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Come i Paesi Ue hanno reagito all’aumento dell’inflazione. Report Littler

Francia e Polonia hanno adeguato il salario minimo ai tassi d’inflazione, mentre in Belgio, Danimarca e Spagna gli assestamenti sono previsti dai contratti collettivi

Quando si parla di inflazione la mente corre agli scaffali dei supermercati. Al di là dei tecnicismi economici, l’aumento dei costi si avverte realmente sui beni di prima necessità. Per far fronte all’incremento dei prezzi, la Bce, come la Fed negli Stati Uniti, ha adottato la politica del rialzo dei tassi d’interesse, mentre i governi e le aziende dei diversi Paesi dell’Unione europea, Italia compresa, si sono concentrati sul salario minimo e sull’esenzione fiscale. L’indagine “European employer survey” condotta da Littler, uno studio giuslavorista internazionale con sede a Milano, rivela un atteggiamento di cautela da parte dei datori di lavoro dell’Ue, che stanno evitando di adottare misure drastiche in attesa di vedere come evolve la situazione.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia, a settembre, il tasso d’inflazione è balzato all’8,9%. In Europa è addirittura al 9,9% rispetto al 3,4% dello scorso anno. Per contenere le drammatiche conseguenze di questa situazione e sostenere le famiglie a superare il rincaro dei prezzi, i governi, al pari delle imprese, si sono attivati per compensare il caro vita con la crescita delle buste paga, adeguando i livelli di salario minimo e introducendo una serie di benefici da un punto di vista fiscale. Gli esecutivi di Francia e Polonia, secondo l’analisi di Littler, hanno adeguato i livelli di salario minimo ai tassi d’inflazione. Nei Paesi Bassi e in Irlanda la stessa misura scatterà a partire dall’1 gennaio del 2023. In Belgio, Danimarca e Spagna, invece, gli adeguamenti al salario minimo sono già previsti dai contratti collettivi di settore che includono meccanismi di indicizzazione. In Italia, così come in Austria, Francia, Germania e Polonia, sono state introdotte misure di esenzione fiscale per mitigare i danni dell’inflazione. Resta poi a discrezione delle aziende adottare misure complementari come buoni pasto, bonus per il carburante o incentivi per i costi dell’energia. L’esasperazione provocata da un’inflazione che cresce nel tempo, intanto, sta scatenando scioperi e proteste in tutta Europa.

“La zona euro sta ormai entrando in una fase di recessione: un contesto d’incertezza economica che sta trasformando anche le dinamiche che regolano il mercato del lavoro a livello europeo”, dicono a Formiche.net i co-managing partner di Littler Italia, Carlo Majer ed Edgardo Ratti. “Più di un quarto delle aziende sta esitando nell’assunzione di nuove risorse per le preoccupazioni a livello macroeconomico, mentre il 37% sta valutando o attuando riduzioni di personale. Solo il 15% dichiara di non essere preoccupato dal contesto macroeconomico che non ha influito sui piani aziendali in termini di sviluppo della forza lavoro, a testimonianza che l’atteggiamento delle aziende è attendista e si sta valutando un’evoluzione sui costi dell’energia e sull’andamento dei tassi d’inflazione”.



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