Siamo solo agli inizi e questa prima trasferta della presidente del Consiglio in Europa avrà bisogno di molte altre occasioni per tirare i primi veri giudizi. Ma una cosa è certa, Meloni lo sa bene, sarà una navigazione difficile e tormentata. E lei rischia di essere sola. Il commento di Pier Paolo Baretta, già sottosegretario al Mef nei governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte
“La voce dell’Italia in Europa sarà forte”. Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al suo esordio a Bruxelles. “Italia centrale in Europa, dobbiamo restare uniti” ha replicato, a sua volta, la presidente del Parlamento europeo, Metsola, ricevendo la nuova premier italiana. In queste due frasi il senso dell’approccio che accompagnerà, almeno in questa prima fase, il dialogo italo-europeo. Da un lato una affermazione identitaria e di ruolo alla quale Meloni ci ha già abituati, che rivela non tanto sicurezza, ma, nel caso specifico, domanda di riconoscimento, testimoniata dalla affermazione “non sono una marziana” pronunciata a conclusione degli incontri.
Meloni sa che, al di là delle formalità e delle cortesie di protocollo, verso la sua coalizione esiste un pregiudizio diffuso tra i paesi occidentali. Innanzi tutto perché la matrice neo fascista pesa nella storia e nel curriculum di Fratelli d’Italia e dei suoi leader. Bene ha fatto il Presidente Mattarella a replicare, qualche giorni fa, alle inopportune affermazioni di una ministra francese, ma il problema resta. Forse più nella percezione altrui che nella nostra, che probabilmente consideriamo la nostra democrazia in grado di metabolizzare il passato. Ma, in Europa, il peso della tragedia nazi-fascista è vivo e fa ancora paura.
Se non bastasse, sulle spalle della nostra giovane premier pesa anche il ricordo del periodo berlusconiano. Il che fa si che, più che un pregiudizio, si tratta, in questo caso, di un post giudizio, motivato e reiterato. A fronte di questa pesante eredità Meloni farà di tutto per giocare su un doppio binario. Da un lato il superamento del pregiudizio fornendo il minimo di garanzie necessarie, dall’altro senza rinunciare alla immagine tosta che si è data e alla quale deve tener fede per rispetto al suo elettorato di riferimento. Da qui l’affermazione sul tono (la voce forte) quasi a prescindere dai contenuti.
Dall’altra parte l’Europa, tramite la signora Metsola, nel riconoscere all’Italia il ruolo che le spetta, formula una raccomandazione che è anche un monito. “Dobbiamo stare uniti” è un augurio, una richiesta, ma anche un avvertimento: attenta (Italia) a non isolarti… E, infatti, sia Matsola e Von der Leyen hanno, dopo i convenevoli, riportato subito l’attenzione al merito dei problemi: energia, inflazione, guerra, migranti. Al di là del bon ton, come accoglienza non è delle più semplici…
Vediamo, dunque, quali snodi presenta l’agenda di Giorgia Meloni in Europa. L’energia è sicuramente la questione più urgente. Nonostante questo tiepido autunno e l’aumento modesto della bolletta del gas il problema di una crisi degli approvvigionamenti incombe. L’altro ieri, a Dublino, Giorgetti si è portato avanti chiedendo all’Europa più decisione. Ma la strada più efficace è quella di un piano europeo simil pnrr. Berlino è contraria e fa polemica sulla accoglienza dei migranti per mettere in difficolta il governo italiano che, invece, ha tutto il vantaggio, in coerenza con Conte 2 e Draghi, di insistere sulla linea di un Recovery bis.
E, in qualche modo, è la posizione espressa ieri. Se la voce forte a cui fa riferimento la Meloni vuol dire un atteggiamento deciso dell’Italia su questo punto, allora sarà necessaria una forte azione diplomatica basata sulla ricerca di relazioni ed alleanze, innanzi tutto con Francia e Spagna, per convincere la Germania a cambiare idea. Ma ciò vuol dire per il nostro governo e la sua Presidente accentuare un esplicito atteggiamento europeista che contrasta con la visione “confederata” che Meloni sostiene. Confederazione è meglio di sovranismo, ma non è europeismo e nemmeno federalismo, nel senso di Stati Uniti d’Europa. Se Meloni pensa che può ottenere di più attraverso una azione, sì energica, ma isolata, sbaglia.
Il secondo punto è la guerra. Meloni ha rassicurato che sta dalla parte dell’Ucraina. Il governo Draghi mantenne un equilibrio garantendo la convinta lealtà alla posizione europea, ma favorendo azioni diplomatiche per attivare il negoziato tra le parti, a partire dagli interessi del popolo ucraino. E’ la sola posizione che l’Italia può ragionevolmente mantenere. Ma, da un lato, Draghi non era un politico tout court e quindi gli era consentito una approccio prudenziale che invece non sarà permesso ad una leader che è pienamente politica; dall’altro, con tutto rispetto per la nuova premier e per il suo ampio consenso elettorale, la autorevolezza personale di Draghi gli permetteva di mantenersi in equilibrio.
Ma il bisogno di pace cresce e il cessate il fuoco è sempre più urgente e su questo aspetto le pressioni interne sono fortissime. Innanzi tutto perché nel centro destra molti tentennano e il “fascino”, più prosaico che intellettuale, della Russia si fa sentire, a cominciare dalla Lega e dallo stesso Berlusconi. Ma anche perché qui si inseriscono le posizioni strumentali, ancorché agli antipodi, di estrema destra e di estrema sinistra e quelle sincere di pacifisti autentici. In Italia queste tensioni sono forti ed esplicite. Vedremo se e come Meloni saprà gestire questa delicatissima situazione. Un fallimento, o anche un arretramento o indebolimento del nostro governo su questo fronte porterebbe il nostro paese in una sorta di limbo che lo renderebbe marginale, con un danno enorme dal punto di vista reputazionale e, di conseguenza, con una minore tutela dei nostri interessi, il che è esattamente il contrario di quello che Meloni afferma di voler fare.
La galoppante inflazione determinerà politiche di bilancio e finanziarie poco innovative. La ormai imminente (siamo anzi in ritardo) legge di bilancio sarà il primo vero banco di prova interno. Ma, da anni, troika o no, le politiche economiche sono fortemente condizionate dalle dinamiche internazionali, a partire da quelle europee. La richiesta di una maggiore flessibilità nella gestione del debito è ragionevole, ma sempre di debito si tratta e quindi scelte di spesa improduttiva, come la riforma delle pensioni; o di minor gettito, con l’aggravante di un aumento delle disuguaglianze sociali, come la flat tax, volute da Salvini, mal si conciliano con un equilibrio di bilancio. Il nostro paese ha tasso di crescita modesto, ma pur sempre di crescita, in un contesto molto sfavorevole. Mantenere questo trend di avanzo primario e di controllo della spesa è il presupposto per avanzare richieste in Europa.
Infine, i migranti. Il pulpito tedesco, abbiamo detto, predica bene, ma razzola male; ma la posizione della Commissione pesa. La difesa dei confini sostenuta da Meloni negli incontri di ieri non risolve il problema dei salvataggi ne dei criteri di accoglienza. È un terreno scivoloso sul quale propaganda e governo sono inconciliabili. E l’Europa lo sa!
Nel giudizio europeo, oltre ai migranti, pesa anche la gestione della pandemia. L’Italia fu esplicitamente elogiata dall’Europa per la gestione solidale ed accorta, rigorosa; ora l’apertura ai no vax rischia di bruciare questa credibilità. E, come ben sappiamo, tutto si tiene. Siamo solo agli inizi e questo primo viaggio della presidente del consiglio in Europa avrà bisogno di molte altre occasioni per tirare i primi veri giudizi, ma una cosa è certa – e Meloni lo sa bene e non lo ha nascosto – sarà una navigazione difficile e tormentata. E lei rischia di essere sola. Per lei, dunque, in Europa, più che il complicato e a volte contraddittorio sostegno della sua coalizione, conteranno le alleanze che riuscirà a stabilire coi patner degli altri paesi moderati ed europeisti. Alleanze che realizzerà solo attraverso una politica di progressivi compromessi. Europeismo, moderazione e mediazioni, dunque. Una Meloni che ancora non conosciamo.