Come e perché monitorare i soggetti, anche privati, che con la loro azione agiscono in un Paese perseguendo gli interessi di Stati terzi? È giunta l’ora anche per l’Italia (e per l’Ue) di regolamentare le attività di interferenza che non hanno ancora un perimetro giuridico preciso? Il punto di Severino, Harth, Soi e Doherty durante il convegno “Antidoti contro le interferenze straniere”
In Italia, come nel resto dell’Europa, è difficile pensare che la discussione politica e dell’informazione non sia influenzata o intaccata da attività straniere. Che si tratti di interferenze russe o di quelle messe a terra dal partito-Stato di Pechino, l’attività di influenza e interferenza è oggi una delle tante armi della guerra ibrida.
Tra disinformazione, fake news, spionaggio e propaganda in Rete l’interferenza straniera si muove in senso contrario al funzionamento e alle libertà delle democrazie. La guerra in Ucraina, e prima la pandemia, hanno sottolineato che l’Europa è ancora priva di strumenti di difesa su questo tema, lasciando spesso che i Paesi che più contano nell’assetto strategico e geopolitico del continente divengano obiettivo di questo tipo di attività illecite.
Il tema quanto mai importante è stato affrontato nel corso del live talk organizzato dalla rivista Formiche “Antidoti contro le interferenze straniere”, cui hanno partecipato Paola Severino, presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione e vice presidente della Luiss Guido Carli; Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders e coordinatrice per l’Alleanza inter-parlamentare sulla Cina; Adriano Soi, docente di Intelligence e sicurezza nazionale presso l’Università di Firenze e Kathleen Doherty, già ambasciatrice degli Stati Uniti a Cipro e vice capo missione a Roma, moderati da Flavia Giacobbe, direttore della rivista Formiche.
Obiettivo Europa
“L’Europa è il vero bersaglio della guerra russa nel continente. L’Ucraina è sempre stata solo un obiettivo intermedio”, ha esordito Adriano Soi. Il conflitto ha infatti reso ancor più evidente che non solo il continente europeo, ma più in generale il sistema di valori democratici che veicola l’Occidente, è sotto attacco. “Da alcuni anni, l’Europa è un campo di battaglia, in cui le autocrazie vedono le democrazie come il nemico da combattere”, ha aggiunto Laura Harth.
E d’altra parte non è una novità che nell’intenzione delle potenze autocratiche del mondo, Russia e Cina in testa, vi sia quella di soverchiare l’ordine democracy-driven, con mezzi di guerra fisica e ibrida. Il contesto di oggi, sebbene le diverse similitudini con quello che ha caratterizzato i rapporti globali nel corso della Guerra fredda, è però più complesso e sfumato. “I russi hanno preparato con cura questo attacco generalizzato alle istituzioni europee e democratiche, da almeno dieci anni, ottenendo spesso situazioni a loro non sfavorevoli dal punto di vista politico, e questo perché, in molti Paesi europei ci sono formazioni politiche sensibili alle istanze russe”, ha continuato Soi.
La regolamentazione
Questo scenario è però stato anche facilitato dal fatto che in Europa mancano delle regole che disegnino un perimetro preciso alle attività di interferenza straniera nei settori di interesse pubblico di un Paese. In Italia, per esempio, anche se esiste la tutela del golden power, non ci sono sufficienti forme di protezione per altri casi di tutela dell’interesse nazionale. In effetti, nel caso dei soggetti stranieri o di quelli che agiscano in nome e nell’interesse di Paesi terzi, per la promozione di interessi che divergono dal nostro, nel settore dell’informazione, non esistono in Italia e nemmeno in Europa delle regole precise.
“Il monitoraggio delle attività straniere nel nostro Paese è diventato un tema attuale negli ultimi mesi. Ma, se ci guardiamo intorno vediamo un deserto normativo”, ha infatti affermato Paola Severino. La guerra ibrida però impone oggi un complesso di regole, su questo tema. “Alla luce dei riflessi potenzialmente critici di una completa deregulation sul punto, ritengo che sia fondamentale costruire un framework normativo in materia; nel fare ciò, un valido modello da cui trarre prezioso spunto è rappresentato dalla legislazione statunitense e nello specifico dal Foreign agents registration act, Fara”, ha detto Severino.
Il caso degli Usa
“Il Fara degli Stati Uniti nasce con il fine di controllare politicamente gli agenti stranieri, nell’ottica di prevenire l’uso indebito che, con la sua attività di lobbying, il soggetto può fare delle proprie relazioni”, ha aggiunto la presidente.
“Si tratta di una legge che impone a individui statunitensi e non, impiegati di un governo o di un’organizzazione la registrazione presso il Department of Justice. Registrandosi, l’individuo dichiara lo scopo della propria attività e la compensazione finanziaria prevista per il suo servizio – ha affermato Kathleen Doherty nel suo video messaggio diretto al panel – Il Fara è pensato per rafforzare e migliorare trasparenza e accountability e per meglio comprendere l’influenza che l’attività straniera ha sulla politica e le procedure nazionali”, ha concluso l’ambasciatrice.
Con questa e altre regole, come l’Hatch Act, di cui Doherty ha voluto raccontare nel suo intervento, gli Stati Uniti proteggono il loro interesse nazionale dalle attività di interferenza illecita. “L’Hatch Act e il Foreign agency registration act rafforzano di fatto la democrazia statunitense e tentano di limitare e contenere la pressione politica a livello interno ed estero”, ha concluso.
L’assenza normativa in Italia
“Il deserto normativo italiano sul tema è privo di qualunque coloritura, non siamo neanche riusciti a mettere in piedi una normativa che regoli il lobbismo”, ha poi affermato Severino. In effetti, quella del lobbying è l’altra faccia della medaglia dell’interferenza straniera, e, in Italia non è regolata. In che modo regolamentare però?
Attraverso strumenti che impongano la registrazione di questi individui e delle attività sulle quali svolgono le loro interrelazioni e con chi si incontrano. “Prima di poter regolamentare, però, serve superare le debolezze europee sul punto. È necessario, poi, trovare la volontà comune di riconoscere le interferenze, e questa ancora manca, in Italia come in Ue”, ha poi chiuso Laura Harth.