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Il fascino travolgente dell’editoria. Domani è sempre un altro giorno

Giuseppe De Tomaso, già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, ha letto l’ultimo libro di Gian Arturo Ferrari, per lustri e lustri ai vertici del ramo librario nelle più prestigiose case editrici, dal titolo “Storia confidenziale dell’editoria italiana” (362 pagine, Marsilio editore, 19 euro)

Sarà stata colpa del feudalesimo. Sarà stata colpa della Controriforma. Sarà stata colpa della scuola. Sarà stata conseguenza della reazione di massa contro un prodotto ritenuto simbolo e privilegio delle classi dominanti. Sarà stato perché, da sempre, a molti professionisti del Belpaese, sta a cuore più il proprio livello professionale che il proprio livello culturale.

Sarà stata colpa del solito destino (cinico e baro). Sta di fatto che, tuttora, per molti italiani il libro rimane un oggetto misterioso e fastidioso, da cui tenersi doverosamente e sistematicamente alla larga. Risultato? Un paradosso dietro l’altro. Nella Penisola si annoverano, quasi ormai, più scrittori che lettori. E oggi un redivivo corrosivo Ennio Flaiano (1910-1972) forse fotograferebbe così lo stato dell’arte dell’editoria libraria, coassiale, peraltro, alla parallela drammatica recessione nel campo dell’editoria giornalistica: “L’Italia? Metà scrive e l’altra metà non legge”. Per non dire di alcuni effetti collaterali, a volte grotteschi, tragicomici, provocati dal disamore cronico per la lettura. Tipo: metà dei libri che si pensano non si scrivono, metà dei libri che si scrivono non si pubblicano, metà dei libri che si pubblicano non si vendono, metà dei libri che si vendono non si comprano, metà dei libri che si comprano non si leggono, metà dei libri che si leggono non si capiscono, metà dei libri che si capiscono si capiscono al contrario.

Ecco perché bisogna innalzare più di un monumento a chi, negli ultimi due secoli, sfidando l’atavica indifferenza-insofferenza verso lettura e cultura insieme, ha costruito ora un’industria libraria, ora un artigianato editoriale che, sfidando innumerevoli mulini a vento, hanno migliorato assai la vita, la quotidianità nazionale perché, sotto sotto, tutto comincia e finisce con i libri, tutto, nella storia dell’umanità, è dipeso e dipende da un libro.

È davvero rapinosa la lettura della “Storia confidenziale dell’editoria italiana” (362 pagine, Marsilio editore, 19 euro) scritta da un affermatissimo protagonista, Gian Arturo Ferrari (nella foto), per lustri e lustri ai vertici del ramo librario nelle più prestigiose case editrici. Non già perché il top manager (letterato) abbia sciorinato, per se stesso e per la categoria, un ditirambo dietro l’altro o si sia esibito nell’elencazione, nell’esaltazione di semidei o eroi più forti di ogni avversità. No. Della scena libraria, dei suoi attori, dei suoi registi e delle sue comparse, Ferrari conosce e riporta tutto, miserie e nobiltà. Nessuna agiografia. Nessuna mitizzazione. Nessuna demolizione. Ma, pur tra meschinerie, cinismi, calcoli e colpi bassi, un filo conduttore sembra unire uomini e donne, episodi e vicende, successi e insuccessi del pianeta editoria: l’amore, la passione per i libri, che bisogna averli nel sangue. Non perdete questo folgorante frammento del grande Valentino Bompiani (1898-1992): “I libri li scrive qualcuno che non è lui. Li stampa, normalmente, un altro che non è lui. Li vende un terzo, che non è lui. Di suo, l’editore ci mette l’amore. Questo sentimento accompagna l’editore nella sua giornata, lo guida nella scelta, lo distingue e lo sostiene. Di libro in libro va avanti, sempre illuso e sempre consolato, perché ogni volta l’emozione si ripete”.

La “Storia confidenziale” di Gian Arturo Ferrari non è solo la storia dell’editoria nazionale a partire dall’Unità (1861). È anche la radiografia, diretta e indiretta, dei problemi e dei sentimenti più profondi che, specie in materia economica, ancora attanagliano e pervadono lo Stivale. Si scrive editoria, ma si può leggere, tranquillamente, imprenditoria tout court, con relativo quaderno di doglianze: resistenza alle novità, nostalgia del piccolo mondo antico, sottovalutazione del nanismo aziendale, sottocapitalizzazione cronica. Le idee abbondano, sono i denari che scarseggiano. E se i denari scarseggiano, anche le scoperte dei nomi nuovi di saggi e romanzi, anche la ricerca di voci in partenza non omologate, vanno ad incepparsi come un motore senz’olio. Del resto, se fare impresa ordinaria è un rischio, fare impresa editoriale è un azzardo. Qui regna l’assoluta imprevedibilità, anche perché ogni creazione, cioè ogni libro, fa storia a sé, è davvero, quasi sempre, un salto acrobatico senza paracadute. La battaglia tra Dio (voglia di pubblicare il desiderabile) e Mammona (la tirannia dei costi) è continua, genera illusioni e delusioni, abitualmente lascia sul terreno numerosi cadaveri.

Lo stesso mestiere dell’editore, su cui convergono le diverse specialità, le molteplici voci della produzione, è più proteiforme di una divinità pagana. Lettore di prima istanza, valutatore, ascoltatore, organizzatore, imprenditore, agente di marketing… Già, agente di marketing. Scrive Ferrari: “Da un certo punto di vista, in questo settore, tutto è marketing. Nel senso che l’editoria libraria è l’unica attività produttiva che non produce e non è proprietaria del suo stesso prodotto. Possiede certo l’oggetto fisico, il volume stampato, ma non il contenuto, che le è stato dato solo su licenza e per un tempo determinato. Se il vero produttore è dunque l’autore, che il libro lo ha ideato e realizzato, l’editore viene ad essere l’agente di marketing, colui che il prodotto lo configura, lo mette sul mercato e si industria per portarlo al successo”.

Successo che in un Paese allergico alla lettura arride a pochi. Sono moltissimi i veri capitani coraggiosi che da Treves e Sonzogno fino ai giorni nostri hanno affrontato e affrontano i marosi della navigazione libraria. In tanti non sfuggono al naufragio, in tanti devono riparare in porti più sicuri. In pochi, vincenti, possono esultare come Cristoforo Colombo (1451-1506). E se alcuni hanno gioito, il trapasso generazionale ha spesso sconvolto piani e scatenato pianti. I loro ritratti, le loro vicende, i loro interpreti (da Mondadori a Rizzoli, da Feltrinelli a Berlusconi, dai grandi ai piccoli, dai nomi storici alle nuove leve) sono illustrati da Ferrari con partecipazione e equilibrio, , avrebbe detto Tacito (55-117 dopo Cristo). Equidistanza, ma anche equivicinanza. Rectius: vicinanza-vicinanza.

Un grande romanzo l’editoria libraria italiana. Il cui fascino, nonostante Internet e nonostante i conti economici sovente in profondo rosso, resiste alla rivoluzione dei tempi. E poi, è come il finale di Via col vento: domani è sempre un altro giorno.



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