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Non è la Santa Sede a creare problemi con la Cina ma… L’analisi di Giovagnoli

Di Agostino Giovagnoli

Il comunicato sul riconoscimento del vescovo Peng Weizhao di Yujiang esprime indubbiamente una presa di posizione molto ferma. Ma chi ha creato l’incidente? Il commento del professor Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica di Milano

Il comunicato della Santa Sede sul riconoscimento del vescovo Peng Weizhao di Yujiang esprime indubbiamente una presa di posizione molto ferma. Ma non segna un’interruzione né tantomeno la fine del dialogo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese avviato con l’Accordo del settembre 2018 e rinnovato già due volte nel 2020 e quest’anno. Non c’è stata infatti da parte cinese una aperta violazione dell’Accordo sino-vaticano, che i riguarda i nuovi vescovi ancora da ordinare e non quelli clandestini già ordinati. Tuttavia, la Santa Sede ha voluto stigmatizzare un atteggiamento verso questi ultimi che considera inaccettabile.

Non è tutto chiaro di ciò che è avvenuto il 24 novembre, quando il vescovo Peng Weizhao è stato “installato ufficialmente” a Nanchang. La formula viene usata per indicare il riconoscimento di un vescovo clandestino e cioè ordinato per volontà del Papa e senza l’accordo con le autorità cinesi da parte di queste. Di per sé il riconoscimento civile di un vescovo clandestino è nello spirito del dialogo sino-vaticano che cerca di risolvere congiuntamente i molti problemi ereditati dal passato. Ma, come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli. Per Roma, infatti, Peng è vescovo di Yujiang; invece le autorità cinesi lo hanno riconosciuto come ausiliare di Jiangxi.

Primo problema: per Roma, la diocesi di Jaingxi non esiste. Jiangxi, infatti, è il nome di una delle grandi province in cui è suddivisa amministrativamente la Repubblica popolare cinese, ma non di una diocesi (nello Jiangxi, per la Santa Sede, ci sono cinque diocesi diverse). Fare riferimento a una diocesi canonicamente inesistente non è, ovviamente, un problema da poco, ma rientra in una questione più generale: quella dei confini delle diocesi cinesi fissati nel 1946 e da allora mai più rivisti. Le due parti concordano in linea di massima che occorre affrontarlo. Non è dunque materia che ponga ostacoli insormontabili. È grave però che, riconoscendo Peng ausiliare dello Jiangxi, le autorità cinesi abbiano compiuto un atto unilaterale, senza coinvolgere la controparte.

Secondo problema: le autorità hanno riconosciuto Peng come ausiliare. Cioè come vescovo subordinato ad un altro, presumibilmente il vescovo Li Suguang di Nanchang (capoluogo dello Jaigxi), Ma Peng non è solo: come vescovo è stato fino a oggi il responsabile della comunità cattolica di Yujiang di cui fanno parte anche alcuni sacerdoti clandestini. Come hanno preso questi il riconoscimento di Peng? È vero che su quest’ultimo sono state esercitate pressioni? Se il vescovo (ex) clandestino Peng Weizhao è diventato ausiliare di Li Suguang, ciò significa che tutta la comunità di Yujiang è subordinata all’autorità del vescovo (patriottico) Li Suguang, compresi i sacerdoti clandestini? È possibile che questi abbiano fatto pressione su Peng perché non accettasse di farsi riconoscere e, viceversa, che le autorità abbiano fatto pressione su di lui perché accettasse il riconoscimento (alle condizioni da loro imposte). Si può capire la preoccupazione della Santa Sede che teme si apra un conflitto tra “clandestini” e “patriottici” come è accaduto a Mindong. Anche per questo, Roma lamenta di non essere stata coinvolta.

Particolare importante: chi ha creato l’incidente? Il comunicato della Santa Sede sottolinea il ruolo delle autorità locali dello Jiangxi. È un problema ricorrente: in Cina le autorità locali fanno spesso sentire il loro potere sulle questioni della Chiesa nell’ambito di loro competenza, senza preoccuparsi più di tanto del dialogo tra Santa Sede e le autorità centrali di Pechino. Sotto questo profilo, il comunicato vaticano è anche un avvertimento a queste ultime perché richiamino all’ordine i (potentissimi) poteri locali.

Infine. Le conclusioni del comunicato indicano chiaramente che la Santa Sede vuole continuare sulla strada dell’Accordo e del dialogo sino-vaticano. Non è Roma, infatti a creare problemi, ma uomini e gruppi del “Regno di Mezzo”.


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