La riforma giudiziaria, gli equilibri di Visegrád e la possibilità di un negoziato di pace per la guerra ucraina. Intervista a Przemysław Żurawski vel Grajewski, consigliere della Commissione parlamentare per gli Affari Esteri, voce molto ascoltata dal governo Morawiecki e dal fronte conservatore polacco
Il professor Przemysław Żurawski vel Grajewski è la voce dei conservatori polacchi in politica estera. In lui convivono la diffidenza verso il Cremlino, il risentimento anti-tedesco e la difesa a oltranza della resistenza ucraina, marchio di fabbrica del governo di Mateusz Morawiecki. In quest’intervista non si limita a puntare l’indice contro coloro che la narrazione polacca considera nemici, ma argomenta e giustifica i vecchi rancori che agitano lo spirito della nazione.
Professor Zurawski, la sua formazione professionale e accademica le ha permesso di accumulare una certa esperienza nel campo della politica internazionale. Dopo l’incidente missilistico al confine polacco, ci dice qual è la posizione del governo Morawiecki in merito al conflitto russo-ucraino? Soprattutto dopo il dialogo tra Biden e Macron. A proposito, cosa pensa della conferenza di Parigi organizzata da Francia e Stati Uniti?
A febbraio la Polonia, come tutti del resto, prese atto che la tensione era degenerata in una vera e propria invasione. Si tratta della naturale conseguenza prodotta dallo spirito imperialistico russo: l’annientamento dell’Ucraina e il crollo della sua sovranità. Perché, secondo la mitologia russa, Kiev è solo una tribù, una colonia del suo Impero, ed è percepita come una propaggine di esso, il che è del tutto errato. Il dato di fatto è che Mosca ha messo su un piano militare volto alla conquista e all’annessione dell’Ucraina. Inoltre, tenete presente che la Polonia, dal 1492, ha combattuto ben diciotto guerre contro la Russia. Sappiamo, quindi, che la sua politica estera, in vigore e appurata durante questa serie di conflitti, si basa su qualcosa che in russo viene denominato “decapitazione”, e ciò comporta lo sterminio delle élite. Una tattica che emerge, anche, dalla deportazione di massa di ucraini e cittadini dei territori occupati. Una pratica che abbiamo sperimentato nel corso dell’occupazione nazista della Polonia, per alcuni aspetti simile a quella russa del XIX secolo.
Ecco perché Varsavia non ha esitato a sostenere pienamente la resistenza ucraina, poiché il nostro governo e la nostra società hanno interpretato e accostato il nuovo espansionismo dell’Orso come una replica del destino polacco nei secoli precedenti. Sappiamo, quindi, che la Russia si fermerà laddove verrà fermata, e l’unico modo per arrestare la sua avanzata consiste nell’uso della forza militare. Non riteniamo possibile e realistica l’ipotesi di un compromesso o di una formula di pace. Diciamo che la guerra ha evidenziato le contraddizioni e le debolezze dell’apparato russo, così come la fragilità della sua dimensione economica e del suo sistema di difesa. Le carenze di equipaggiamento dei singoli soldati non sono certo una novità. Basti pensare che le attrezzature mediche che utilizzano sono state prodotte nel 1978. In sintesi, il paradigma “terra in cambio di pace” non funzionerà. È pura fantasia propagandistica.
Crede che il governo Morawiecki sia compatto sulla posizione da assumere all’interno della Nato?
È l’esecutivo migliore che potessimo avere al momento. Il sistema di difesa polacco è in rapido incremento così come la dimensione militare nel suo complesso e la sua capacità di integrazione del fianco orientale. Sono convinto che entro un anno il nostro Pese avrà il più grande esercito del continente, tolto quello francese. Dato che i francesi, diversamente da noi, possiedono armi nucleari.
Il Pis ha presentato un atto alla commissione statale per indagare sull’influenza russa e i danni di questa sul sistema di sicurezza interno, dal 2007 al 2022. Può dirci qualcosa in più su quanto avvenuto e se l’opposizione ha qualche responsabilità?
Il motivo del perché, all’epoca, sono state prese decisioni così ridicole e la domanda su quanto i servizi segreti russi abbiano influito sulle dinamiche interne allo stato polacco, sono legati anche al cosiddetto reset con la Russia da parte dell’Occidente, con le aperture di Obama e dell’Unione Europea, attraverso una strategia (basata su idee tedesche) di partenariato per la modernizzazione e di spazi comuni. Per quanto riguarda la responsabilità dell’attuale opposizione, bisogna indagare fino a che punto si sia trattato di ingerenza ad opera del Cremlino e quanto, invece, sia pesato un mero calcolo politico per il dispiegarsi di carriere personali.
La Polonia diventerà un attore-chiave nell’ordine occidentale?
Innanzitutto, è necessario partire da un presupposto: viviamo sotto l’ombrello della Nato. Tutte le teorie che prospettano una difesa autonoma e comune dell’Europa sono surreali. Gli Stati Uniti sono una democrazia con il compito di fare da gendarme al mondo. E dal punto di vista americano, la soluzione migliore si esplica nel convincere i tedeschi a condividere con l’Alleanza il peso della sicurezza europea. D’altronde, è quello che Biden ha cercato di fare fin dall’inizio. Berlino ha gentilmente declinato l’offerta, per via del suo afflato con la Russia, rifiutandosi di armare l’Ucraina nel 2021 e limitandosi a fornire un sistema aereo nei nove mesi trascorsi dall’inizio del conflitto. Ergo, tornando alla sua domanda, se combinati con gli scandinavi (i quali detengono un notevole potenziale tecnologico) siamo la loro migliore scelta. La miscela polacco-ucraina induce la Polonia a concepire il futuro come una sfida comune. Tenete presente che l’Ucraina è grande quanto la Francia, a questo aggiungete circa 40 milioni di persone, esclusi i rifugiati. Noi abbiamo ospitato 7 milioni di ucraini che hanno attraversato il Paese, e 3 milioni sono rimasti in Polonia. In poche parole, gli stati scandinavo-baltici, la Polonia e l’Ucraina, sostenuti dal Regno Unito, da Usa e Canada, potrebbero essere sufficienti a dissuadere Mosca da ulteriori aggressioni.
A questo punto, le chiedo: cosa pensa delle accuse mosse da mezza Europa verso la postura assunta dalla Polonia sul versante delle politiche migratorie?
Partiamo dal 2015. All’epoca, il vecchio continente era diviso in tre gruppi. Paesi di frontiera, come la Grecia, l’Italia o la Spagna; Paesi di transito, come l’Ungheria, l’Austria e, in misura minore, la Francia; i Paesi di destinazione, dove gli immigrati si sarebbero stabiliti, come la Germania, i Paesi scandinavi o la Gran Bretagna. La Polonia rientra in un quarto gruppo. Eravamo il Paese senza frontiere a rischio. Nessuno tentava di oltrepassare i nostri confini e nessuno osava entrare nel nostro territorio. Oltretutto, non c’erano sbarchi sulle nostre spiagge. Per colpa della Germania che, infrangendo alcune regole, ha aperto i cancelli per poi distribuire i migranti, abbiamo dovuto affrontare e tentare di gestire questo flusso di persone. Quindi, abbiamo detto: “Va bene, ma se si tratta di rifugiati e non di semplici migranti, ci sono procedure, leggi e protocolli che devono essere seguiti”. Poi, nel 2021, sui nostri confini orientali, ci siamo imbattuti in un’altra crisi. Oggi, riteniamo che si sia trattato di un’operazione preliminare per ostacolare le relazioni polacco-ucraine. Nel senso comune polacco, le immagini dei profughi ucraini rievocano il ricordo dei nostri nonni e dei nostri genitori, i quali durante la Seconda guerra mondiale erano tutti piccoli rifugiati. Così, ora, nel guardare i volti delle madri ucraine e dei loro piccoli rivediamo la sofferenza e il dolore che, in un passato non molto remoto, stravolse le vite delle nostre famiglie.
Ci aggiorni sulla situazione del gruppo di Visegrad. La guerra ha spostato i suoi equilibri interni?
Il gruppo di Visegrad è stato fondato nel 1991 per contrastare i russi, poco dopo il massacro sovietico dei lituani. In seguito, è stato interpretato come un ripiego dell’integrazione europea. Attualmente, il conflitto russo-ucraino ha complicato le relazioni tra i suoi membri. La Slovacchia, da sempre impregnata da un’antica tradizione panslava, classifica l’Ungheria e le politiche orbaniane come filo-russe. Quindi, sorprendentemente, rema contro le proprie radici a causa del fattore ungherese. È giusto affermare che questo capitolo di storia somiglia moltissimo a quello italo-croato incentrato sulla Dalmazia. Da parte nostra, non possiamo che difendere l’atavica amicizia polacco-ungherese che, in diverse fasi storiche, ha accomunato i destini delle rispettive nazioni. Ad esempio, i nostri rapporti con la Repubblica Ceca sono eccellenti. Quest’ultima ha costruito una posizione inequivocabile sull’invasione russa. Ma profonde contraddizioni caratterizzano la nostra politica orientale, anche se siamo ancora determinanti all’interno dell’Unione Europea. E, tengo a precisare, la nostra identità repubblicana ci impedisce di accettare l’idea di essere governati da funzionari non eletti, che cercano di imporre regole non condivise dai cittadini.
E per quanto riguarda la riforma giudiziaria che preoccupa l’opposizione e i progressisti europei?
Dal crollo del comunismo in poi, abbiamo avuto un sistema giudiziario fondato sulla successione apostolica. Durante la legge marziale, i magistrati nominati dai comunisti, e valutati per la loro fedeltà al partito, rappresentavano un gruppo centrale ed erano gli unici autorizzati a designare nuovi giudici. Mentre la nostra Costituzione dispone che tutti i poteri pubblici – non solo quello esecutivo e legislativo, ma anche la Corte di Giustizia – devono avere un mandato democratico. La diatriba viaggia su due binari. Il primo, iniziato nel 2015, riguarda le regole costituzionali. Molti non si rendono conto che il Tribunale costituzionale polacco non è la Corte suprema degli Stati uniti, ha il compito di stabilire se un determinato atto legale o parlamentare sia o meno conforme alle disposizioni della costituzione. Questo fu l’incipit dello scontro politico interno. A causa di tutte le complicazioni, è stato semplice manipolare l’opinione pubblica polacca e occidentale creando l’impressione che la funzione del Tribunale costituzionale fosse stata violata. Una manipolazione avviata da Piattaforma Civica, che ha eletto illegalmente i giudici del tribunale e poi il parlamento. Il secondo binario concerne la responsabilità penale dei magistrati, qualora commettessero un reato. Finora sono rimasti impuniti da qualsiasi errore. Di tanto in tanto, ci viene detto: “Siete una democrazia giovane, perciò vi risulta difficile impedire la violazione dei principi democratici”. E questo è un ragionamento inaccettabile. Perché non applicarlo anche per la Germania?
Il ministro Ziobro sembra essere il vero ostacolo al raggiungimento di un accordo con Bruxelles riguardo l’erogazione dei fondi europei per il Recovery Plan polacco. Che ne sarà del suo ruolo? Considerando che l’opposizione ha presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti…
È tutto un pretesto. Il vero obiettivo politico del mainstream europeo si traduce nella volontà di deporre il governo polacco. Anche qui, il compromesso non può essere raggiunto, perché l’Unione Europea è la prima a non volerlo. Nel vecchio continente prosperano due visioni. Una sostiene l’idea di un’Europa sempre più ristretta, e l’altra ne denuncia l’eccessiva centralizzazione. L’esito del referendum francese e olandese del 2005, sul trattato costituzionale, blocca legalmente l’iper-centralizzazione del progetto mainstream. E quando si parla di fondi europei per la ripesa, bisogna ricordare che sono stati istituiti in chiara violazione degli articoli 310, 311 e 312. Il bilancio deve essere in pareggio con le risorse dell’Unione, mentre i crediti non lo sono. Per l’opinione pubblica, sia il governo che l’opposizione viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. Ovvero, affermano congiuntamente che parte di questi fondi sono gratuiti, sono sovvenzioni. Certo, vi sono delle sovvenzioni, ma sono tutti crediti che devono essere rimborsati dagli Stati membri. Nulla è gratis! L’Unione Europea vuole destituire l’attuale governo polacco, e coloro che si illudono di poter raggiungere un compromesso…tradiscono la scuola del realismo politico. Dopo 123 anni di non-esistenza come Stato, seguiti da 45 anni di dominio sovietico, teniamo molto alla nostra sovranità.