorso 26 settembre, si è verificato tra l’isola danese di Bornholm a Ovest, la costa svedese a Nord, e l’exclave russa di Kaliningrad a Est. La Russia è il principale indiziato secondo diversi osservatori internazionali, ma il compito di stabilire ufficialmente un colpevole è degli apparati di sicurezza di Svezia e Danimarca, che controllano le zone economiche dove si è verificato l’attacco, e la Germania che è il punto di arrivo delle pipeline. Il luogo degli attacchi si trova in un’area particolarmente sensibile e controllata del Mar Baltico: imbarcazioni russe, svedesi e Nato l’attraversano regolarmente.

In generale gli Stati non condividono con altri Stati informazioni che possano mostrare il funzionamento, le risorse e le dinamiche delle proprie agenzie di intelligence. Ma in particolare tra Germania e Svezia da un lato, e Danimarca dall’altro non corre buon sangue, soprattutto visto Copenaghen avrebbe giocato un ruolo chiave nel permettere agli Stati Uniti di spiare politici tedeschi e svedesi di primo piano tra il 2012 e il 2014.

Gli indizi maggiormente probanti derivano verosimilmente da quel tipo di intelligence sensibile, di cui gli stati europei sono particolarmente gelosi, e da qui discende la necessità dei tre Paesi di collaborare. Un’indagine di questo genere richiede, oltre al coordinamento con partner come Stati Uniti e Regno Unito, l’utilizzo di sottomarini e strumenti di rilevazione subacquea: tecnologie e applicazioni che qualunque governo preferirebbe mantenere segrete.

A questo punto si tratta di un esercizio di equilibrismo. Le informazioni raccolte con i mezzi di cui sopra andranno condivise, tutelando però la sicurezza nazionale a proposito di quegli stessi mezzi. In teoria, ci sarebbe il cosiddetto Joint Investigation Team, sponsorizzato dall’agenzia europea che si occupa di crimini transfrontalieri Eurojust. Ma il procuratore svedese che sta seguendo il caso ha già fatto sapere che il suo Paese non è interessato a partecipare a nessun progetto di cooperazione investigativa.

A dire il vero una soluzione si troverà probabilmente scegliendo la strada dei contatti informali tra le agenzie di sicurezza dei tre Paesi. Il fatto che le autorità svedesi abbiano effettuato dei sequestri durante i lavori sul sito dell’esplosione fa pensare a un progresso nelle indagini.

In tutto ciò, i Paesi dell’area scandinava sono sempre più preoccupati dall’evolversi della situazione, e in particolare le frizioni stanno aumentando tra Svezia e Russia. Stoccolma accusa Mosca di voler sfruttare l’incidente del Nord Stream come pretesto per aumentare la presenza navale vicino alle coste svedesi. Inoltre la Svezia ha già comunicato che la Russia non potrà in alcun modo accedere alle indagini su Nord Stream. In Norvegia, la scorsa settimana, sei persone di nazionalità russa sono state arrestate, sospettate di aver fatto volare dei droni sopra alcune installazioni energetiche e su un aeroporto.

Come più volte riportato da Formiche.net, la guerra ibrida contro i cavi sottomarini e le infrastrutture critiche si sta scatenando nel Nord Europa e nel Mar Baltico. Fino a oggi è andata piuttosto bene agli europei, ma se vogliamo essere pronti a fronteggiare le sfide future dovremo imparare ad allineare le agende nazionali su interessi condivisi. La direzione da seguire dovrebbe essere quella di una maggiore integrazione dei sistemi di sicurezza, nell’ottica di fronteggiare avversari capaci e determinati.



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