L’Italia ha scontato per anni la mancanza di risorse naturali che ci dessero un vantaggio competitivo rispetto ad altri Paesi. Ma nel settore dei cavi sottomarini la nostra posizione nel Mediterraneo e in Europa ci trasforma in uno snodo strategico. Daniele Mancuso di Sparkle ci spiega tutto quello che si muove dietro questo settore, dagli accordi internazionali ai rischi di sabotaggio e intercettazione
Technopolicy, il podcast di Formiche.net
All’incrocio tra tech e politica, tra innovazione e relazioni internazionali, tra digitale e regolazione, abbiamo deciso di creare un nuovo “contenitore”, Technopolicy.
Ogni settimana incontrerò esperti, accademici, manager, giuristi, per discutere di un tema specifico e attuale. Ciascuno di questi incontri diventerà un video su Business+, la nuova piattaforma tv on demand; un podcast su Spreaker, Spotify, Apple e gli altri canali audio; un articolo su Formiche.net. Perché ognuno ha il suo mezzo preferito per informarsi e a noi interessa la sostanza e non la forma. Gli episodi sono stati scritti e prodotti insieme a Eleonora Russo.
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Technopolicy – Il mondo dei cavi sottomarini
Ti è mai capitato di inviare un’e-mail per prenotare una vacanza in un luogo esotico e lontano? Se hai risposto “sì” a questa domanda sappi che la tua email per arrivare al mittente ha viaggiato su un cavo sottomarino. Questo perché i cavi trasportano il 97% del traffico Internet globale anche, e soprattutto, nell’era del cloud e dei satelliti. I cavi infatti, al di là delle questioni tecnico-operative e strettamente normative, sono importanti dal punto di vista geopolitico perché uniscono fisicamente due o più Paesi, rafforzandone i legami economici, le transazioni bilaterali, lo scambio di dati. Con Daniele Mancuso, Chief Product Management di Telecom Italia Sparkle, ci siamo immersi nel mondo dei cavi sottomarini.
Ci racconti il tuo percorso professionale?
Sono siciliano, ho 50 anni, da 30 nel gruppo Telecom con diversi incarichi. La mia carriera professionale inizia subito dopo il diploma in Informatica industriale e, in particolare, con la programmazione software presso un’azienda siciliana che aveva una filiale negli Usa e si occupava di robotica e informatica applicata all’agricoltura. Durante quest’esperienza ho seguito diversi progetti, tra cui lo sviluppo di un prototipo di robot per la raccolta automatica delle arance e di un meccanismo di telecontrollo per alcune macchine diserbanti e antigelo. Dopo un paio d’anni, vengo folgorato dalle telecomunicazioni e cambio diametralmente area iniziando a lavorare presso la rete di trasporto di Telecom Italia. In quegli anni ho iniziato a sviluppare un particolare interesse per tutto ciò che riguarda le telecomunicazioni internazionali, proprio nel periodo in cui Telecom Italia aveva deciso di investire insieme ad un venture capital israeliano in un’azienda privata che avrebbe dovuto sviluppare cavi sottomarini nel bacino del Mediterraneo.
Guarda caso Catania, la mia città natale, era la sede del Network Operation Center. Ho quindi deciso di fare il salto in questa azienda, che si chiamava Med Nautilus, e pensate che sono il dipendente 000001 della filiale italiana. Da lì comincia il percorso che mi ha portato dove sono ora. In Med Nautilus ho ricoperto vari ruoli: prima di vice responsabile del Network Operation Centre di Catania e poi nell’ingegneria di rete, il reparto che si occupa di pianificare e definire gli upgrade della rete. Med Nautilus, essendo parte della grande galassia di Telecom Italia, venne poi incorporata negli anni successivi in quella che è oggi Sparkle.
Prosegue quindi la mia carriera, mi trasferisco a Roma, divento il responsabile di Ingegneria di Sparke e, dopo qualche anno, arrivo a rispondere direttamente all’Amministratore Delegato per le attività di ingegneria e pianificazione di rete e Information Technology, per poi passare, dopo qualche anno, dalla parte strettamente tecnologica a quella di mercato. Oggi mi occupo dello sviluppo di tutte le product line di Sparkle che spaziano dai cavi sottomarini, alle reti IP internazionali, alle reti enterprise, alla parte di sicurezza in cloud e anche al business voce e mobile, che rappresenta ancora un grossa fetta delle attività di Sparkle e che sta ormai evolvendo verso un traffico Machine to Machine (M2M). Abbiamo recentemente lanciato un prodotto di Global IoT Connectivity per tenerci sempre al passo con i tempi.
Come inizia la stesa di un cavo sottomarino? Quali sono le fasi iniziali, gli ostacoli che si devono superare e quali i principali soggetti con cui bisogna interfacciarsi quando si decide di connettere un punto A e uno B?
Si inizia sempre dallo studio del mercato. Costruire un cavo sottomarino significa identificare un corridoio che si presuppone possa indirizzare, nei prossimi 10-20 anni, una domanda di mercato. Il corridoio generalmente è influenzato da elementi di crescita geopolitica, ad esempio oggi sentiamo sempre più spesso parlare di Africa perché è un Paese pronto per fare il salto verso la digitalizzazione. Parliamo di 1 miliardo e 300 milioni di persone, di cosiddetti eyeballs, fruitori di contenuti. L’Africa, tra l’altro, è un continente “vergine” perché la connettività è davvero ai minimi, ma soprattutto perché per problemi di natura territoriale ha già abbracciato quella che per noi è stata la rivoluzione del mobile. L’Africa ha quindi fatto il salto evitando la broadband e la connettività cablata. Ciò implica che nel momento in cui dovessero atterrare grossi cavi in Africa, cosa che è prevista di qui a poco, si verificherà un’esplosione di contenuti direttamente sui telefoni cellulari.
Nel processo di posa di un cavo, come dicevo, si inizia dallo studio del mercato e dall’individuazione delle 2 o 3 rotte che potrebbero rivelarsi strategiche nei prossimi anni. Bisogna poi fare i conti con il grado di solidità del soggetto investitore con una valutazione che comporta dei processi strategici e delle scelte aziendali. Dopodiché, identificato il mercato potenziale, bisogna capire se si è in grado di sostenere l’investimento da soli o se è consigliabile attivare sinergie con altri soggetti. Generalmente quando si tratta di rotte intercontinentali nessuno riesce a gestire da solo il processo, nemmeno gli hyperscaler che sono diventati dominanti in questo mercato.
Ci puoi fare un esempio?
Cito un’esperienza pratica che con Sparkle stiamo portando avanti in questi mesi con il nostro sistema sottomarino Blue and Raman che collegherà Mumbai a Milano attraversando acque internazionali e toccando un serie di Paesi attraverso una rotta diversificata rispetto agli esempi passati. Per Blue and Raman abbiamo infatti studiato una soluzione che ci avrebbe consentito di percorrere una “strada” alternativa rispetto a quella tradizionale che prevede il passaggio dall’Egitto. Abbiamo lavorato con il governo israeliano e siamo stati probabilmente la prima azienda della quale il governo israeliano si è fidato nella fornitura della connettività. Il cavo Med Nautilus è stato il primo ad essere atterrato con una configurazione ad anello tra Tel Aviv e Haifa arrivando ad abilitare più del 90% della connettività di Israele. È evidente quindi che anche i rapporti di fiducia e geopolitici contano parecchio. Avremmo potuto costruire parte di questa struttura da soli nel Mediterraneo attraversando Israele fino alla parte giordana. In realtà però, pur essendo un attore attore consolidato in tutta l’area meridionale dal mar Rosso in poi, non abbiamo delle infrastrutture proprietarie e quindi in quel caso la costruzione di un’alleanza strategica ci ha aiutato parecchio.
In questo caso, avremmo potuto intraprendere la strada tradizionale che implica creare un consorzio con le telco dei vari Paesi che il cavo avrebbe attraversato. Lo abbiamo fatto in passato con cavi dove sono presenti circa 19 operatori diversi, seguendo un processo che, da un lato, garantisce una certa tranquillità nel disbrigo delle pratiche relative all’approdo, alla competenza delle acque territoriali, alla regolamentazione interna del singolo Paese, ma che dall’altro lato, in termini di tempi, non incontra proprio il favore degli hyperscaler e della digital transformation come la intendiamo oggi. Si tratta di una modalità per cui, per mettere d’accordo tutti i soggetti, diventa necessario costituire comitati e sottocomitati che hanno delle competenze specifiche e, per ognuna di esse, ci sono diverse riunioni, in presenza o in video, che determinano una serie di decisioni che devono essere trasmesse all’ordine centrale di competenza e che vanno valutate. Tempi, quindi, non propriamente efficienti ma che consentono una certa tranquillità.
Il modello che si sta battendo oggi è quello del mini-consorzio che prevede 2 o 3 carrier, come Sparkle e un hyperscaler che ha degli interessi in una determinata regione. E questo è quello che abbiamo scelto di fare noi. Avevamo Google che nutriva un forte interesse nell’abilitare la connettività tra l’Europa e l’India e abbiamo individuato un partner affidabile in Omantel che ha costituito un’unità specializzata nei cavi sottomarini. Le nostre competenze e le nostre forze regionali, quindi, si sono unite per costruire questo sistema.
Blue and Raman si chiama così perché composto da due segmenti principali. Come funzionerà?
Blue and Raman ha delle caratteristiche peculiari che non troviamo in nessuno degli altri sistemi che collegano magari Singapore all’Europa. Prima di tutto perché atterra direttamente in Italia e non in Francia. Sappiamo infatti che quasi tutti i vecchi cavi atterrano a Marsiglia o a Tolosa. Quando si fa atterrare un cavo sottomarino quello che rileva è costruire un ecosistema di player che si interconnettono, cosa che generalmente accade. Quando però quell’ecosistema si ingrandisce troppo e passa da sistema dominante a single point of failure (se cade lui, cade tutto il sistema, ndr) allora bisogna individuare un’alternativa. Noi abbiamo studiato diversi punti di diversificazione. In primis, abbiamo trovato l’alternativa ideale a Genova poiché ci permetteva di mantenere nel Tirreno una rotta più o meno tradizionale. Basti pensare che tutti i cavi che atterrano a Marsiglia passano a Ovest della Sardegna, noi passiamo a Est. Siamo in grado quindi di gestire dei landing tradizionali in Sardegna o in Corsica e a Genova abbiamo localizzato l’atterraggio ideale.
Il secondo punto di diversificazione è che, a differenza degli altri cavi Tlc che passano per il canale di Sicilia, Blue and Raman è l’unico di questi che passerà per lo stretto di Messina. Diversificazione, quindi, ma anche latenza ridotta perché abbiamo risparmiato centinaia di km e bypassato la necessità di interramento che avremmo incontrato per forza di cose nel canale di Sicilia. Abbiamo però una complessità che è quella di gestire la posa nello stretto, tra cui interagire con le autorità portuali. Ma una volta che il cavo verrà posato rappresenterà un’alternativa sostanziale. Il grande vantaggio è di attraversare Israele e non l’Egitto. Soprattutto perché consente di evitare situazioni storiche che, attraverso questa nuova rotta, non renderanno il cavo soggetto a tasse di attraversamento. Il nostro cavo, infatti, approderà in ogni punto in un Data Center aperto e quindi non ci saranno degli operatori incumbent che vincoleranno l’acquisto del transito tra la cable landing station e il point of presence. Al contrario, nel punto di approdo ci sarà un sistema di operatori che hanno scelto di essere presenti in una determinata aerea e che abiliteranno di fatto un’offerta di servizi.
E poi c’è la grande scommessa di Milano. Il cavo atterra a Genova ma la maggior parte delle fibre proseguirà verso Milano, dove ci sarà il vero punto di approdo italiano con un grande Data Center neutrale in cui sono già presenti una serie di player importanti. Stiamo costruendo una struttura in fibra che tocca tutte le altre location di Sparkle a Milano, nonché altri Data Center neutrali che offriranno la possibilità ai nostri clienti di atterrare o con una fibra o con connettività mobile per poi andare verso la big Internet. La scommessa principale è far diventare Milano uno dei centri nevralgici della connettività europea.
L’Italia ha scontato per anni la mancanza di risorse naturali e delle caratteristiche che ci dessero un vantaggio competitivo rispetto ad altri Paesi. Ma nel settore dei cavi sottomarini la nostra posizione nel Mediterraneo e in Europa ci trasforma in un partner strategico per chi decide di investire. Ci sono però, anche in un mare meno “agitato” di altri, due rischi: il sabotaggio e lo spionaggio. Come si contrastano queste minacce?
I rischi sono reali ed esistono delle attività che possono mitigare. Contro il rischio di taglio accidentale le politiche di diversificazione sono quelle che bisognerebbe sempre perseguire. Ad esempio, diversi anni fa, ci fu il caso di una petroliera che dimenticò di issare l’ancora mentre percorreva diverse centinaia di km e, passando dal Canale di Sicilia, tagliò tutti i cavi sottomarini che transitavano dall’Egitto. Questo episodio si verificò durante il periodo natalizio e i colleghi del Network Operation Center si trovarono a lavorare per garantire la “restoration”, cioè un servizio che si offre regolarmente a chi ha della connettività su cavo sottomarino. La diversificazione può aumentare la resilienza delle infrastrutture e della connettività che approda in un Paese, ma contro gli atti di sabotaggio non è quello che serve. Ci sono alcune attività che si gestiscono tramite alcuni dispositivi elettronici che possono sicuramente aiutare. Ad esempio, Sparkle ha nel Network Operation Center in Sicilia la possibilità di monitorare varie navi attraverso il loro sistema di rilevazione e identificazione che, in caso di prossimità ad un’area dove c’è una concentrazione di cavi, consente di notificare direttamente il passaggio ravvicinato con una una dialettica e una modalità preventiva.
Ci sono poi degli accordi con alcune forze militari che eseguono delle attività di patrolling e che monitorano la situazione sia a bordo costa sia per certi limiti anche nelle acque internazionali. Monitorare per intero un cavo transoceanico è assolutamente difficile. Oggi è nota la presenza in alcuni luoghi specifici, come nell’Artico ma anche nel Mediterraneo stesso, di navi militari equipaggiate con particolari sistemi oceanografici di rivelazione che sono in grado di dettagliare con precisione assoluta la posizione dei cavi sottomarini adagiati sul fondo e interrati. Questa è una fonte di preoccupazione, non possiamo negarlo. Sappiamo anche che ci sono dei sommergibili nel Mediterraneo che teoricamente potrebbero avere le capabilities, o almeno queste sono le speculazioni, di intercettare il traffico in maniera anche non intrusiva. Per casi del genere, rispondiamo con opere di sensibilizzazione del nostro personale tecnico che è sempre allerta non solo per guasti o per interruzioni ma anche per minime variazioni del rapporto segnale-rumore o dei livelli di amplificazione dei vari ripetitori sommersi. Perché oscillazioni del genere, anche se apparentemente impercettibili, potrebbero rappresentare un campanello d’allarme per la sicurezza e l’integrità del cavo sottomarino.
Qual è il grado di collaborazione con i competitor e con le aziende che lavorano nella catena di approvvigionamento e nella gestione dei cavi sottomarini?
Per quel che riguarda i competitor la definirei più co-petition che competizione. È inevitabile che quando si costruisce un cavo al quale partecipano 19 Paesi, e quindi 19 operatori diversi, bisogna necessariamente imparare a collaborare, soprattutto nella fase di identificazione del mercato, di costruzione della strategia, di definizione del modello di business. C’è poi anche un tema di scelta tecnologica in fase di ingaggio del partner e di scrittura dei requisiti di gara. Tutto ciò sottende un altissimo livello di cooperazione perché altrimenti non si va da nessuna parte.
La competizione inizia dal momento 0 in cui il cavo viene posato e collaudato. Allora inizia la partita in termini di capabilities tecnologiche, di percorsi, visione e di bundling anche con altri servizi. Il cavo sottomarino non è semplicemente fornire connettività ad un soggetto ma riguarda anche la sua modalità di erogazione. Siamo operatori e come tali operiamo una rete complessa e forniamo servizi human intensive che si aggiungono alla semplice connettività.
Per quanto riguarda la supply chain mi viene da dire che il livello di collaborazione deve essere ancora più intenso perché costruire un cavo sottomarino è come realizzare un orologio svizzero. Devono infatti intersecarsi un milione di elementi che, se non allineati, possono contribuire al fallimento del piano di progetto e sfociare in un percorso critico. Dalla disponibilità del materiale grezzo per l’armatura del cavo, con le varie specificità rispetto alla zona dove transita, a quella dei componenti elettronici e delle fabbriche che devono assemblare questa componentistica. E non è tutto. Deve esserci la disponibilità delle navi che dovranno prelevare il cavo dalle fabbriche per portarlo nei depositi, assemblarlo, per poi arrivare fino alla posa. Parallelamente, ci deve essere la disponibilità di tutti i permessi per poter operare all’interno delle acque territoriali, delle aree demaniali nelle spiagge dove il cavo dovrà approdare, delle infrastrutture di atterraggio visto che ogni cavo deve arrivare in una cosiddetta beach manhole (la cosiddetta cameretta di spiaggia) dove viene realizzato il giunto terra-mare, cioè la parte sottomarina del cavo che viene poi collegata alla componente terrestre che conduce alla cable landing station.
Non è semplice assemblare tutti questi elementi e c’è quindi una necessaria collaborazione tra gli attori coinvolti. Si tratta di una collaborazione che deve essere certosina e verificata con cadenza settimanale proprio perché ogni minimo ritardo può causare un effetto domino e l’innescarsi di tutta una serie di conseguenze economico-finanziarie.
Ci consigli qualcuno da leggere o seguire?
Ho acquistato di recente un libro molto interessante intitolato The Undersea Network di Nicole Starosielski, una Associate Professor della New York University. Si tratta di un’analisi del mondo dei cavi sottomarini che incrocia la dimensione storica, geopolitica, sociale e quella ambientale. Si tratta di aspetti talvolta meno considerati quando ci si occupa della tecnologia del prodotto.