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La modernità di Francesco Cossiga

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Speciale di Formiche.net a tre anni dalla scomparsa di Francesco Cossiga
L’intervento di Mario Benedetto, direttore della Comunicazione istituzionale di Confagricoltura e autore del libro “Francesco Cossiga, l’Italia di K” (Aliberti Editore, 2011)

Riflettere sul passato e sul futuro, proprio e della propria collettività, è – o quantomeno dovrebbe essere – fisiologico e doveroso. In momenti difficili e delicati, poi, questa riflessione deve farsi più profonda, sistematica ed attenta. Per recuperare e valorizzare ogni tradizione e “buona pratica” del passato, con l’intento di farne uso in ottica futura.

Ogni anno, ogni momento di riflessione sulla figura di Francesco Cossiga, ha un sapore particolare ed una sua “magia”. Piuttosto che far percepire, infatti, un’effettiva distanza temporale, l’avanzare degli anni non fa altro che accrescere e rinsaldare la sua modernità. Ciò che tengo a ricordare in quest’occasione sono il carisma e la carica umana che l’Uomo è stato – ed è – capace di trasmettere. Non condividendo necessariamente ogni azione, ma riconoscendo il valore, la leadership e lo spirito con cui le idee si portano avanti. Tanti degli scenari attuali erano stati prefigurati, in maniera incredibilmente limpida, da Cossiga. Che, pur in un momento molto complesso della storia della nostra Repubblica, non si è limitato ad immaginare ed “avvisare”, ma si è spinto a scuotere gli animi e “picconare” com’è noto. Possibile grazie al lavoro del suo “omino nero” e del suo “omino bianco”, come amava dire, intenti a distruggere e ri-costruire.

Cossiga è stato un Uomo coraggioso. Un coraggio che va ricordato, non lasciandolo solo nella sfera della memoria, ma facendone tesoro per la nostra vita di uomini e professionisti. Specie per le nuove generazioni, che si trovano ad affrontare un momento difficile e reso ancor più complesso da chi continua a proporci cattivi esempi, oltre ad averci lasciato in eredità parti diroccate di una meravigliosa ma sofferente Italia: da un mercato del lavoro che conosce ben poco il merito e la dignità, all’impossibilità forse di poter avere una pensione, solo per dirne qualcuna, guardando ad un futuro più o meno prossimo. Ma, ad ogni modo, incerto.

La “Grande Riforma”
Cossiga lo aveva detto. C’è bisogno di una “Grande Riforma”. Faceva parte anche lui di quella classe che ha tanti meriti ma anche responsabilità. Cossiga, almeno per la mia esperienza diretta, ha però sempre dimostrato un’attitudine di cui oggi ci sarebbe tanto, ma tanto bisogno. Non voglio addentrarmi in elementi di scienza politica, ma ricordare il valore di un’azione e di un pensiero che hanno privilegiato – ed oggi ci tramandano – coraggio, passione e libertà.

Parto da uno dei principi che più mi vede convinto sostenitore di quanto Cossiga ripeteva a più riprese. L’emergenza dell’Italia – che parrebbe irrisolta – è prima di tutto una: quella culturale. Ovviamente non con riferimento all’erudizione, ma ad un nuovo modo di vedere ed approcciare le cose in ogni ambito e contesto sociale. Sono convito che la crisi economica, non solo in Italia, sia anche figlia e conseguenza di una profonda crisi culturale. Che emerge dai comportamenti e dalle attitudini di un popolo, che voglia e possa definirsi tale. Più volte Cossiga ricordava a tal proposito l’esigenza di avere un’Identità, che oggi sembra quasi offensivo o discriminatorio rimarcare.

Un “Comune sentire”
Un popolo, una collettività, che non è raccolta attorno ad un’identità ed un “comune sentire” non è pienamente in grado di difendersi e progredire. “Comune sentire” basato su una cultura realmente condivisa e realmente convinta della centralità del “bene comune”. Con intese che siano effettivamente basate su questo, piuttosto che risultare una quasi spudorata sommatoria di “beni partigiani”. Con provvedimenti, piuttosto che apparentemente rivolti all’integrazione, finalizzati a promuoverla concretamente. Fissando identità chiare, da far dialogare ed integrare, ma non seguendo una via che le metta in discussione o le snaturi per proporne di nuove difficilmente immaginabili. Bisogna riunirsi attorno a valori ben precisi.

Cossiga, prendendo posizioni ben precise, divideva senz’altro, ma con l’intento e la capacità di unire. Frutto di un carisma non autoprodotto – show a cui frequentemente assistiamo – ma effettivamente riconosciutogli.

“Fare casino” dall’alto 
È difficile oggi trovare chi sia pronto a mettersi in discussione. A fare il famoso “passo indietro” che, nel corso della sua carriera, abbiamo più volte visto fare a Cossiga. Amaramente divertente è assistere a strenue difese della posizione – ideologica, ma molto spesso “di ruolo” – adducendo scuse o ragioni che in realtà rappresentano proprio la ragione per cui quella posizione andrebbe abbandonata! Senza neppure arrossire un po’. Anzi, adattandosi bene alle esigenze del momento e del ruolo, in un’ottica di mantenimento che non disturbi o intorbidi acque nelle quali la posizione potrebbe naufragare.
Come giustamente riconosciutogli, condividendone o meno modi e contenuti, Cossiga aveva invece il coraggio di “fare casino” dall’alto. Anche dalla poltrona più alta. O meglio, soprattutto dalla poltrona più alta, ricordando le “picconate” inferte da quella posizione, pur ricoperta per un buon periodo iniziale in maniera “eiunauidiana”.

Il grido di allarme del 1991
Altro brutto problema quello dell’assenza di pudore. Purtroppo spesso evidente in comportamenti di chi è chiamato a rappresentare coloro che gli hanno demandato il proprio potere, ma i cui pensieri e modi di vivere in realtà li “rappresentano” spesso non al meglio. Con una corruzione morale che ormai, cosa che ancor più sorprende, non si ha neppure il pudore di nascondere. Con i fatti, non a parole.
A questo servono esempi del passato, a questo servono le grida d’allarme come quelle che lanciavano le pagine del messaggio alle Camere di Cossiga del 26 giugno del 1991. A cambiare qualcosa, in e per un Paese ricco di risorse ed intelligenze, non dimentichiamolo.
Un messaggio che invito tutti a leggere. Ho avuto l’onore ed il privilegio di riceverlo proprio dal Presidente Cossiga e sono tra le pagine più profonde e coinvolgenti che abbia letto. Un messaggio che fissa coraggiosamente nero su bianco il Cossiga – pensiero, le esigenze di un Paese bloccato, le relative responsabilità ed i relativi compiti di tutti. Adatto, dunque, per l’Italia di allora ma anche, straordinariamente e tristemente, per l’Italia di adesso.

Le riforme necessarie
La Carta va ammodernata. Tesi che viene anticipata da una rapida sintesi dei processi che hanno portato il Paese verso uno “Stato del benessere”. Dal riconoscimento dei dritti individuali, alla moltiplicazione dei canali di mobilità e avanzamento sociale, che ha permesso la crescita dei soggetti intermedi tra individuo e Stato, indispensabili per il funzionamento delle democrazie. Che da noi si è, appunto, inceppata. I canali senz’altro esistono, ma i criteri ai quali sono improntati li vedono ben lontani da quelli immaginati da Cossiga. Parliamo di un’ascesa ed un avanzamento troppo spesso riservati a chi “nasce, conosce bene”.
Già allora, comunque, Cossiga vedeva l’esigenza di un rinnovamento, anche urgente. A maggior ragione in un momento in cui l’integrazione europea, che a meno di un anno avrebbe portato alla firma del Trattato di Maastricht, sarebbe stato motivo di ulteriore confronto con le altre democrazie occidentali.

Il senso intimo del messaggio è racchiuso nelle conclusioni: il bisogno di riforme non è solo politico, ma “civile, morale e sociale”.

La società civile
L’anima di questo cambiamento sta, come dicevamo, nella società civile. Nel suoi approcci e modelli culturali. Riprendendo un breve passaggio del mio libro, che mi sembra estremamente efficace e chiaro “per la Repubblica non è sufficiente un oculato programma dal punto di vista tecnico-politico, ma un ampio coinvolgimento di movimenti e gruppi perché il cambiamento non sia solo apparente, ma affondi le sue radici nella cultura e nelle abitudini diffuse. In poche parole: occorre uno spirito popolare di riforma”.
Alla luce del difficile equilibrio tra rappresentati e rappresentanti, già allora evidente.

Di tentativi ce n’erano stati, come riconosciuto da Cossiga, che in ogni occasione d’incontro non incentrava i discorsi solo su di sé ma sugli altri, anche se avversari. Ricordo bene, a proposito, l’invito di Cossiga a studiare ed analizzare il pensiero di Scalfaro sul tema, non propriamente coincidente con il suo. Venendo ai tentativi, si pensi all’accordo programmatico tra Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli del secondo governo Spadolini; alle dichiarazioni di Fanfani che, nel formare il suo quinto governo nel 1982, aveva dichiarato di voler “rendere le istituzioni più rappresentative della società mutata”, proponendo una Commissione bicamerale. La realizzerà nel 1983, nel corso della legislatura successiva, il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, già pronunciatosi sulla “indispensabilità del rinnovamento delle istituzioni politiche per il miglior funzionamento complessivo dell’intero sistema”. Lo scioglimento anticipato delle Camere porrà però fine al disegno di riforme della IX legislatura. Proseguito poi con De Mita e con i governi Andreotti, ma non con l’intensità e l’ampio respiro che Cossiga intendeva.

Un aneddoto significativo
Nel messaggio Cossiga parla dei primi “nodi” istituzionali da sciogliere, ovvero la forma di governo, la legge elettorale e l’ordinamento giudiziario (piuttosto attuale, se non erro). Offrendo anche opzioni e soluzioni tecniche. L’importanza del cambiamento sta senza dubbio nel rinnovamento in quanto tale, ma la ricchezza che sottende il cambiamento auspicato da Cossiga sta soprattutto nello spirito con cui lo si affronta. Nella cultura. Per ricordare un aneddoto, il messaggio inviato alle Camere era diverso dalla sua originaria formulazione. Dalle ottantadue cartelle il Presidente decise di eliminare undici righe, dal forte contenuto politico, per favorire la controfirma del Presidente del Consiglio Andreotti.

Vi meraviglierete nel proseguire la lettura e scoprire la proposta di Cossiga.

La parte del messaggio eliminata conteneva, infatti, questa proposta: un forte Governo di unità nazionale, basato su vaste intese che dessero impulso alle esigenze di riforma. Tra le forze di governo per Cossiga andava inserito anche il nuovo Pds di Occhetto, sull’onda della deideologizzazione avviata dal crollo del Muro di Berlino: il suo ingresso nel “gioco democratico” avrebbe alterato l’equilibrio politico che vedeva la centralità della DC. Il partito di Cossiga, cioè.
Andreotti non controfirmò comunque il messaggio e spiegò le ragioni del suo gesto con una lettera rivolta a Cossiga in cui affermava che la controfirma, “mero atto formale”, andasse posta dal guardasigilli. Rifiuto che Cossiga teneva a ricordare, tanto da indicarmi d’inserirlo nella tesi che stavo scrivendo e che fu prima occasione del mio incontro con lui.

Un grande comunicatore
Un esempio oggi, per me, anche professionale. Francesco Cossiga era, infatti, un grande comunicatore. Un tipo da “infotainment”, capace di far passare contenuti alti con linguaggio, toni e modi estremamente semplici e leggeri.
Tra l’altro Cossiga era dal 2 luglio 2003 “collega” pubblicista, oltre che Laureato ad honorem in giornalismo presso l’Università di Sassari, nonché proprietario di famiglia, come non tutti sanno, dello stabile che fu la prima sede della “Nuova Sardegna” di Sassari.

Nei dialoghi, Cossiga non tratteneva ma intratteneva. Non aveva bisogno di “elevare” i suoi contenuti, di ricorrere a toni “pomposi” e presuntuosi. Era autorevole e simpatico di suo. Capace di parlare tanto con ragazzo di vent’anni quanto con Ministri e Direttori, con la stessa efficacia e spesso con lo stesso linguaggio. Spaziando, dunque, dai toni severi ed istituzionali a quelli divertenti e colloquiali di un’intervista itinerante con il “portalettere” Chiambretti (che si trova ancora su youtube, la consiglio) da manuale, sia per i contenuti sia per i modi inusuali per un Capo di Stato, informali ed (auto)ironici.
Non sono di certo un amico, sia per la tipologia del rapporto che per l’effettiva distanza anagrafica e di competenze. L’ho sempre, però, ritenuto una gran persona, un prezioso interlocutore, un ottimo esempio, per me, per i miei coetanei. E per i suoi coetanei, di ora e di allora.

Il Cossiga “uomo”

La persona che mi è stato possibile conoscere era affascinante, simpatica, vera. E dava la possibilità di avere un confronto aperto, spesso difficile e comunque molto diverso da quello con la “personalità” di turno che si sente e tiene a sentirsi distante. Senza comprendere che l’autorevolezza non sta nell’esser lontani, ma nell’esser vicini.
Così come lo è Cossiga, con il suo pensiero, rispetto ai giorni nostri. Giorni in cui il suo ricordo, che sono felice qui di poter trasmettere, ci permette di capire i fattori di troppo e quelli che mancano alla nostra Italia.

Con “K” tra i primi.

Mario Benedetto
Giornalista, Direttore della Comunicazione istituzionale di Confagricoltura e autore del libro “Francesco Cossiga, l’Italia di K” (Aliberti Editore, 2011)



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