“Le proteste sono meno intense rispetto ai giorni scorsi perché il governo cinese ha messo in atto misure, anche dal punto di vista tecnologico, di controllo, con la polizia schierata nelle città. In questo senso, Hong Kong è stata una palestra per una repressione capillare e strutturata”. Conversazione con Marina Miranda, professoressa ordinaria di Storia della Cina contemporanea all’Università di Roma Sapienza e presidente dell’Associazione Italiana per gli Studi Cinesi (Aisc)
Mentre sembra essere calato il silenzio sulle proteste in Cina, nel mondo riecheggia la richiesta di allentamento delle rigide misure della politica zero-Covid imposte dal governo. Il sofisticato apparato di controllo cinese ha cancellato le tracce di innumerevoli post pubblicati sui social network che davano conto dello scontento della popolazione.
In Occidente c’è chi ha ricordato i giorni della Rivoluzione degli ombrelli a Hong Kong del 2014 o addirittura le proteste a piazza Tienanmen nel 1989. Ma quanto sta accadendo in Cina è un fenomeno ben diverso, come spiega in una conversazione con Formiche.net Marina Miranda, professoressa ordinaria di Storia della Cina contemporanea all’Università di Roma Sapienza e presidente dell’Associazione Italiana per gli Studi Cinesi (Aisc).
Ad Hong Kong c’erano delle ragioni legate proprio allo status politico e giuridico dell’ex colonia britannica e le proteste erano frutto di un’organizzazione portata avanti dai movimenti degli studenti e da diversi settori della società civile. Le recenti proteste nella Cina continentale, invece, sembrano essere completamente spontanee, non vi è organizzazione, si sono avvalse del potere di strumenti come i social network per la convocazione e diffusione di informazioni, molti dei quali sono stati oscurati tempestivamente.
“Le proteste sono meno intense rispetto ai giorni scorsi perché il governo cinese ha messo in atto misure, anche dal punto di vista tecnologico, di controllo, con la polizia schierata nelle città – spiega Miranda -. In questo senso, Hong Kong è stata una palestra per una repressione capillare e strutturata, senza dover schierare le forse armate […] Nella Rpc sono in grado di esercitare un tipo di repressione molto sofisticato”.
Resta da capire se questo fenomeno crescerà e come lo farà. E tutto ciò dipenderà dalla risposta che verrà data, da quanto la gente sarà disposta a tollerare e se ci sarà un minimo di organizzazione del movimento.
Il recente fenomeno di protesta in Cina è molto variegato. Miranda sottolinea che è essenzialmente composto dai cittadini comuni che contestano le misure anti-Covid: “Da quando c’è stato il lockdown in primavera a Shanghai, si sono ripetute manifestazioni di scontento. Come i video delle ‘Voci di aprile’ nei quali si raccontava la dura vita di un confinamento improvvisato in una città con milioni di persone. Gli abitanti di Shanghai hanno sperimentato sulla propria pelle la repressione del Partito Comunista Cinese, che fino a quel momento non era conosciuta dalla gente comune. C’è stata una ulteriore presa di coscienza e le proteste di questi giorni l’hanno dimostrato”.
Miranda evidenzia altresì che c’è anche chi intende effettuare una contestazione più dura contro il Partito: “I fogli bianchi, simbolo della protesta, rappresentano l’essere messi a tacere, il non avere voce in capitolo sulle misure. I cinesi hanno assistito al fatto che il resto del mondo sta andando avanti, basti pensare in questi giorni ai Mondiali in Qatar. Allo stesso tempo una parte dei manifestanti estende la protesta più in generale alla mancanza di libertà di espressione in Cina, che in sé non è una novità; tuttavia, chiedere le dimissioni di Xi Jinping è effettivamente un atto di dissenso importante”.
Miranda, autrice di Ideologia e riforma politica in Cina. Una democratizzazione elusa dagli anni Ottanta in poi (Libreriauniversitaria.it, 2022) considera fondamentale studiare e analizzare quelle che sono le lotte di fazione all’interno del Pcc: “Xi Jinping ha trionfato al Congresso e ha messo a tacere i suoi diretti oppositori, lo stesso ex presidente Jiang Zemin, scomparso da poco, negli ultimi tempi non era d’accordo con molte delle politiche di Xi Jinping. Con la lotta alla corruzione il leader cinese ha messo a tacere molti dei suoi avversari, ma non c’è unanimità sulle misure da intraprendere. Sicuramente sarà importante vedere se il governo allenterà le restrizioni anti-Covid. All’indomani del XX Congresso erano circolate voci circa un imminente allentamento, ma ciò dipenderà dal confronto/scontro all’interno del Partito”.
Sulla campagna di immunizzazione, l’esperta sottolinea che “i vaccini cinesi non hanno funzionato, anche se la prima risposta della Rpc alla pandemia era stata molto più efficace rispetto a quella dei Paesi occidentali. La Cina non ha investito in un piano di vaccinazione di massa e, tra l’altro, gran parte della popolazione cinese non era del tutto convinta di doversi vaccinare”.
Tuttavia, conclude, “è assodato che questa politica così stretta e restrittiva di zero-Covid, zero infezioni, non funziona anche perché non c’è più tollerabilità da parte della popolazione. I cinesi non sono più disposti a sacrificare, non solo le libertà civili più in generale, ma anche quelle relative alla sussistenza quotidiana”.
Che cosa succederà adesso è difficile prevederlo, giacché non c’è trasparenza sulla strategia del Pcc. Ma i governanti cinesi – a differenza dei nostri – sono lungimiranti, pianificatori e non agiscono in modo improvvisato. Purtroppo, su queste informazioni sensibili si fa trapelare poco e saranno rese note solo quando la strada da seguire sarà molto chiara e definita”.
Nota: Nonostante l’omonimia, tra intervistata e intervistatrice non c’è alcun rapporto di parentela.